“Non finirò per innamorarmi di te. Non accadrà mai, okay? Però, già che ci siamo, ascoltami: anche tu non devi innamorarti di me, va bene?”.
Mentre risuonano queste parole, lei saltella per il cortile, avvolta in una nube di fumo e una camicia cadente sulle spalle, immune al freddo e alle intemperie, illuminata dalla luna come una piccola divinità boschiva. Lui la guarda in seria contemplazione, nascondendo quello che il suo cuore ha capito da subito, non appena hanno incrociato gli sguardi. Lei è una ragazza strana che cammina sui tetti e sui cornicioni a piedi nudi e rompe bottiglie sulla testa di sconosciuti, un po’ come Holly Golightly in Colazione da Tiffany. Lui è uno ragazzo serioso che ride poco e studia molto, ma si perde in sogni ad occhi aperti. I confini si sfumano in silenzi carichi di rumore e in occhi che vogliono dire parole che le labbra non possono pronunciare. Il tempo si ferma per un momento, la terra smette di girare. Le attese diventano lunghi e meravigliosi incontri.
Doona! (이두나!) è quel drama che non ci aspettavamo. Tanto atteso come ritorno in grande stile di Lee Jeong-hyo (regista di Crash Landing On You) e forse aspettato come una ventata di aria fresca nella commedia romantica, si è rivelato più una piccola perla d’autore, vicino a certo cinema d’essai, che una vera rom-com a sfondo musicale. I personaggi vivono le proprie emozioni e mettono a nudo se stessi sullo sfondo di una fotografia perfetta, sfocata e sofisticata, montata con rallenty e piani sequenza che lasciano navigare da soli gli occhi (quelli bassi e fermi di Won-jun e quelli vaghi e liquidi di Doona) e si fermano su alcuni dettagli (le mani che si incrociano, le dita che si sfiorano o i passi che indietreggiano).
Lee Won-jun (un convincente Yang Se-jong di Still 17 e My Country: New Age) ha 22 anni e studia all’università ingegneria civile. Dopo diverso tempo da pendolare tra la campagna, dove vive con la madre e la sorella malata, e la città, riesce finalmente a trasferirsi a Seoul, trovando posto in un appartamento condiviso con altri due studenti, il riservato Koo Jung-hoon (Kim Do-hwan, Start Up, My Roomate is a Gumiho, che, insieme a Lee Se-wan di Alice The Last Weapon, forma una straordinaria coppia di secondari), che ha teorizzato l’etica della solitudine, e l’estroverso Seo Yun-taek (Kim Min-ho, Jirisan, The Uncanny Counter), alla disperata ricerca di una fidanzata. Nel cortile della nuova strana casa s’imbatte in Lee Doona (splendida e assolutamente in parte Bae Suzy di Start Up, Anna, Vagabond e molto altro, che ha messo una parte di se stessa e della sua vecchia vita da Idol in questo ruolo), una ragazza che sembra farsi scorrere la vita addosso come una spirale di fumo e che trascorre le sue giornate a contemplare la propria solitudine, mentre cerca di soffocare in un vortice d’acqua inesistente. In realtà, Doona è un’ex Idol, membro prezioso e centro della band k-pop Dream Sweet, che si è ritirata dopo un crollo nervoso sul palco di un concerto, vessata da Park In-wook (meravigliosa guest star di Lee Jin-wook di Bulgasal e Sweet Home), un manager che ne ha distrutto tutta la sicurezza sin da quando era bambina, e vive in incognito sperduta in un luogo dove nessuno la verrebbe mai a cercare.
I due si vedono e si incrociano e la terra smette di girare su se stessa. Più che incontrarsi, si scontrano, quasi soggetti ad una forza più grande che continua a spingerli l’uno verso l’altra e a richiamarli: prima, lei odia lui, che non la riconosce, ma si fa scoprire con una felpa della sua band e canta tra sé le sue canzoni e, soprattutto, che interferisce nella sua inedia, preoccupandosi della sua salute; poi, lui odia lei, che sembra ignorarlo e cercarlo al tempo stesso, che lo inonda di fumo e lo fa sentire in colpa per la sua esistenza, salvo seguirlo dappertutto in modo ossessivo e canzonarlo per quanto è adorabile. Poi, “la vita ha sempre delle trame inaspettate“, meglio di un film o di un romanzo.
Doona aiuta Won-jun a palesare i propri sentimenti con la ragazza di cui è sempre stato innamorato durante il liceo, Kim Jin-joo (Shin Ha-young, la sposa con l’abito rotto nel secondo episodio di Avvocata Woo, che personalmente ho trovato bravissima come secondaria) e non si accorge che lo aiuta a rendersi conto di cosa sia l’amore e a provare le farfalle nello stomaco. Won-jun aiuta Doona a tornare a sorridere e ad apprezzare se stessa e le cose semplici di cui è fatta la vita ordinaria, compreso avere delle amicizie sane e normali, e non sa che, più si accosta alla sua vicina pazza, più lei si apre con lui, con tutte le sue fragilità e i suoi traumi, bisognosa di affetto e di comprensione, come un gatto abbandonato, donando se stessa senza avvertire alcuna differenza e alcun rimpianto con la sua vecchia vita, perché “è passato davvero tanto tempo da quando è riuscita a ridere per l’ultima volta” e a fidarsi delle persone, che l’hanno sempre giudicata una voce senza anima e, come tale, hanno finito per condannarla all’oblio.
“Una volta, mi hai detto che veniamo da due mondi diversi e che nessuno si sarebbe mai immaginato che i nostri sentieri si incrociassero. Per cui ci troviamo seduti vicini solo per coincidenza o, forse, anche per uno scherzo del destino. (…) Forse hai ragione a dire che ci siamo incontrati per caso. Ma sono contenta che sia tu la persona che ho incontrato”.
Sentieri che si incrociano e che non siamo ancora in grado di capire se proseguiranno incrociati fino a fondersi in un unico cammino o se si separeranno, pur guardandosi l’un l’altro, correndo paralleli tra loro. Sentieri che sono come i binari del treno quando si è fermi al passaggio a livello, in attesa che la sbarra si apra e che venga consentito passare: binari che si uniscono per un breve tratto e binari che proseguono il loro cammino divisi solo da una stretta banchina; persone che fermano la loro corsa e proseguono dopo lo stop e persone che, durante quel momento di pausa, vedono chiaramente di fronte a sé e sono in grado di superare quelle barriere del passaggio al livello per ritrovare qualcuno che non incontravano da tempo. L’immagine dei binari è particolarmente evocativa nelle primissime scene degli ultimi episodi, dove il regista, con una tecnica narrativa particolare, impreziosisce l’intreccio con alcuni frame che sembrano non connessi al proseguimento della trama, ma quasi una prefigurazione di quello che può avvenire o che avverrà oppure sono una metafora delle vite dei protagonisti, della strana logica del destino che può decidere se e come farli incontrare e delle decisioni che ognuno realmente prenderà. La vita è come essere immersi in un campo rosa di muhly (Muhlenbergia capillaris), una graminacea che assume un colore caratteristico tra il rosato e il violaceo e che fiorisce come una spiga di poco meno di un metro tra la fine dell’estate e l’autunno: torna e gemma con una fioritura tardiva rispetto ai fiori di primavera oppure lascia sospesi e immersi in un sogno di quanto accaduto e di quanto potrebbe accadere?
Pur riprendendo le immagini del treno e del campo rosato, ho deciso di non scrivere volutamente nulla sul finale, ben sapendo che la caratteristica di finale aperto di solito lascia lo spazio a due partiti: quello dei pessimisti, che si fermano ad un’ultima parola o ad un ultimo sguardo di tristezza e che vedono una chiusura di qualsiasi speranza; quello degli ottimisti, che si aggrappano a mille straordinarie interpretazioni per affermare che, comunque vada, sarà un successo. Ahimè, questo è sempre il rischio dei prodotti tendenzialmente romance (e la spiegazione del motivo per cui tendo ad evitarli), ma quello che vorrei rimarcare è che penso che al regista non importa far sapere se finisce o meno bene tra i due amanti, perché l’importante è quel percorso che hanno fatto insieme e che è fiorito come le spighe rosa, quella guarigione reciproca che li ha formati come esseri umani, portandoli ad apprezzare se stessi, ad innamorarsi e a soffrire fino a riprendere le proprie vite in mano, ma anche ad affermare a voce alta, come la protagonista, “adesso, finalmente, mi amo“.
Piccola postilla: da vedere e rivedere più volte la scena in cui Doona e Won-jun vanno insieme ad un concerto e Doona, invitata dagli artisti che si esibiscono a salire sul palco, scopre di avere una voce, in tutti i sensi, non solo fisicamente (finalmente, riesce a cantare senza alcun crollo nervoso), ma anche metaforicamente perché riacquisisce consapevolezza di sé e del proprio futuro, che è, al tempo stesso, il vero turning point della trama, la frattura che si crea negli animi dei protagonisti. Inoltre, nella scena compaiono i Nerd Connection, band coreana molto attiva nel panorama pop rock e indie, che meritano l’ascolto indipendentemente dal drama.
Captain-in-Freckles
Come suona la nostra recensione?

2 pensieri riguardo “Doona! (ovvero di una stella che cammina sui tetti e di un ragazzo che non conosceva l’amore)”