“Il mare è il posto migliore dove essere, quando si ha qualche problema: è tranquillo e nessuno ti dà fastidio qui”. – Ko Mi-ja (interpretata da Kim Mi-kyung in “Welcome to Samdal-ri”)
Il successo del k-drama Benvenuti a Samdal-ri ha fatto emergere in tutto il mondo la figura della quasi leggendaria pescatrice subacquea dell’isola di Jeju, conosciuta con il nome haenyo e divenuta caratteristica non solo dell’isola a Sud della Corea, ma anche della forza e della resilienza tacita della donne coreane, adattatisi nei secoli a lavori ardui, spesso in sostituzione di uomini costretti ad emigrare.
Mentre l’origine di questa professione naufraga ancora parzialmente nella leggenda, il termine haenyeo (in hangul 해녀 e in hanja 海女) significa letteralmente “donne del mare”, contenendo in sé l’essenza femminile (il radicale 女) e l’immensità della distesa marina con tutta la sua ricchezza di vita e di risorse (il radicale 海) e ammanta queste figure di donne pescatrici quasi di una parvenza lirica. Le prime testimonianze di immersione in acqua, pesca subacquea e apnea sull’isola di Jeju risalgono storicamente al 400 d.C. circa, confermando la propensione degli abitanti dell’isola a mantenersi pescando molluschi, crostacei, alghe e frutti di mare direttamente dal fondo marino. Si reputa che, inizialmente, la maggior parte dei pescatori subacquei fossero uomini, anche in considerazione alla pericolosità del lavoro e alla collocazione marginale della figura della donna. Il cambiamento sociale e demografico, che destabilizzò la Corea durante il XVII secolo, dovuto principalmente alle invasioni giapponesi con relativo arruolamento forzato della popolazione maschile e, successivamente, al vassallaggio coreano nei confronti dell’impero cinese con relativa traduzione in prigionia di un certo numero di forza lavoro maschile, gravò pesantemente sull’isola di Jeju, trasformando la professione di pescatore subacqueo in una tradizione femminile, quasi un sacerdozio rituale e ben catalogato, che le haenyeo trasmettono di madre in figlia, con una rigida scuola. Già durante il XVIII secolo le testimonianze storiografiche citavano che il numero delle donne impiegate in tale attività aveva superato quello degli uomini, anche per presupposti motivi che le avrebbero rese più resistenti alle correnti marine e ai freddi e più propense al galleggiamento.
Tuttavia, la vita delle haenyeo era turbata da eccessive imposizioni fiscali, in quanto lo Stato era ritenuto proprietario di tutta la vita vegetale e animale dei mari e, quindi, doveva essere remunerato di un elevato tributo proveniente dalla pesca delle haenyeo. Questa condizione, da una parte, le rese più esposte ai rischi e a morti precoci (le haenyeo spesso erano costrette ad immergersi a temperatore fredde e a profondità enormi anche durante la gravidanza); dall’altra, contribuì a scardinare il rigido comportamento maschilista derivante dalle regole confuciane dell’entroterra, facendo sorgere un vero e proprio matriarcato, in cui le haenyeo non solo erano coloro che provvedevano al sostentamento della famiglia, ma erano anche coloro che dovevano prendere le decisioni fondamentali per la comunità e a cui era affidato il compito di custodire le tradizioni e i segreti, come i riti misterici dello sciamanesimo. La figura delle haenyeo in questa cultura matriarcale e decentrata, dipendente dalle turbolenze marine e del vento, divenne connessa alla figura della sciamana, che tramandava il proprio potere e la propria comprensione del divino in linea femminile in seno alla famiglia. Era l’haenyeo, in quanto donna del mare, pescatrice volitiva e coraggiosa e sciamana, che ogni anno invocava la Yeondeungsin (영등신), la dèa del vento, colei che contribuiva a rendere ricca o parca la pesca delle haenyeo e che, non a caso, era il fulcro dell’essenza femminile e della forza tacita delle haenyeo stesse. In tutto ciò, infatti, le haenyeo hanno sempre vissuto a contatto diretto con la natura e con i suoi elementi, prendendo solo il necessario, senza spogliare le risorse e mantenendosi in equilibrio perfetto, come delle vere sacerdotesse.
Il matriarcato delle haenyeo divenne preponderante durante il XX secolo, ovvero dopo l’invasione giapponese e la perdita dell’indipendenza coreana, sia per l’eliminazione di dazi e di tributi da versare all’apparato statale Joseon e l’aumento del prezzo di abaloni e altri molluschi di mare al centro del mercato gestito dall’Impero giapponese, sia per una nuova forza che caratterizzò le donne nella loro autoprotezione costante di fronte alle brutalità dell’esercito nipponico. Risalgono a quel momento tradizioni che sono rimaste tuttora intatte sull’Isola di Jeju (e in altre isole coreane, affette dalla cultura haenyeo), tra cui: il dovere per gli uomini di rimanere a casa a prestare le proprie cure ai figli, mentre le mogli si immergevano in acqua per lavoro, ma anche il sovvertimento della tradizione della dote, che non doveva accompagnare la sposa al momento delle nozze, ma lo sposo, lasciando la libertà alla donna di scegliere in base alla ricchezza che il matrimonio poteva portare, e, infine, l’utilizzo da parte delle haenyeo di indumenti molto leggeri e quasi “succinti” per pescare, senza alcuna reprimenda sociale (le mute da sub furono introdotte solo dagli anni ’70, per cui, prima, le haenyeo si immergevano indossando un leggero costume di cotone, oggi divenuto simbolo dell’Isola di Jeju, che, talvolta, non riusciva a nascondere appieno le nudità).
Ancora oggi, nonostante il loro numero sia diminuito fortemente, anche per l’evoluzione di strumenti meccanici e di allevamenti ittici intensivi, le haeneyo iniziano l’addestramento molto giovani (intorno agli 11 anni o, al massimo, 15, mentre è molto raro che possano cominciare da adulte). La scuola, che comprende esercitazioni molto ardue e prove di apnea ed è gestita dalla haenyeo più esperte, dura almeno 7 anni. Dopo l’addestramento, le haenyo si distinguono in base alla propria esperienza e alla propria bravura in hagun (grado inferiore), junggun (grado intermedio) e sanggun (grado superiore).
La cultura delle haenyo fa parte oggi del patrimonio culturale dell’umanità tutelato dall’UNESCO, iscritto dalla Repubblica della Corea del Sud nel 2016, ed è tutelata in un museo appositamente dedicato sull’Isola di Jeju (lo stesso dove si reca il personaggio interpretato da Ji Chang-wook nel drama Benvenuti a Samdal-ri). Potete consultare la scheda Culture of Jeju Haenyeo (women divers) qui per scoprire le pratiche e le tradizioni delle haenyo, che vanno dalla pesca subacquea, alla cura della natura marina, al confezionamento di ceste e alla raccolta di piante e alghe fino alla preparazione di rituali e alla preservazione di tradizioni locali, come i loro canti del mare, che riecheggiano le onde e il verso dei delfini di Jeju.
La figura delle haenyeo è oggi stata portata all’attenzione del grande pubblico anche per essere apparsi in diversi prodotti televisivi, tra cui il già citato drama Benvenuti a Samdal-ri, ma anche Our Blues e Pachinko, in film come My Mother The Mermaid (noto anche con il titolo italiano Mia Madre La Sirena), dove l’attrice Jeon Do-yeon (Crash Course in Romance, A Man and a Woman) interpreta il ruolo della figlia di una haenyeo di Jeju che tenta di ricostruire il passato della madre sull’isola e della stessa madre da giovane. Recentemente, le haenyeo sono diventate protagoniste anche di alcuni romanzi di grande successo, tra cui “Le madri di vento e di sale” di Lisa See e “Figlie del mare” di Mary Lynn Bracht (che tratta anche la tematica delle comfort women in tempo di guerra).
Ma le haenyo sono state anche muse e sirene della poesia tradizionale coreana, figure quasi leggendarie, depositarie della cultura tradizionale e di quel legame, tutto femminile, con la natura, che si trasfonde nella linea dell’orizzonte tra l’azzurro del cielo e il verde acqua del mare.
“A Tongpo vidi delle haenyeo catturare abaloni…in piedi, nella loro
nudità, addentrarsi nelle profondità marine come fossero rane ed
uscirne come fossero uccelli. Non ebbi la forza di osservarle a lungo”.
Disse così di loro lo storico di epoca Joseon Wi Paek Kyu (위백규) nel 1791 nel suo Storia di un viaggio in barca all’isola di Geumdang (in hangul 금당도선유기; in hanja 金塘島船游記). E le consacrò alla storia.
Laura

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