“Ricorda, non combattere mai, a meno che tu non sia sicuro di vincere”.

Titolo originale: 忍びの家, Shinobi no ie; lett. The House of Shinobi
Regia: Takimoto Tomoyuki, Dave Boyle e Kento Kaku
Sceneggiatura: Yamahura Masahiro e Kento Kaku
Da un’idea di: Dave Boyle e Kento Kaku, con Imai Takafumi e Murao Yoshiaki
Cast: Kento Kaku, Yosuke Eguchi, Tae Kimura, Kengo Kora, Aju Makita, Nobuko Miyamoto, Riho Yoshioka, Tomorowo Taguchi, Pierre Taki, Takayuki Yamada, Tenta Banka, Tokio Emoto, Mariko Tasuitsui
Genere: action/ drama /thriller/ crime
Giappone, 2024 – j-drama, 8 episodi
Se Tarantino ha utilizzato indebitamente il nome di Hattori Hanzo nella sua duologia di “Kill Bill” per creare la figura di un leggendario maestro spadaio, anche noto come “l’uomo di Okinawa”, che fornisce armi e addestramento alla Sposa, Dave Boyle e Kento Kaku hanno ripreso la sua eredità ancestrale originaria, rendendo questa figura di guerriero così decisiva per la costruzione dello shogunato giapponese come capostipite della famiglia protagonista di questo drama giapponese, che, tra atti eroici e crisi familiari, riescono ad essere così vicini all’ordinarietà umana, pur nella loro leggenda.
Li conosciamo con ninja (忍者), anche se la pronuncia kon dei kanji che ne compongono il nome sarebbe più correttamente shinobi e suona come “coloro che si nascondono nell’ombra”. La loro nascita in Giappone è molto più recondita e misteriosa di quello che un semplice nome può significare, avvolta nella leggenda dei tempi passati che si perdono nella storia. Durante il feudalesimo giapponese, erano spie, specialisti di infiltrazione e sabotaggio, assassini, dediti ad atti criminali e di guerriglia su commissione, dalle abilità belliche e di combattimento incredibili, con grande disprezzo per la propria vita e per il rischio delle vite altrui, ma troppo “disonorevoli” per essere samurai (e, quindi, spesso loro braccio armato e oscuro). Furono determinanti nel periodo Sengoku, anche noto come il periodo degli “Stati combattenti” tra il 1467 e il 1603, utilizzati come mercenari prezzolati dalle figure di spicco di quella che è stata una delle più grandi e importanti crisi politiche del Giappone e che ha visto affrontarsi, con qualsiasi mezzo, diversi signori della guerra e nobili feudatari, per cui sono stati condannati all’oblio e alla sparizione forzata durante lo Shogunato, quando fu ripristinata la normalità sulle isole giapponesi, salvo costituire un gruppo di spie specializzato e segreto agli ordini proprio dello Shogun.
Forse è proprio per questo motivo che questa caduta nell’ombra li ha resi leggendari nella loro oscurità e clandestinità: pur non esistendo ufficialmente, nei secoli successivi, uscirono numerosi manuali ninja, che insegnavano le tecniche di lotta, di guerriglia, di spionaggio e anche di guerra psicologica utilizzati dai “guerrieri-ombra”, mentre i ninja rimasti di diffusero nel territorio, dividendosi in corporazioni e in clan familiari gerarchizzati e prendendo ordini dai vertici istituzionali che li reclutavano.
Con tali premesse, inizia anche la storia di “House of Ninjas“, dove i guerrieri-ombra per secoli hanno dominato nell’oscurità la storia giapponese, prima al servizio di diversi signori e dello Shogun, poi al servizio dell’imperatore giapponese.
In questo modo, ha sempre vissuto per secoli la famiglia shinobu Tawara, composta dall’anziana matriarca, Taki (Nobuko Miyamoto), dal figlio Soichi (Yosuke Eguchi di “Rurouni Kenshin“), dalla moglie Yoko (Tae Kimura), dai figli maggiori Gaku (Kengo Kōra di “Norwegian Wood“) e Haru (Kento Kaku di “Like a Dragon: Yakuza” ed “Alice in Borderland 3“, qui anche regista e sceneggiatore) e dalla figlia minore Nagi (Aju Nakita).
Quando lo spettatore fa la conoscenza di questa leggendaria famiglia di ninja, però, è successo qualcosa che ha spezzato la loro sicurezza e il loro coraggio, costringendoli a ritirarsi dal mondo dello spionaggio e delle missioni speciali e gettandoli anche in un baratro di depressione. Sei anni prima, infatti, durante una missione per salvare un politico da un rapimento, il figlio maggiore, Gaku, è rimasto ucciso e il suo corpo è finito disperso, lasciando nello sconforto e nel senso di colpa tutti i suoi familiari, a cominciare dal padre, che lo aveva inviato in missione, per continuare con la madre, che crede di non averlo protetto abbastanza, per finire, soprattutto, col fratello Haru, che si trovava sul luogo insieme a Gaku e che ha avuto un attimo di esitazione nell’intervenire per uccidere il contendente del fratello, non riuscendo, così, a salvargli la vita.
Sei anni dopo, Soichi e Yoko sono diventati produttori di birra artigianale, rifiutano qualsiasi mezzo del passato ninja e curano con dedizione la loro casa di periferia, allietata dall’arrivo di un altro figlio, Riku (Tenta Banka). Intanto, Taki è diventata una nonna a tempo pieno, anche se molto stramba e tra le nuvole, mentre la giovane Nagi, ormai cresciuta, è un’adolescente disadattata e otaku che ha iniziato l’università. Haru, invece, continua a convivere con il senso di colpa e la vergogna ed è diventato un adulto triste e solitario, negandosi qualsiasi piacere della vita e nascondendosi quasi dalla società, mentre vive in una piccola stanza in città, da cui si allontana solo per il lavoro come addetto ai distributori automatici.
“La prima priorità di un ninja è vincere senza combattere“. – Masaaki Hatsumi
Tuttavia, non si possono nascondere sempre le abilità ninja, soprattutto non quando sono così radicate nel DNA. All’insaputa di Soichi, la figlia Nagi mantiene una doppia vita, dividendosi tra la grigia studentessa universitaria che interpreta ogni giorno e la ladra di cimeli nei musei che si muove nell’ombra con le sue abilità. Così, anche la madre, Yoko, che finge di aiutare il marito nel suo birrificio e si scopre una casalinga perfetta, è rimasta sempre in contatto con polizia e servizi segreti per qualche piccola missione nell’anonimato, mentre l’anziana Taki si è messa ad insegnare al giovane nipote Riku i principi del codice shinobu, senza tralasciare dei veri e propri workshop pratici per addestrare il bambino come un ninja.
Anche Haru, che sembra mantenere salvaguardato il giuramento paterno e che soffre ogni giorno per la scomparsa del fratello, non riesce sempre a nascondere le sue abilità e si trova più volte costretto ad usarla per piccoli e banali interventi, che, però, possono determinare la salvezza della vita di coloro che gli sono accanto. Nonostante la sua prudenza costante e l’essersi quasi ritirato dal mondo, questi suoi atti altruisti e disinteressati richiamano l’attenzione di Karen Ito (Riho Yoshioka), una giornalista in cui si imbatte quasi ogni giorno in un piccolo ristorante di manzo vicino casa e che inizia a seguire il suo caso.
Il fatto è che i Tawara sono pur sempre degli shinobi e non solo faticano a nascondere le proprie abilità, ma faticano anche a nascondersi da chi li sta cercando, che siano istituzioni e agenzie governative per cui hanno lavorato o giornalisti a caccia dello scoop, che, poi, diventano amici, confidenti o qualcosa di più, o, infine, nemici acerrimi, come il clan Fuma, comandato da Yosuke Tsujioka (Takayuki Yamada di “Gridare amore al centro del mondo“), da sempre ostile ai Tawara, considerato responsabile della morte di Gaku e a capo del culto Gentenkai, una sorta di filosofia delirante che mira a costruire un nuovo ordine del mondo. Sollecitati dalla polizia, tra cui il detective Zensuke Omi (Pierre Taki di “Tokyo Swindlers“) e dal Bureau of Ninja Management, gestito da Majin Hamashima (Tomorowo Taguchi, attore feticcio di Takashi Miike), coadiuvato da Masamitsu Oki (Tokio Emoto di “Perfect Days“), i Tawara devono tornare in azione in modo silente e oscuro, per impedire che i Fuma destabilizzino la società e per fermare il loro culto, ma anche per ottenere finalmente quella vendetta e quel riscatto cercati sin dalla morte di Gaku. Fino a quando, però, non torna improvvisamente Gaku, che tutti credevano morto.
“La tua gentilezza è diventata la tua debolezza”.
“House of Ninjas” è un poema romantico e decadente su un mondo nascosto e tradizionale che sta tramontando, ma che lascia dietro di sé ancora quella scia di memorie mai perdute. Azione e dramma psicologico di mescolano insieme, in una trama che sembra riprendere i vecchi film di arti marziali e il gore pulp alla Tarantino, per mescolarli con il western alla Sergio Leone e con la commedia di crisi psicologica alla Woody Allen, passando da momenti di silenzi cupi a dialoghi brillanti, da personaggi volutamente solitari e tutti diversamente introversi e disturbati alla scoperta di se stessi, fino alla lirica di una storia d’amore inaspettata, sbocciata nel mezzo del pericolo. Sarà anche per questa commistione di generi, per la sceneggiatura incredibile di Kento Kaku, che sembra ritrarre le personalità dei protagonisti con inchiostro di china, sconvolgendo totalmente gli stereotipi sul genere e ripristinando l’originalità culturale giapponese, per la fermezza della doppia regia di Dave Boyle e Kento Kaku (abbiamo già detto che questo ragazzo, proveniente dal mondo del doppiaggio degli anime, sa fare praticamente tutto?), per le interpretazioni perfette e per la particolarità e l’incisività con cui è affrontata la materia che il j-drama ha avuto un successo inaspettato in tutto il mondo, entrando nella classifica dei prodotti più visti su Netflix al momento dell’uscita e ricevendo innumerevoli apprezzamenti e critiche positive.
Ma, soprattutto, “House of Ninjas” è l’apologia della caduta e della risalita, partendo dal senso di colpa che annichilisce l’animo e che attraversa tutte le fasi del dolore e del lutto fino ad arrivare all’accettazione, alla rassegnazione e all’azzeramento delle preoccupazioni per ripartire, dove l’obiettivo fondamentale della vendetta a lungo termine nei confronti di chi ha cagionato del male alla propria famiglia, coincide con il riscatto di se stessi e dei propri ricordi per consentire di rivivere il passato senza più provare dolore e scagionarsi dalle colpe in cui ci si è incastrati per tutta la vita.
Non serve essere ninja per comprendere la sofferenza e la depressione a cui sono legati tutti i componenti della famiglia Tawara, uniti solo dal lutto e da un’antica tradizione, ma, di fatto, disuniti proprio nel dolore. La loro condizione è quanto di più umano possa esistere e avere particolari abilità e doti fuori dal comune non rende esenti dal soffrire. Il loro dolore, che ognuno cerca di provare in solitaria, è la loro ricchezza e debolezza, al tempo stesso, ciò che li rende unici rispetto all’immagine cristallizzata di un ninja, umani e fragili, eppure così invincibili nelle risorse che solo la lunga sofferenza attraversata, elaborata e compresa, in tutte le sue fasi, sa fornire. Perché non bisogna demonizzare il dolore, la tristezza e la paura: sono gli unici veri super poteri che possono rendere grandi gli esseri umani.
Laura
Come suona la recensione?

L’ho guardato ultimamente e non immaginavo nemmeno io che mi potesse piacere così tanto! 🙂 Sono rimasta entusiasta dalla recensione così mi sono convinta a guardarlo e ho fatto proprio bene!
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Wow! Ti abbiamo convinta noi! Ne siamo onorate.
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