“Ogni volta che ci accade qualcosa, quel ricordo ci apparterrà per sempre, anche se non lo ricordiamo più. Basta solo un po’ di tempo per far tornare la memoria”.
“La città incantata” è per uno dei film più belli della storia dell’animazione mondiale, riconosciuto tale da molti critici e dallo stesso regista Spielberg.
Ricordo ancora la prima volta che lo guardai e ne rimasi immediatamente affascinata per la storia, i diversi significati e simbolismi di cui è ricco il film. Pensate ad “Alice nel Paese delle Meraviglie”, aggiungete elementi della tradizione shintoista, una visione personale e fantastica del regista, molti archetipi universali, un po’ di teatro kabuki e i significati più profondi che solo il sogno e l’inconscio riescono a percepire.
Forse nemmeno lo stesso Miyazaki avrebbe immaginato di riuscire a creare l’atmosfera magica che questa storia è riuscita a donare a milioni di persone e che continua a custodire un non so che di prezioso in una perfetta armonia universale. Hayao Miyazaki, tra l’altro, ebbe l’idea di lavorare su questa storia in un’estate, mentre era solito recarsi nella casa vacanze, ovvero una baita di montagna del suo produttore associato Seiji Okuda e della sua famiglia tra cui la figlia di dieci anni del produttore alla quale si è ispirato moltissimo per la protagonista Chihiro.
“Ho creato un’eroina che è una bambina ordinaria, una con cui il pubblico possa identificarsi. Non è una storia in cui i personaggi crescono, ma una storia in cui attingono a qualcosa che è già dentro di loro, tirato fuori dalle particolari circostanze. Voglio che le mie giovani amiche vivano in questo modo, e credo che loro stesse abbiano questo desiderio”.
Cosa attingiamo dentro di noi? In una analisi universale la prima cosa che ci viene in mente è il nostro nome, una parola con la quale veniamo chiamati, un nome che spesso ci hanno scelto i genitori al momento della nostra nascita ed è sul nome che verte l’avventura di Chihiro, un nome che le hanno scelto i genitori, ma che ora sono sotto un incantesimo e per questo è un nome che va custodito, non dichiarato, nascosto, perché dire il proprio nome corrisponde a presentare una parte di sé, ma se va affrontato un viaggio nella parte più sconosciuta del nostro inconscio dobbiamo far finta di dimenticarci momentaneamente di noi stessi per raggiugere l’obiettivo e riappropriarci del nome. Chihiro deve ricordare il proprio nome per non restare intrappolata nel mondo degli spiriti.
Il nome e l’importanza della memoria e dell’identità personale, credo che siano le tematiche fondamentali di questo capolavoro. La memoria, il nome, la costruzione della nostra identità e il viaggio che da sempre è l’inizio di un cambiamento sono le chiavi d’interpretazione della narrazione di questa storia.
Come anticipavo, sono moltissimi i simbolismi all’interno del film, ma proviamo ad analizzarne qualcuno, a partire dall’inizio.
Chihiro è una bambina che si sta trasferendo insieme ai genitori in un’altra città, durante il viaggio, però, il padre prende una strada sbagliata raggiungendo un tunnel. Chihiro ha un certo timore a proseguire e cerca di comunicarlo in qualche modo, ma i genitori si addentrano nel cunicolo che ha lo sbocco in una radura verde con delle case. I genitori pensano di aver trovato un parco divertimenti abbandonato e si addentrano per visitarlo, ma a malincuore la bambina li segue perché avverte qualcosa di strano. Dopo aver superato il letto di un fiume in secca, i tre raggiungono un quartiere che sembra deserto, ma è un complesso di edifici che ospitano ristoranti e locali, poi su un bancone trovano un piccolo buffet e si fermano a mangiare pensando di poter pagare quando qualcuno si mostrerà. La piccola Chihiro non vuole mangiare e inizia ad esplorare la zona tutt’intorno arrivando ad un complesso di bagni pubblici chiamato “Aburaya”, dove viene raggiunta da un giovane di nome Haku che le ordina di andarsene, ma nel tornare indietro scopre che i genitori sono diventati maiali, forse colpiti da qualche incantesimo e, inoltre, non si può più riprendere la stessa strada e attraversare il fiume perché ormai in piena.
Chihiro inizia a farsi prendere dallo sconforto e ad aver paura, soprattutto quando vede calare la notte e, le vie della città, che sembrava deserta, si affollano di spiriti, inoltre si accorge che pian piano sta diventando invisibile, poi Haku le si avvicina e le fa mangiare una bacca che proviene dal mondo degli spiriti e che permette a Chihiro di rimanere viva. Il ragazzo le spiega che l’unico modo per non essere catturata dai soldati di Yubaba, la strega che dirige il complesso, è quello di trovarsi un lavoro. Grazie all’aiuto dello yokai Kamagi e di Lin, una dipendente del complesso, Chihiro riesce ad ottenere una udienza presso la maga che le fa stipulare un contratto di lavoro in cui una delle clausole importanti è quello di essere privati del proprio nome, Chihiro viene rinominata Sen. La mancanza del nome, infatti, rende incapaci di abbandonare la città .
Da qui in poi lo scorrere del tempo per Chihiro, ora Sen, è lento, pieno di solitudine, di tristezza, anche se la ragazzina inizia a rafforzarsi, a comprendere le proprie grandi capacità, che non aveva mai valutato prima d’ora. Molti gli incontri, le scoperte, le avventure che si avvicendano in un tempo sospeso, tra incantesimi, prove, fatiche, amicizie, tanti i personaggi che entrano nella vita della bambina, la creatura mascherata Senza-Volto, Zeniba, la sorella gemella di Yubaba, il bebè Bo, gli shikigami, spiriti simili ai famigli, Kamaji, il vecchio delle caldaie, poi, infine, il mitico viaggio in treno e un drago a cui salvare la vita che è legato in qualche modo alla bambina.
“La città incantata” è un viaggio di formazione interiore, un percorso di crescita e di liberazione ed inizia proprio dall’entrata e infine dall’uscita dal tunnel che non è altro che la porta ad un mondo spirituale, il tramite tra la realtà umana e quella spirituale. Tutta la narrazione alterna piani mistici e reali, tra mito e fantasia, nella piena rappresentazione shintoista.
La creatura Senza-Volto è la rappresentazione della solitudine, dell’abbandono in cui si sente persa Chihiro ed è la tentazione di lasciarsi andare in un buco nero, per annullarsi, anche l’ingordigia della creatura è pura rappresentazione della depressione.
Yubaba, personaggio controverso che passa da momenti di tenerezza nei confronti di Bo a momenti di crudeltà nei confronti dei dipendenti del complesso, della stessa Chihiro e dei genitori che minaccia di divorare una volta trasformati in maiali.
Haku, uno dei personaggi più incantevoli mai descritti, l’aiutante magico di Chihiro, la sua anima gemella, il drago volante, divinità del fiume, i destini di Haku e Chihiro sono collegati e intrecciati.
La trasformazione dei genitori in maiali che ricorda l’episodio dell’Odissea quando l’equipaggio di Ulisse viene trasformato in maiali dalla maga Circe dopo il banchetto. Un discorso a parte andrebbe fatto anche per la simbologia del cibo all’interno della narrazione, tra tutti le bacche che vengono fatte mangiare a Chihiro per rimanere viva nel mondo degli spiriti. Chihiro che è come Persefone, del mito greco, ma con la differenza che Persefone non sarebbe mai voluta rimanere nel mondo dell’Ade, mentre Chihiro resta a lavorare nel mondo magico per poter liberare i propri genitori dall’incantesimo. Ade inganna Persefone, mentre Haku consegna a Chihiro un mezzo per proteggersi, liberarsi e fuggire.
Il Mostro di Fango, ovvero lo spirito del Fiume, invece, rappresenta la natura deturpata dagli esseri umani e questo è in linea con una tematica molto cara a Miyazaki e alle produzioni dello Studio Ghibli.
“La città incantata” è ispirata al romanzo della scrittrice Sachiko Kashiwaba, “La città incantata. Al di là delle nebbie”, il titolo originale “Sen to Chihiro no kamikakushi”, “La sparizione causata dai kami di Sen e Chihiro” dove i kami sono gli oggetti di venerazione nella fede shintoista, ma “kamikakushi” è anche un’espressione giapponese che viene usata per descrivere la sparizione improvvisa di una persona, un rapimento da parte di una divinità e si usa anche per indicare la tradizione, durante il lutto, di coprire con un foglio o un pezzo di stoffa bianca l’altare in miniatura che nello Shintoismo di solito si tiene in casa per adorare le divinità familiari.
“La città incantata” fu un grandissimo successo in patria che superò anche “Titanic”, ma anche nel resto del mondo, gli fu insignito, infatti, l’Orso d’Oro al festival di Berlino nel 2002 e l’Oscar al miglior film d’animazione nel 2003.
La colonna sonora del sempre bravissimo Joe Hisaishi rende tutta la magia della storia e regala dei brani indimenticabili come “One Summer’s Day”, “A Road to Somewhere”, “The Sixth Station”, “Always with me”. Per l’occasione Hisaishi fu supportato dall’orchestra New Japan Philharmonic.
“La città incantata” ha delle battute e citazioni meravigliose che ancora oggi a distanza di più di due decenni sono ricordate, la mia preferita è quella detta da Chihiro mentre in auto si abbandona ad un rammarico malinconico non appena lascia la sua casa per raggiungere la nuova città dove si trasferirà con i genitori. Questo perché in fondo tutti noi siamo un po’ Chihiro o lo siamo stati e abbiamo dovuto combattere per conservare il nostro nome e la nostra identità.
“Il primo mazzo di fiori della mia vita è un dono d’addio, che tristezza!”. ·
Grazia
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