“Vorrei che tu mi dessi una mano a vivere”

Titolo originale: 聲の形, Koe no katachi
Regia: Naoko Yamada
Soggetto: Yoshitoki Oima
Sceneggiatura: Reiko Yoshida
Genere: drammatico/ sentimentale
La forma del dolore
Un ragazzo cammina immerso nei propri pensieri, solo, smarrito nel proprio essere, le persone attorno a lui presentano una X blu e bianca sul volto, ma per Ishida Shōya – questo è il nome del ragazzo – è impossibile guardare in viso le persone e quindi conoscerle.
Shōya ha paura di guardare in volto gli altri, di ascoltare la loro voce, procede catatonico, in un puro stato di alienazione, in un tentativo estremo di nascondersi, di non esistere, di sparire o di farla finita, per sempre.
Ishida Shōya è il protagonista di questa storia, ma non è l’unica anima piena di dolore, il suo dolore è causato dal passato, dall’altro Ishida Shōya, il ragazzo che qualche anno prima era in stato di grazia tra i suoi coetanei, il ragazzo che, quando prendeva di mira gli atri, li distruggeva emotivamente. Cosa è accaduto a Ishida Shōya? E’ rimasto vittima del suo stesso agire violento, di quel bullismo riversato nei confronti degli altri e in particolar modo nei confronti di Shōko Nishimiya, sua compagna di classe, una ragazzina sorda impossibilitata a comunicare con gli atri se non attraverso un flebile balbettio, un dispositivo acustico e il linguaggio dei segni, tutte cose non comprensibili dai compagni di scuola. Shōya e gli altri ragazzi, infatti, iniziano a tormentare Shōko, a prenderla in giro, a inondarla di scherzi cattivi, rompendole più di una volta i dispositivi acustici. La povera Shōko, che dall’inizio avrebbe voluto essere parte della classe ed inserirsi nel gruppo dei suoi coetanei, è costretta a cambiare scuola.
Da quel momento in poi, però, la vita di Shōya cambia e da bullo diventa vittima, perché la colpa di tutto quello che è successo ricade solo su di lui e anche i compagni di classe con i quali organizzava scherzi cattivi lo additano come unico responsabile. Ishida Shōya diventa il capro espiatorio e, presto abbandonato da tutti, diventa presenza silenziosa, quasi invisibile, non riesce più a reagire alla vita, a guardare in viso le persone, a sentire il battito del proprio cuore. In lui si è abbattuta la paura, un senso di colpa, un immenso stato di dolore che, come una mannaia, lo tiene con la testa china perché consapevole di non riuscire più ad interagire con nessuno.
Qual è la forma del dolore? Il dolore è la sensazione più percettiva, impossibile da nascondere, una coperta che avvolge tutte le membra.
Shōko Nishimiya è stata vittima della società per la sua incapacità di sentire, a causa della sua disabilità; Ishida Shōya, invece, diventa vittima per la sua incapacità di ascoltare, di provare empatia e adesso crede che la sua unica possibilità di espiazione sia quella di “annullarsi”, di porre un confine tra sé e gli altri che hanno sul viso una croce perché Shōya crede di non meritare di guardare nessuno.
La forma del perdono
In questo stato di emarginazione il ragazzo cerca un percorso di redenzione che può essere intrapreso solamente chiedendo perdono a quelle persone che ha fatto soffrire. Cerca, quindi, di riprendere i contatti con Shōko Nishimiya che è diventata una ragazza dal carattere dolce e premuroso che sembra non nutrire rancore o rabbia nei confronti di Shōya, ma anche lei è piena di demoni da affrontare, la paura, la consapevolezza dell’impossibilità di comunicare, di farsi capire, di dialogare con gli altri.
La forma della redenzione
Shōya dovrà, quindi, tentare di comprendere la condizione della ragazza, capirla, provare empatia e affrontare con lei un percorso di sofferenza, come richiesta di perdono perché sa che solo con lei può ritrovare il filo smarrito della propria vita ed è solo il viso sereno e sorridente di Shōko Nishimiya che il ragazzo riesce a vedere. La voce non può separare, bisogna avere il coraggio di ascoltare, anche il silenzio.
“Da domani, guarderò tutti dritto negli occhi. Da domani, ascolterò attentamente tutte le voci”
“La forma della voce”, diretto da Naoko Yamada e sceneggiato da Reiko Yoshida è l’adattamento anime del manga “A Silent Voice” di Yoshitoki Ōima.
Il film trasmette un messaggio profondo e universale e riesce ad affrontare molte tematiche dolorose, il bullismo, la disabilità, l’alienazione, il suicidio, la depressione, tratteggiando in modo sensibile e delicato ogni situazione presentata e, anche laddove la ricerca di espiazione da parte del protagonista è un calvario violento con la propria coscienza, superando pian piano un percorso cupo e masochistico, la speranza viene rappresentata dai colori tenui pastello che impreziosiscono le scene dell’anime.
L’isolamento forzato di Ishida Shōya è raffigurato a livello visivo e artistico dalle inquadrature a volte sghembe o “allungate” dei corpi dei personaggi che non permettono anche allo spettatore di vedere i volti delle persone per vivere insieme al protagonista lo stesso stato di alienazione, così come la luce che avvolge, invece, come una nuvola delicata la figura di Shōko Nishimiya, unica persona di cui riconosciamo da subito il sorriso, i lineamenti dolci del volto.
“La forma della voce” è un’opera poetica e intensa e lascia nel cuore di chi la vede lacrime di sofferenza, ma anche tanta speranza nella vita, nella comprensione del prossimo e un messaggio ad ogni generazione, anche e soprattutto a quelle future. Ricordo che alcuni anni fa lo consigliai ad una amica il cui figlio preadolescente doveva curare un progetto scolastico la cui tematica era il bullismo. La mia amica vide il film insieme al figlio e mi disse che alla fine della visione erano rimasti entrambi in silenzio, ancora scossi dalla storia, ma mi ringraziavano per aver consigliato loro questo piccolo gioiello che sarebbe rientrato nel lavoro scolastico.
Credo, infatti, che sia questo il valore universale di un film!
Grazia
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