“Sono io che ho spinto alla ribellione. Lasciate liberi tutti gli altri”.
(Yu Gwan-sun)
Yu Gwan-sun (di cui abbiamo già parlato nell’articolo Yu Gwan-sun e le altre: le donne che hanno lottato per l’indipendenza coreana) è stata la madre e l’ispiratrice dell’indipendenza coreana, considerata la sorella maggiore di Corea, martire della libertà, morta con coraggio per affermare le sue idee e la liberazione del suo popolo. Tuttavia, tutta la storia dell’indipendenza coreana è costellata di figure femminili grandi ed emblematiche, che hanno fatto della lotta per riconquistare la libertà del proprio paese la propria missione e la propria vita. Qui di seguito vogliamo accennare brevemente ad alcune di loro.
Kim Maria (김마리아, 1891-1944) è stata la fondatrice della Korean-American Anti-Japanese Women’s Activist Organization, l’organizzazione femminile delle attiviste coreane e americane contro la dominazione giapponese, una delle anime fondamentali alle spalle delle dimostrazioni del Movimento del Primo Marzo. Nata come Kim Jin-sang, divenuta poi Kim Geun-po, Maria apparteneva ad una famiglia cristiana presbiteriana di proprietari terrieri, abitanti nel distretto di Jangyeon nella regione del Sud Hwanghae, oggi parte della Corea del Nord, e apprese dal padre sia il concetto della vita come missione cristiana, sia la forte coscienza sociale e nazionale. Rimasta presto orfana di entrambi i genitori, venne, poi, cresciuta dallo zio, Seo Byeong-ho, che, insieme al figlio Seo Jae-hyeon, era già un attivista per l’indipendenza della penisola coreana sotto la dominazione giapponese e collaborava con il governo coreano in esilio in Manciuria. Zia di Kim Maria era anche Kim Sun-ae, attivista per l’indipendenza e moglie del politico e componente del governo in esilio Kim Kyu-sik. Fu proprio in questo periodo e in un ambiente simile che i semi dell’amore per il proprio popolo e il desiderio di lottare per la sua liberazione già appresi dal padre trovarono alimento, divenendo la missione fondamentale della vita di Maria.
Studentessa eccellente, dopo essersi diplomata alla scuola femminile Yeondong, Maria ebbe la possibilità di completare la propria istruzione all’Università femminile di Tokyo e, al tempo stesso, di entrare attivamente nel movimento per l’indipendenza, svolgendo il proprio lavoro sotto copertura in terra nipponica. Dopo la morte in condizioni sospette di Re Kojong, ultimo regnante Joseon di Corea, il 21 gennaio 1919, Kim Maria, unica donna tra gli 11 rappresentanti eletti nelle università, fu tra gli studenti coreani in terra giapponese che redassero la Dichiarazione d’Indipendenza di Corea dell’8 febbraio 1919 (antecedente e prototipo della Dichiarazione d’Indipendenza di Corea del primo marzo) e partecipò alle manifestazioni studentesche davanti alla sede del governo giapponese a Tokyo contro l’annessione della Corea: arrestata, torturata per otto ore ed espulsa, Maria non si perse d’animo e, nascosta e cucita una copia della Dichiarazione all’interno delle sue vesti, tornò in Corea con l’obiettivo di fornire ai movimenti per l’indipendenza in patria l’input giusto per la stesura di una Dichiarazione d’indipendenza ufficiale. Arrestata durante le manifestazioni del primo marzo 1919, mentre guidava un folto gruppo di studentesse e di insegnanti, ai giapponesi che la interrogarono, chiedendo il motivo di questa grande mobilitazione femminile, rispose: “La popolazione femminile coreana non è abituata a stare ferma a guardare“. Rilasciata nell’agosto dello stesso anno, formò l’Associazione delle Donne Patriottiche di Corea (Daehan Aeguk Buinhoe), un’organizzazione di attiviste che si occupavano di raccogliere fondi per la causa, ma anche per la pubblicazione di libri e pamphlets per far conoscere la situazione della Corea all’estero. Arrestata nuovamente e condannata a tre anni di carcere duro, grazie alla rete di contatti internazionali che era riuscita a creare negli anni, riuscì a fuggire prima a Shangai e, infine, nel 1923, negli Stati Uniti.
Nella sua vita da esule, studiò teologia a Chicago e a New York ed iniziò una serie di conferenze e di incontri per portare l’attenzione internazionale sul caso coreano, parlando anche all’Associazione americana delle università femminili e in diversi altri fori e formando il Geunhwahoe, gruppo femminile per l’indipendenza coreana. Tornata in Corea nel 1933 per cercare di portare a termine la sua missione, forte anche del consenso internazionale ricevuto, che, in qualche modo, la proteggeva dalla repressione giapponese, non venne arrestata; tuttavia, le fu proibito di risiedere a Seoul e le fu concesso il solo insegnamento del corso di teologia presso il Martha Wilson Seminary, un modo per limitare e contenere lo spirito di questa grande donna. I problemi di salute accumulati in seguito alle torture e ai maltrattamenti subiti durante la vita aumentarono al suo ritorno in Corea, portandola alla morte nel 1944, solo un anno prima che la sua terra potesse vedere riconquistata l’indipendenza. Nel 1968, è stata insignita, postuma, dell’Ordine al Merito di Corea per i servizi resi alla nazione.
Di lei il politico e attivista coreano Ahn Chang-ho disse: “Se solo avessimo dieci persone come Kim Maria, il paese potrebbe ottenere l’indipendenza da sé“.
Choi Eun-hee (1904-1984) è stata la prima donna giornalista di Corea. Ancora studentessa presso la Scuola Superiore Femminile di Gyeongseong, prese parte alle manifestazioni del primo marzo 1919, convincendo le altre studentesse ad unirsi alla causa dell’indipendenza. Come ha rivelato più tardi nel suo memoir, nella scuola era già presente un gruppo di 79 attiviste tra le studentesse e le insegnanti. Riconosciuta come leader delle studentesse (insieme alle coetanee Choi Jeong-sook, Gang Pyeong-guk e Ko Su-seon), venne arrestata e detenuta nelle prigioni giapponesi, dalle quali uscì con una condanna agli arresti domiciliari presso la sua abitazione di campagna (da cui, però, continuò le sue attività anti-giapponesi, prendendo una nuova condanna a sei mesi di carcere e a due anni di detenzione domiciliare).
Nel 1924, Choi divenne giornalista e, dopo una selezione di giovani reporter della rivista Chosun Ilbo, venne inviata a Tokyo per continuare gli studi presso l’Università femminile. Qui si distinse per la sua attività giornalistica obiettiva e analitica, occupandosi di una serie di fatti e di eventi (tra cui anche i voli di prova degli aeroplani). Tuttavia, la sua attività anti-giapponese continuò di pari passo attraverso la creazione di Geunuhoe, un’organizzazione femminile che si opponeva al dominio giapponese in Corea.
Dopo la liberazione e la conquista dell’indipendenza, continuò a scrivere, raccogliendo le storie delle donne che avevano contribuito all’indipendenza coreana. A lei si deve la maggior parte delle informazioni che abbiamo oggi, raccolte nei volumi “The Sweet Fragrance of the Land of the Rose of Sharon: The True History of the March 1 Struggle” e “Until the Homeland Is Restored: The Secret Story of Korean Women’s Movement, 1905-1945”, oltre al ritratto al femminile “Women’s Advancement over 70 Years: Recollections of the First Female Reporter”. A lei è intitolato il premio per le donne giornaliste, fondato dalla rivista Chosun Ilbo.
Laura

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