Ci sono persone uniche che riescono a comunicare con solo delle immagini, con una canzone, con una musica o lasciandoci dei versi poetici senza tempo, Hayao Miyazaki appartiene a questa categoria di persone, coloro che lasciano alla storia e alle generazioni presenti e future dei messaggi universali che restano immortali e custoditi nel cuore sensibile degli esseri umani. Si tratta di messaggi pieni di umanità perché, nel suo mondo fantastico e ricco di simbolismi, Miyazaki è uno di quei registi che parla proprio di umanità e di emozioni umane, criptate in dimensioni oniriche e da sogno, complesse nella loro “semplicità”.
“Il ragazzo e l’airone” è l’ultima opera del Maestro ed è la sua ultima fatica costata più di sette anni di lavorazione, tra le fermate dovute al Covid 19, al lutto per la perdita del collega, amico e mentore Isao Takahata, per le difficoltà nel trovare i fondi per lo sviluppo e la produzione del film. Si tratta, però, di un lungometraggio la cui tematica principale è l’attesa, quella percepita dal tempo dovuto alla realizzazione stessa dell’opera ed è un film che parla di emozioni e di amicizia come quella dei fan di tutto il mondo che abbiamo atteso con fiducia e speranza l’uscita di quest’opera promessa anni prima da Miyazaki o la collaborazione dei colleghi dello Studio Ponoc, ex allievi o dipendenti dello Studio Ghibli che, appresa la difficoltà per i costi di produzione e per concludere l’opera, hanno collaborato con un lavoro di squadra eccezionale, perché in comune vi è la dedizione straordinaria nell’arte dell’animazione.
“Il ragazzo e l’airone” non poteva che essere un successo e anche la decisione di non dare inizio ad alcuna campagna promozionale per l’uscita in Giappone a luglio 2023 e poi nel resto del mondo, ha contribuito a rendere il film una prova di riservatezza interiore che ogni spettatore ha affrontato già dai primi minuti della visione, un ricercare un rapporto personale con la storia stessa del film senza avere premesse, spiegazioni o anticipazioni e facilitazioni visive, è bastata solo una locandina e il nome dello Studio Ghibli per andare al cinema e recuperare quel rapporto unico con le storie e i personaggi di Miyazaki, per ritornare nel suo mondo fantastico come quando si ritorna a casa dopo molto tempo.
“Il ragazzo e l’airone” è ispirato al libro di Genzaburo Yoshino, “E voi come vivrete?”, un romanzo scritto negli anni Trenta, ma di una modernità incredibile e che consiglio di recuperare. La trama del film di Miyazaki non è quella dell’opera di Yoshino, il romanzo, infatti, viene citato all’interno del lungometraggio quasi come “testamento” da parte della madre del protagonista al figlio, è, però, importante ricordare che per Mahito, protagonista del film, il romanzo di Yoshino è un testamento, come per noi spettatori lo è l’opera di Miyazaki, un messaggio nel messaggio, una cosa splendida a cui solo il Maestro poteva pensare.
Non mi dilungherò molto nella trama per non svelare a coloro che non hanno ancora avuto modo di vedere il film, la storia e i meravigliosi particolari e simboli che arricchiscono l’atmosfera. La storia è ambientata nel 1944, nel pieno della Guerra del Pacifico. Il dodicenne Mahito Maki perde la madre Hisako durante un bombardamento aereo su un quartiere di Tokyo in cui è coinvolto l’ospedale nel quale è ricoverata Hisako. L’ospedale va in fiamme e il ragazzo cerca invano e disperatamente di salvare la madre.
L’anno successivo il padre di Mahito, Shoichi, progettista di aerei, sposa Natsuko, sorella minore di Hisako e si trasferisce con la famiglia nella tenuta di campagna di Natsuko per allontanarsi dalla guerra. Mahito soffre ancora per la perdita della madre e per questa nuova situazione familiare, non riesce e non vuole abituarsi al cambiamento e inizia ad isolarsi. Un giorno, inseguendo nel bosco un misterioso airone cenerino scopre una torre abbandonata costruita dal prozio di Natsuko sopra un meteorite caduto dal cielo.
Nessuno vuole parlargli del prozio e della torre misteriosa e i giorni di Mahito sono tutti uguali, un’ombra di malinconia e di tristezza segue continuamente il ragazzo che, un giorno, dopo una lite con un compagno di scuola, si ferisce intenzionalmente alla testa per attirare l’attenzione del padre. Durante la convalescenza, Mahito trova nella sua stanza una copia del romanzo “E voi come vivrete?” dove la sua mamma ha lasciato delle note destinate a lui e che forse avrebbe voluto che il figlio le leggesse da più grande, Mahito, però, inizia a leggere, ma viene disturbato dall’airone fuori dalla sua finestra e dalle domestiche che cercano disperatamente Natsuko.
Quando il ragazzo, vede la matrigna allontanarsi in direzione della torre, la segue insieme alla domestica Kiriko e qui ritrova l’airone che lo deride e gli comunica che è suo compito addentrarsi nella torre per rivedere e salvare la zia e la madre.
All’interno della torre l’airone mostra a Mahito un’illusione ottica che rappresenta la madre Hisako, ma che appena viene toccata si scioglie, il ragazzo, arrabbiato, colpisce al becco con una freccia l’airone che si rivela un piccolo e grottesco spirito con sembianza umane che vive all’interno dell’airone stesso. Mahito costringe l’airone a fargli da guida all’interno della torre e qui il ragazzo si perderà in un mondo diverso, in una dimensione o universo parallelo simile al suo, ma in alcune parti più oscuro e misterioso dove farà conoscenza di personaggi e creature sovrumane come i parrocchetti carnivori che tenteranno di mangiarlo, i piccoli spiriti dei non-nati, la magica dama Himi che ha il potere del fuoco, il prozio che governa il suo universo e che mantiene lo stato delle cose, in un mondo lontano, dimenticato.
Il film è ricco di significati e di simbolismi e sembra di essere immersi in un’opera d’arte surrealista, il viaggio di Mahito è un viaggio interiore, nel proprio inconscio, ma è il viaggio del regista stesso che ci dona al contempo la possibilità di immergerci con il protagonista in una nostra esperienza personale perché la complessità e l’unicità di questa opera è la spettacolare singolarità di ogni scena e la visionaria e personale interpretazione che noi stessi diamo alla storia.
La prima sequenza del film si apre in modo realistico con l’incendio dell’ospedale e piccoli frammenti di carta in fiamme che danzano nel cielo di Tokyo illuminando la notte, il cuore del ragazzo si perde in quella notte simbolo della caducità umana che lo porta alla consapevolezza dell’esistenza della morte che potrà superare solamente inoltrandosi in un altro mondo, attraverso la torre, quasi una vera e propria discesa negli inferi, Orfeo alla ricerca di Euridice che non può parlargli, così Mahito che insegue la zia-matrigna e la madre per riportarle nel mondo terreno. Sulla porta della torre, non a caso, è incisa la scritta “Fecemi la Divina Potestate”, un riferimento all’Inferno dantesco.
L’airone cenerino, figura complessa e aiutante del protagonista, è simbolo del passaggio da un mondo all’altro, dalla vita alla morte, da una dimensione all’altra, il colore cenere è il colore della spiritualità come penitenza e il viaggio di Mahito è un viaggio di scoperta, di attesa e di penitenza stessa.
Il mondo sommerso all’interno del film è quello della creatività e corrisponde al subconscio di Mahito. Qui troviamo la figura del prozio simbolo di equilibrio universale, si dice che per questa figura Miyazaki si sia ispirato al compianto Isao Takahata co-fondatore dello studio Ghibli che ha passato il testimone al maestro Miyazaki.
Un aspetto molto interessante è quello della fuga dalla realtà e poi anche dal mondo parallelo. Mahito rappresenta, infatti, tutti noi, in costante e continua ricerca di equilibrio, di ripescare nei ricordi passati per trovare quelle emozioni e quella forza che ci permettono di continuare a vivere e superare gli ostacoli, vivere la paura e il dolore, prendere coscienza della vita, ma, per percepirla ancor meglio, realizzare prima l’idea di morte, superarla e riappacificarsi con la propria esistenza, sapendo che non è infinita, ma che ognuno di noi cerca di afferrare uno dei tredici elementi per portalo con sé nel proprio mondo come il protagonista della storia. Quando ritroveremo l’uscita dalla torre sarà tutto più chiaro, avremo le scarpe consumate, ma la consapevolezza di esserci e di appartenere ad un meraviglioso squilibrato mondo imperfetto che cercheremo di riassettare nel nostro piccolo spazio.
Ritroviamo in questo film tutte le tematiche care a Miyazaki, il volo, la Natura, la magia, la fantasia, la riflessione sull’inutilità della guerra, creature dalle sfaccettature complesse in bilico tra bene e male, la figura della madre, si dice che quest’opera sia quasi un’autobiografia del maestro e sicuramente vi è molto della vita del regista, ma ritengo che questo film sia anche un’esperienza personale, quella di ognuno di noi, perché soprattutto, andando avanti con gli anni, ci accorgiamo che siamo tutti testimoni della generazione presente, diamo la mano alla generazione passata e con il tempo cogliamo i loro dispiaceri, le loro fatiche, le loro sconfitte e porgiamo le nostre aspettative e le nostre speranze a quella futura. Per riuscire a continuare a vivere, anche dopo che “si alza il vento”, bisogna riconoscere tutte le tappe della vita, l’importanza del passato, la percezione vivida di un presente da migliorare per passare il testimone al futuro come dei “prozii”, sperando di lasciare un messaggio che venga colto dalle generazioni future come Coper, protagonista del romanzo “E voi come vivrete?” e con le sue parole piene di entusiasmo, voglio terminare questa recensione:
“Penso che il mondo dovrebbe diventare un luogo in cui tutti possano essere amici. L’umanità è stata capace di progredire fino a oggi, perciò sono convinto che non sia lontano il giorno in cui riuscirà a raggiungere questo stadio. Io, da parte mia, voglio diventare un essere umano capace di contribuire alla crescita di questo mondo”*.
*Genzaburo Yoshino, “E voi come vivrete?”, Kappalab s.r.l., Bologna, settembre 2019
Grazia
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