Ho visto per la prima volta “Past Lives” sull’aereo di ritorno dal mio viaggio in Corea del Sud nell’ottobre del 2023, ero rimasta da subito incantata, ma credevo che quel velo di nostalgia e quel sapore malinconico fossero dovuti alla sensazione di ritorno che proviamo tutti dopo un viaggio che ci ha lasciato molto come ricordi, colori, emozioni e immagini e, in effetti, non avevo proprio torto, “Past Lives” è un film che parla di eterni ritorni, come lo sono i ricordi, i rimpianti e come lo sono quelle infinite domande che quotidianamente ognuno di noi pone a se stesso: “Se avessi fatto diversamente?”, “Se avessi risposto in un altro modo”, “Se avessi fatto altre scelte?”
Nella nostra vita abbiamo un cruccio esistenziale, in alcuni casi possiamo scegliere solo una volta e tutto il resto viene da sé, una conseguenza di interminabili reazioni, un effetto domino che compromette spesso tutto il resto della nostra esistenza. Cerchiamo, quindi, dei riferimenti, delle continuità, delle speranze o delle piccole certezze per accettare le nostre scelte o abbandonarci a delle momentanee malinconie.
“Perché mi hai cercata?”
“Volevo solo rivederti”
Così, in una delle scene più liriche del film, i due protagonisti cercano di motivare quel piccolo stacco dalla loro vita ordinaria, quell’incontrarsi dopo ventiquattro anni in un Paese che non è quello del protagonista, che è lì come turista, ma è che è quello scelto dalla protagonista, che è lì emigrata.
“Past Lives” è di certo uno dei film più belli degli ultimi anni e in questi giorni se ne parla davvero molto, candidato a diversi premi internazionali importanti, ha entusiasmato critica cinematografica ed emozionato il pubblico di tutto il mondo, per cui, credo di essere stata fortunata ad averlo visto alcuni mesi prima e in un’occasione unica come quella di un viaggio importante per me stessa, un’occasione che lo ha legato ad una mia esperienza personale e che lo ha protetto e custodito in un piccolo baule prezioso con una mia visione intimista. Ho deciso di parlare di questo film non con una recensione normale, perché in rete e nei giornali troverete la trama dettagliata e alcuni commenti cinefili irraggiungibili per bellezza di critica e analisi; desidero, invece, ripercorrere alcune immagini più belle del film, unite al mio ricordo e associate ad alcune tracce della meravigliosa colonna sonora.
Hey, That’s No Way to Say Goodbye – Leonard Cohen
… I loved you in the morning, our kisses deep and warm
Your hair upon the pillow like a sleepy golden storm
Yes, many loved before us, I know that we are not new
In city and in forest they smiled like me and you
But now it’s come to distances and both of us must try
Your eyes are soft with sorrow
Hey, that’s no way to say goodbye
Corea del Sud. Ventiquattro anni prima. Na Young e Hae Sung, dodicenni, sono compagni di classe e provano l’uno per l’altra un forte legame e sentimento. Da lì a poco, però, la famiglia di Na Young sceglie di emigrare in Canada e i due ragazzini sono destinati ad allontanarsi e a perdere i contatti. Il nome di Na Young verrà “occidentalizzato” in Nora Moon.
Scena più bella, i due ragazzi che giocano insieme vicini ad un monumento e si scambiano sguardi d’intesa e di affetto, lo stesso sguardo malinconico lo rivedremo a New York quando i due si rincontreranno dopo molti anni, ormai adulti e da sfondo vi saranno le sculture, la baia, i grattacieli.
It’s Not Love If It Hurts Too Much – Kim Kwang-seok
“Quando ti lascio andare guardo la luce delle stelle che tramontano”
Questa malinconica canzone di Kim Kwang-seok si perde negli sguardi di due ragazzini smarriti che si danno l’ultimo saluto, consapevoli di essere legati da un affetto molto forte, ma riconoscendo di non poter scegliere. Anche a dodici anni lasciarsi è doloroso soprattutto quando si percepisce di aver trovato una corrispondenza di sentimenti che hanno un’importanza tale da trascendere spazio e tempo.
Scena più bella: Il giovane Hae Sung a testa china, con in mano un pallone da basket, che saluta la giovane Na Young vicino ad una scalinata. Scena che verrà ripresa nel finale, quando i due, ormai adulti, si salutano nuovamente con lo stesso doloroso senso di impotenza.
Do You Remember me – Christopher Bear
Dodici anni dopo. Hae Sung ha terminato il servizio miliare e studia ingegneria all’università, Nora, invece, dal Canada si è trasferita a New York per perfezionarsi nello studio di sceneggiatrice. Un giorno la ragazza scopre sulla pagina Facebook del film diretto da suo padre che Hae Sung la sta cercando, ma non sa che la sua vecchia compagna di scuola ha cambiato nome. Nora, quindi, gli invia un messaggio e così iniziano a sentirsi tramite videochiamate su Skype in orari in cui entrambi possono essere svegli. Riprendere i contatti è un ritorno ad un antico sentimento, a quelle emozioni rimaste in sospeso dodici anni prima, divise da un oceano e dalle scelte degli adulti. Parlano, si confidano, si raccontano, lasciano evadere da sé le proprie speranze, ma si trovano in un momento della giovinezza dove si intraprendono delle scelte che compromettono i futuri anni della propria vita. Hae Sung è in procinto di partire per la Cina per imparare il mandarino che gli potrà essere utile nella sua carriera lavorativa, mentre Nora ha in previsione la partecipazione ad un ritiro di giovani sceneggiatori e scrittori ed è la stessa Nora che, in un’ultima videochiamata, confida a Hae Sung di non sentire la necessità di tornare in Corea, di volersi ambientare meglio a New York e di concentrare le proprie forze sul suo lavoro e sulla scrittura, per cui sarebbe il caso di smettere di parlarsi per un po’.
In Yun – Christopher Bear
Dodici anni dopo. Durante il ritiro per giovani scrittori Nora ha conosciuto Arthur Zaturansky con il quale si è sposata e con il quale vive in un appartamento a Manhattan. Un giorno, però, si ripresenta Hae Sung che ha deciso di trascorrere una vacanza a New York per incontrare l’amica d’infanzia.
Un incontro, un incontro di sguardi e si rifà vivo nuovamente nel cuore di entrambi quel sentimento che è rimasto sopito in lei e nascosto in lui.
In-Yun è una parola che in coreano significa “destino”, ma in realtà si riferisce in modo particolare ai rapporti tra le persone.
“È un In-Yun persino quando due sconosciuti camminano per strada e i loro vestiti si sfiorano appena. Perché significa che c’è stato qualcosa tra loro nelle vite passate”.
Nelle vite passate di Nora e di Hae-sung è successo qualcosa oppure è destino che in una prossima vita i due giovani potranno trovare modo di stare insieme?
Tutta la sequenza di scene dell’incontro dei due è meravigliosamente lirica e di una dolcezza infinita, pochi dialoghi, molti silenzi, sguardi sospesi che ricreano un’intimità poetica. Nora accompagna il suo amico d’infanzia alla scoperta dei luoghi più caratteristici e turistici di New York, ma le immagini più belle sono quelle in metropolitana, dove la regista crea qualcosa di incredibile, l’inquadratura delle mani dei ragazzi che si sostengono al palo interno della cabina della metro, sembra quasi che si sfiorino ed invece a sfiorarsi sono i loro sguardi e noi li vediamo dalla finestra esterna della carrozza della metropolitana.
Don’t Look Back – Them
Don’t look back
To the days of yesteryear
You cannot live on in the past
Don’t look backAn’ I’ve known so many people
They’re still tryin’ to live on in the past
Hae Sung, Nora e il marito Arthur escono fuori a cena, si trovano in un bar e qui i tre cominciano a parlare, all’inizio Nora traduce le parole al marito che non conosce il coreano, ma poi, via via, nel corso della conversazione, i discorsi e i ricordi vengono raccontati nella lingua materna.
I due amici d’infanzia si chiedono cosa sarebbe accaduto se Nora non avesse mai lasciato la Corea del Sud e fossero rimasti insieme. Una serie di rimpianti e di cose che potevano essere diverse, ma entrambi sono persone che non possono restare l’uno per l’altra, divisi da distanze, da modi di vivere differenti perché “Past Lives” è anche una profonda riflessione sull’identità, a quella che ci lasciamo alle spalle e a quella a cui siamo legati.
You Know More Than I Know – John Cale
Hae Sung e Arthur restano per qualche minuto da soli al bar, mentre Nora si è alzata per andare in bagno. Il sorriso timido dei due che non sanno cosa dire, poi Hae Sung si scusa con Arthur per aver parlato solo con Nora, ma gli confida di essere contento di averlo conosciuto. Nello sguardo di Hae Sung, infatti, c’è una profonda gratitudine e stima per quest’uomo che con sensibilità è riuscito a comprendere quel sentimento che la moglie aveva conservato in sé per ventiquattro anni, quell’ultimo legame con il suo Paese d’origine e che stavolta ha potuto rendere visibile nella vita che ha scelto di vivere a New York.
Quiet Eyes – Sharon Van Etten
Moving statues in the park
Mosaic faces fading in the rain
Recalling memories of loss
Yet untouched and unscathedIs this really a mystery life?
Nora accompagna Hae Sung al taxi e nell’attesa che arrivi si scambiano lunghi sguardi malinconici. Hae Sung si chiede se per caso stanno vivendo una vita passata e chissà quale sarà la loro relazione in una prossima vita, ma Nora non sa rispondere. I due si salutano e abbandonano quell’ultimo sguardo al cielo infinito che in quel momento li unisce nel chiarore delle stelle:
“Ci vediamo allora”, così saluta Hae Sung, prima di salire sul taxi e sparire in un’altra vita.
Nora torna dal marito e lo abbraccia riuscendo finalmente a piangere.
“Past Lives” ha la stessa intensità di emozioni che prima di allora avevo visto solo nei film di Wong Kar Wai, con una leggerezza di immagini come una pennellata di colore soffuso. La regista, Celine Song, è riuscita a creare un piccolo capolavoro impreziosito dalla recitazione di un’intensa Greta Lee (Nora), da un bravissimo John Magaro (Arthur) e da un malinconico e indimenticabile Teo Yoo (Hae Sung).
Le tracce musicali scelte hanno accompagnato la mia seconda visione al cinema e mi hanno regalato una storia che avevo bisogno di rivedere per imprimere meglio le immagini e conservare nel mio cuore le emozioni.
Grazia
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