“Quando c’è una bella notte stellata, il signor Palomar dice: ‘Devo andare a guardare le stelle’. Dice proprio ‘Devo’, perché odia gli sprechi e pensa che non sia giusto sprecare tutta quella quantità di stelle che gli viene messa a disposizione“.
(Italo Calvino, “Palomar”)

Titolo originale: 서울 자가에 대기업 다니는 김 부장 이야기; Seoul Jagae Daekieob Danineun Kim Bujang Yiyaki; trad. “The Story of Manager Kim, Who Owns His Home and Works for a Large Company in Seoul”
Regia: Jo Hyun-tak
Sceneggiatura: Kim Hong-Ki, Yoon Hye-Seong
Cast: Ryu Seung-ryong, Myung Se-bin, Cha Kang-yoon, Yoo Seung-mok, Lee Shin-ki, Lee Seo-hwan, Jung Soon-won, Ha Seo-yoon, Shin Dong-won, Lee Hyun-kyun, Jung Eun-chae, Lee Jini, Lee Se-hee, Lee Kang-wook, Ko Chang-seok, Park Soo-young, Heo Nam-jun
Genere: drama / comedy / office / slice-of-life
Corea del Sud, 2025 – 12 episodi
Io a Mr. Kim ho voluto così tanto bene, che me lo sono immaginata alla fine, mentre cammina a piedi nudi sul sentiero sabbioso del parco insieme alla moglie, come il signor Palomar, uscito dalla penna di Italo Calvino per andare ad ammirare le stelle: un uomo medio, apparentemente mite, che d’un tratto incrocia il tuo percorso per uscire dalla sua vita monotona e ordinaria per scoprire la meraviglia. E, mentre passa, anonimo in mezzo al popoloso nulla, ti ritrovi a pensare che forse quel volto lo hai già visto o, perlomeno, hai già visto qualcosa di simile, riflesso in innumerevoli volti e sembianze che fatichi a riconoscere, perché si confondono con quelle di tutta l’umanità.
Ecco, è così che mi è rimasto nel cuore Kim Nak-su, in quel parco buio a parlare con se stesso e a rassicurarsi da solo per essere felice, in quel campo abbandonato sul retro di una fabbrica ad urlare al cielo la sua disperazione, in quel cortile assolato e stretto tra la folla a chiedere di non morire. E mi è sembrato di riconoscerlo in tutti, forse anche un po’ in me stessa, in quel marasma quotidiano in cui ci affatichiamo a non sprofondare, nella difficoltà di sopravvivere, giorno dopo giorno, in tutti i più piccoli avvenimenti della vita, tra le gioie minuscole e quotidiane, che non riusciamo a godere appieno perché troppo di fretta, e la tristezza crescente dei colpi ciechi che ci si ritrova a subite.
Ma, visto che, per prendere ancora una volta in prestito le parole di Calvino, “la vita d’una persona consiste in un insieme d’avvenimenti di cui l’ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l’insieme“, è proprio dalla fine che voglio cominciare, da quel momento finale che ci porta a sentire la voce di Kim Nak-su narrare come sia la sua vita oggi, superati i 50 anni, che non somiglia per nulla al suo progetto iniziale, a quel sogno di diventare dirigente di una grossa azienda, facendo vivere nel lusso la sua famiglia e provvedere ai migliori studi per suo figlio, ma che gli consente di concedersi una passeggiata serale con la moglie, in quell’importanza della felicità delle piccole cose, che gli affanni dell’esistenza lo avevano portato a dimenticare, in quell’ordinarietà pacata e quasi trasandata, che permette di cogliere la meraviglia delle stelle.
“Non hai idea di quanto sia difficile essere ordinari”.
“The Dream Life of Mr. Kim” (che, in originale, suona di più come “The Story of Manager Kim, Who Owns His Home and Works for a Large Company in Seoul“, descrivendo con un’unica frase l’intenzione sottesa al drama) è una delle scoperte più interessanti dell’anno 2025, magistralmente interpretata da tutti gli attori del cast (non uno escluso, perché tutti sono stati in grado di rendere lo spettro emotivo che caratterizzava il proprio personaggio) e sostenuta con una bravura incredibile da Ryu Seung-ryong, che, talvolta, dà veramente l’idea di essere da solo, al centro del palcoscenico, a recitare davanti al suo pubblico in sala. La storia è una parabola moderna e attualissima di un uomo di mezza età davanti alle difficoltà e ai problemi della vita e della società odierna ed è ispirata al romanzo online di Song Hee-gu, poi riadattato e serializzato nel webtoon di Myoung rang (testi) & Kim Byung-kwan (illustrazioni).
Banalmente, si potrebbe riassumere tutta la storia con un “come Mr. Kim, che sentiva di essere arrivato in tutto e stava per diventare dirigente, ha perso il lavoro”, sintetizzando così, con un’unica frase, il dramma di una vita, rinchiusa nella sua ordinarietà fino ad essere prevaricata, descrizione della situazione attuale che vivono molti cinquantenni, che, dopo tanti anni in azienda, vengono licenziati e non riescono più a ricollocarsi in un mercato che li considera troppo vecchi e inutile. Ma, come tutte le meravigliose vite ordinarie, percorse da piccoli eventi insignificanti e da piccole persone inutili, anche “The Dream Life of Mr. Kim” nasconde molto di più di questo.
Kim Nak-su (meravigliosamente interpretato da Ryu Seung-ryong di “Chicken Nugget” e “Moving“) era un manager di successo della compagnia di telefonia e internet ACT, direttore del team vendite 2 ed ex brillante venditore del settore. La sua vita, praticamente, coincide con il suo lavoro presso la ACT, visto che ci vive stabilmente da 25 anni, perseguendo il sogno di avanzare nella carriera fino a ricoprire la posizione di dirigente. Tutto per lui è così connesso al lavoro, che non vede nulla di più importante. Ed è per questo motivo che spinge il figlio Kim Su-gyeom (interpretato da Cha Kang-yoon) a studiare nella migliore delle università e a candidarsi per un tirocinio all’ACT e la moglie Park Ha-jin (interpretata da Myung Se-bin) a vivere da perfetta moglie di un dirigente, non prendendo in considerazione le sue aspirazioni di lavoro come agente immobiliare.
La sua vita si è appiattita nell’ordinarietà lavorativa, di cui avverte solo aspetti di straordinarietà, cercando, come in un transfer psicologico, di negare qualsiasi aspetto sfavorevole e lottando per emergere dal senso di inferiorità e dall’invidia che lo attanagliano tutti i giorni nel confronto con i colleghi. Nutre una profonda avversione per il collega e direttore del team vendite 1, il segalino e arrivista Do Jin-woo (Lee Shin-ki), col quale vive una silenziosa guerra di emulazione e di predominio, ma è convinto della fiducia che ha riposto in lui l’amministratore delegato – nonché suo ex mentore – Baek Jeong-tae (Yoo Seung-mok di “Designated Survivor: 60 Days“), senza notarne l’opportunismo e la sua sotterranea alleanza con Do Jin-woo. Apparentemente tratta in modo burbero e paternalistico i suoi impiegati, Jung Sung-gu (Jung Soo-won di “The Winning Try“), Kwon Song-hee (Ha Seo-yoon) e Song Ik-hyeon (Shin Dong-won), educandoli al risparmio e allo spirito di sacrificio che lo hanno portato fino a lì, ma finisce per proteggerli dalle malsane manovre aziendali.
Poi, improvvisamente un giorno, un evento inizia a mandare in tilt il suo tran-tran quotidiano (per citare Mr. Banks di “Mary Poppins“, che Mr. Kim mi ha rammentato molto): il vice-direttore del reparto vendite Heo Tae-hwan (interpretato da Lee Seo-hwan di “Squid Game 2“), viene retrocesso e riassegnato al controllo delle fibre ottiche impiantate sotto il manto stradale. La nuova mansione, l’umiliazione di essere costretto a calarsi nei tombini per i sopralluoghi e la mancata considerazione di tutto il lavoro fatto in azienda portano Tae-hwan al burnout e al tentativo di suicidio nel parcheggio dell’azienda, scoperchiando un vaso di Pandora, di cui tutti già sapevano, ma che nessuno aveva il coraggio di ammettere.
In economia e nella gestione aziendale, la chiamano riorganizzazione e si ammanta di efficienza, innovazione e qualità. In realtà, è uno dei soliti giri periodici del mondo lavorativo odierno, che manca di memoria e di riconoscenza e preferisce rinnovare il sistema sradicando l’umanità. Le riorganizzazioni aziendali di solito implicano assunzioni, ma anche licenziamenti e demansionamenti nei confronti di chi è considerato poco adatto, non conforme o troppo vetusto per le nuove politiche aziendali. Come Kim Nak-su, uno degli artefici della fortuna della ACT nel momento del boom di internet e delle ADSL, ma oramai solo un dinosauro ingombrante e patetico, incapace di adattarsi alla modernità e al progresso e, soprattutto, una pedina inutile nella nuova costruzione, come gli altri cinquantenni, retaggio di una generazione che non trova più una rispondenza con i nuovi obiettivi di una società in crescita.
Kim Nak-su viene umiliato e vessato in continuazione, senza dare la percezione di tale strategia, viene costretto a reinventarsi più volte, a tornare nel campo delle vendite, a far fronte a problemi ed emergenze, sottoposto ad uno stress continuo, giustificato con l’illusione di potersi distinguere per diventare dirigente. Poi, quando tutto sembra portare Kim Nak-su a credere di avercela fatta, viene degradato, demansionato e spostato, assegnato alla fabbrica di Asan per il controllo della sicurezza dei macchinari, un ruolo che chiaramente non è preparato ad affrontare e per cui non mai stato formato.
Alla fabbrica di Asan, Kim Nak-su soffre la disperazione e la solitudine: si trova da solo, in periferia, costretto a vivere negli alloggi assegnati agli operai dietro la fabbrica, in un lavoro umiliante che non comprende, condannato alla noia e alle corse per arrivare in mensa, schiacciato tra un ambiente di lavoro che non lo vuole e una mansione che odia, ai margini pure della sua famiglia, dove il figlio si è buttato in rischiosi affari con amici arrivisti e la moglie si prepara per gli esami di abilitazione ad agente immobiliare. Eppure, è proprio in fabbrica e nel suo minuscolo nuovo ufficio sovrastato dal magazzino e smosso dal grido della sovrintendente Lee Ju-young (eccezionale Jung Eun-chae di “The King: Eternal Monarch” e “Jeong-nyeon: The Star is Born“), che Kim Nak-su riprende lentamente a vivere e a realizzare l’umanità che anni di grigio lavoro e di corsa continua non gli avevano fatto visualizzare, empatizzando gradualmente con altri lavoratori che l’azienda ha destinato alla riorganizzazione, ovvero al licenziamento. Forse sarà solo un piccolo umano incastrato negli ingranaggi di un macchinario molto più grande, ma Kim Nak-su è anche un piccolo ingranaggio che improvvisamente decide di fuoriuscire e, pur conscio di non poter fare la differenza, è consapevole della necessità di recuperare il proprio senso di umanità.
Perde il lavoro e si ritrova disoccupato ad oltre 50 anni, senza alcuna prospettiva di essere assunto. Crede di potersi reinventare venditore, lavorando per la start-up del cognato, e si trova ad occupare solo una sedia, perché tutte le scrivanie erano già state assegnate. Pensa di investire la liquidazione nel mercato immobiliare e acquista per il doppio del suo valore un negozio che nessuno vuole affittare. Sa di avere una salute di ferro e inizia a soffrire di attacchi d’ansia che lo lasciano svuotato e tremante a terra.
Nulla sembra andargli bene, destinato alla sconfitta in ogni caso, fino a quando non s’imbatte nell’officina del fratello Kim Chang-Su (Ko Chang-seok di “Glitch“), un uomo che è stato già sconfitto anni prima di lui e che è l’unico in grado di comprendere, pur rimanendo in silenzio, le sofferenze del fratello, generate da un mondo e da una società che lo hanno sempre buttato nella competizione per, poi, sprofondarlo totalmente. E da lì, lentamente, Kim Nak-su riemerge ed incontra se stesso, quella persona che ha cercato di nascondere per anni dietro giacca e cravatta, quella persona che cercava una vita perfetta, un posto di lavoro sicuro, una casa di proprietà e una bella auto, ma che non aveva mai cercato la felicità.
Perché, poi, in fondo, la felicità è il termine più frainteso di questo mondo e, forse, è anche quello per cui si trovano innumerevoli spiegazioni contraddittorie che si incrociano e si annullano: tende a perdere sostanza quando lascia la dimensione delle idee per avvicinarsi al mondo materiale delle cose, fondendosi nel senso di appagamento e nella soddisfazione umana, nella volontà apparente di dimostrare un valore, di cui nessuno ci ha domandato spiegazioni, nel desiderio di mostrarsi quello che non si è, ma perfettamente riusciti nella vita, senza mai domandarsi cosa si è diventati in verità. Era forse più felice quando poteva mostrare il suo lavoro perfetto alla ACT, la sua famiglia a cui non mancava nulla, la sua prossima promozione, che tardava ad arrivare, ma in cui tutti erano fermamente convinti di credere? O è più felice adesso, consapevole di non aver agito per far licenziare persone incolpevoli, di non aver svenduto i suoi contatti e la sua intelligenza per un illecito, consapevole anche di sbagliare sempre e in continuazione, di essere fragile e di mentire a se stesso, di essere convinto di proteggere la sua famiglia, quando è il primo ad essere bisognoso di protezione, di essere rimasto integro, nonostante una lunga strategia di anni per fare affossare la sua personalità? Era più felice un tempo, quando andava a giocare a golf con i dirigenti e non si rendeva conto di essere deriso, convinto che era meglio sopportare per poter arrivare in alto, o è più felice adesso che si è reso conto di come “in alto” sia un posto scomodo e scivoloso e riesce a guardare tutti come un viaggiatore dal finestrino del treno?
Forse nessuno riesce alla fine a comprendere cos’è la felicità e ci affanniamo costantemente solo per carpirne un piccolo frammento, che, poi, si rivela un’illusione, come quella della fortuna e del successo. Forse aspettiamo tutti di sentire gli applausi scroscianti e non ci rendiamo conto di come gli uni gli altri sprechiamo tempo ed energia a prevaricarci tra di noi, e, poi, crolliamo e ci affossiamo, quando la vita sembra prendersela con noi, come il protagonista di questo drama, che, probabilmente, mentre passeggia la sera con la moglie a piedi nudi, continua a domandarsi se è questa la vera felicità, senza ancora comprendere come andrà il resto della sua vita.
Ma, per quello che può valere, in ogni caso: “Sii felice, Kim Nak-su. Sii felice“.
Laura
Come suona la recensione?

Che meraviglia di recensione! ❤ Dalla citazione di Calvino alla descrizione della vita ordinaria del protagonista, Kim Nak-su, così simile a noi, così vicino nelle sue vicende quotidiane, nelle speranze e nelle illusioni di una vita diversa, perfetta, nella corsa infinita per una felicità che non esiste o per lo meno quella felicità fittizia a cui tutti miriamo. Ho letto la recensione, piano, in silenzio, proprio in una pausa in ufficio (anche il contesto mi ha fatto immergere di più nell’atmosfera della storia). Un percorso emozionale, un viaggio interiore che ho vissuto insieme a Kim Nak-su e alla tua preziosa recensione così sentita, così profonda. Grazie, davvero, per aver descritto la vita ordinaria di un uomo che, nel momento di crisi e di alienazione, riesce a far emergere tutta la sua ricchezza interiore rimasta sepolta per anni in un cumulo di ordini, lavori e imposizioni. Questa è forse la vera felicità.
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Grazie davvero per questo tuo commento e per la lettura attenta ed emotiva che hai avuto del drama!
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