Dopo aver visto un film dello Studio Ghibli ogni volta che alzeremo gli occhi al Cielo quello che vedremo non sarà il solito Cielo, ma sarà qualcosa al di là della creatività e dell’immaginazione!
Cos’è la creatività? Un filo sottile tra sogno e follia. Non esiste un sogno senza un po’ di follia!
Il 15 giugno 1985 viene fondato a Tokyo lo Studio Ghibli (株式会社スタジオジブリ) da Hayao Miyazaki, Isao Takahata, Toshio Suzuki e Yasuyoshi Tokuma.
Miyazaki e Takahata già negli anni Settanta avevano lavorato insieme nella compagnia Nippon Animation, producendo anime importanti come ”Marco”, “Heidi” e “Anna dal capelli rossi”. Tuttavia, con il tempo, avevano capito di avere molte limitazioni dal punto di vista delle scadenze, dei tempi e del budget economico. Dopo alcuni lungometraggi come “Lupin III -Il castello di Cagliostro” e “Nausicaa della Valle del Vento” del 1984 prodotta da Topcraft, studio di animazione che fallì nel 1985, Miyazaki insieme al produttore storico Toshio Suzuki e al finanziatore Tokuma dovette cercare un altro studio che realizzasse i propri futuri progetti, ma, non riuscendo a trovare altro studio e grazie anche al suggerimento di Isao Takahata, fu fondato lo Studio Ghibli.
I primi anni furono davvero difficili e di grande sacrificio, i settanta impiegati animatori lavoravano a tempo determinato con ritmi serrati, mentre la sede dello studio era semplicemente un piano affittato in un edificio a Kichijoji, un sobborgo di Tokyo.
Tutto il resto è diventato Storia, Mito, l’incredibile vita di uno studio d’animazione creato da sognatori, che hanno deciso di volare in alto e di regalare al pubblico di tutto il mondo dei capolavori apprezzati da adulti e bambini.
Dal 2008 lo Studio Ghibli diventa l’unico studio d’animazione giapponese ad usare solo tecniche di disegno tradizionali per i propri film.
La vita dello Studio Ghibli, una storia emozionante tra sogno e follia così come il documentario diretto nel 2013 dalla regista Mami Sunada, già collaboratrice di Hirokazu Kore’eda, che riesce ad entrare all’interno dello Studio e con la sua macchina da presa ad immortalare le giornate di lavoro e di creatività.
Uno dei laboratori dell’animazione più famosi al mondo apre così le proprie porte del proprio regno! Un affascinante viaggio all’interno dello Studio Ghibli nel magico mondo di Hayao Miyazaki e Isao Takahata.
La regista dedica molte inquadrature alle scene della vita lavorativa quotidiana e il film si concentra sulle ultime fasi di lavorazione del meraviglioso “Si alza il vento” di Hayao Miyazaki, che ai tempi del documentario si pensava dovesse essere l’ultima opera del Maestro e del bellissimo “La storia della Principessa Splendente” di Isao Takahata.
Miyazaki mostra con entusiasmo la tecnica di animazione scelta per l’opera, l’accuratezza, i particolari nel dettaglio, con quella perfezione artigianale che tutti ormai conosciamo. Takahata, invece, è più schivo e appare nel documentario sempre di scorcio, mantenendo quella riservatezza e timidezza che lo hanno contraddistinto sempre nella sua vita. Ancora oggi rimpiangiamo Takahata che ci ha lasciati il 5 aprile del 2018 e che ci ha incantati con quest’ultima opera, “La Storia della Principessa Splendente”, ispirata ad un racconto popolare, dove mito, fiaba e sogno si intersecano e si impreziosiscono della visione realistica e nello stesso tempo onirica tipica del maestro Takahata.
Nel suo documentario, Mami Sunada riesce a coinvolgere lo spettatore che entra con curiosità, ma anche con grande rispetto e stima tra le sale, i laboratori dello Studio, carpendo piccoli particolari come la stanchezza dei disegnatori, la caparbietà di riuscire a completare le proprie opere, ognuno con il proprio differente carattere: Miyazaki che seguiamo fino al tavolo del lavoro che inizia ogni mattina la propria attività professionale alle 11 e termina alle 21 e Takahata che ha, invece, ritmi più lenti e che spesso bonariamente viene ripreso dall’amico Miyazaki per la sua lentezza, ma che ne stima le capacità e la creatività, oltre ad essere stato il suo mentore.
Alle spalle dei due creatori di sogni, il produttore Toshio Suzuki, che da sempre segue la lavorazione e tutto l’iter di realizzazione delle opere, colui che coordina con abilità e intelligenza e anche con tanta pazienza e comprensione la macchina produttiva dello studio, anche nelle piccole rivalità tra registi, nel loro differente modo di rapportarsi con il pubblico e con i media. Il lavoro di Toshio Suzuki è infatti complesso, ma l’amicizia decennale con i registi, la stima per la loro creatività e genialità e una certa impeccabile dedizione al lavoro, fanno sì che Suzuki diventa il collante di estrema importanza per la vita dello studio di animazione.
Nel documentario inoltre troveremo anche altre importanti figure dello studio, come lo stesso Goro Miyazaki, figlio di Hayao Miyazaki che ha firmato alcune opere molto belle e apprezzate come “I Racconti di Terramare” e “La collina dei papaveri”. Nelle parole di Goro si intravede una certa responsabilità a portare avanti la storia dello studio di animazione e il confronto con la genialità del padre così difficile da raggiungere.
Con lo scorrere del tempo e delle giornate, la macchina da presa di Sunada ha il dono di far vivere allo spettatore all’interno delle mura dello studio, di riconoscere i volti dei lavoratori come familiari, di seguire i movimenti di Miyazaki anche nei suoi stacchi di riflessione mentre, con pacata, ma cinica disamina, pensa al futuro dello studio, a cosa accadrà quando finirà tutto. Miyazaki con visione pessimistica affida al documentario i propri timori, le proprie paure, alla crescente diffidenza del mondo che cambia e non in meglio, un mondo in declino e lui “uomo del ventesimo secolo che si ritrova spaesato e disilluso da questo ventunesimo secolo”. Per fortuna che almeno ci sono i bambini e che quando li incontra sulla strada per andare a lavoro riesce a staccare dai pensieri più tristi e a recuperare la speranza nel genere umano. L’infanzia, epicentro delle opere del Maestro che con ironia, guardando il gatto che da anni vive nello studio di animazione, scherza affermando che il gatto almeno non ha incombenze e scadenze come gli esseri umani.
Miyazaki che fino alla fine riesce a comunicare allo spettatore quello spirito di continuità che per noi è linfa vitale e che ci lascia quel messaggio sulla creatività e sull’immaginazione che sono sogno e follia insieme e che solo chi sa guardare con il cuore di un bambino può capire:
“Vedi quell’uomo che annaffia le sue piante? Non ha idea che lo stiamo guardando. Guarda là. Vedi quella casa con tutta l’edera sopra? Da quel tetto, se uno con un salto arrivasse al tetto successivo, attraversando quella parete verde e bluastra, saltando all’insù, poi si arrampicherebbe lungo quel tubo, e infine, correndo su quel tetto, salterebbe sull’altro palazzo ancora…
Puoi farlo, con l’animazione.
Se riesci a camminare sul cavo, potresti vedere dall’altra parte.
Quando guardi dall’alto, ti si rivelano alcune cose che non sono affatto visibili. Si potrebbe correre lungo quel muro di cemento. All’improvviso una città che si pensava noiosa si trasforma per magia.
Non è divertente vedere le cose in questo modo?
Ti dà l’impressione che tu possa andare lontano e oltre.
Forse puoi”.
Personalmente ho dato immagine a queste parole e ho rivisto molte scene delle opere che ho amato di più.
Il documentario presentato si ferma al 2013, ma è un omaggio a Miyazaki, Takahata, Suzuki e a tutti gli instancabili componenti di uno degli studi di animazione più amati del nostro tempo.
Grazie, Studio Ghibli, per questi quarant’anni di sogni, immaginazioni, creatività e speranze!
Grazie da tutti noi sognatori, con l’infanzia nel cuore!
Grazia
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