Yoon Hong-dae (Park Seo-joon) è un giocatore destinato sempre ad arrivare per secondo: è secondo nell’attacco in squadra, secondo nella classifica marcatori, secondo anche nelle scelte del suo coach e nelle preferenze del pubblico. O, meglio ancora, si potrebbe dire che è il giocatore più antipatico, perché insidia il primato il giocatore più amato, pur senza mai avvicinarsi minimamente. Ed è anche il giocatore più fallito, perché la rabbia e tutte le sue emozioni passano immediatamente ai fatti, facendogli rischiare la carriera. Solo che, al di là del calcio, Hong-dae non sa fare altro, per cui, quando il campionato lo allontana per aver aggredito un giornalista, l’unica prospettiva che gli rimane è quella di allenare la nazionale coreana homeless per i campionati mondiali. Ed è così che si fa coinvolgere quasi inconsapevolmente dal progetto benefico dell’associazione guidata da Hwang in-guk (Heo Jun-seok), continuamente monitorato dalla giornalista e regista Lee So-min (IU), che un po’ lo incentiva e un po’ sembra mal tollerarlo, in un rapporto di amicizia e inimicizia unico.
La sua squadra non è, di certo, la migliore, né la più atletica o la più giovane, ma, col tempo, diventerà la più determinata a conquistare un posto nella storia, per dimostrare che non ci si arrende mai quando ci sono la volontà e l’unione e quando si riesce a credere in se stessi.
Il film ricostruisce una storia corale, composta di tante piccole storie individuali di persone al bordo del baratro, usando un registro che passa dal drammatico, al comico, quasi al fiabesco-sognante e arricchendo la trama principale di tante sottotrame, connesse alle vite di tutti i personaggi. La diretta ispirazione, però, proviene da una storia vera, quella della nazionale di calcio coreana homeless che ai mondiali di Rio de Janeiro del 2010 vince il premio come migliore esordiente e anche come squadra più simpatica della competizione, grazie ai sorrisi che è riuscita a donare.
Abbiamo visto questo film insieme, un po’ nello stile del Secret Cinema, un po’ come due ragazze sdraiate sul divano che fuggono una serata estiva con l’ultimo annunciatissimo arrivo Netflix e forse anche perché un Park Seo-joon che campeggia così non si trova sempre facilmente. Fatto sta che, in quello che credevamo essere un piccolo film da commedia a tematica sportiva, abbiamo trovato una comfort zone che è riuscita a far sorridere, ridere, commuovere ed emozionarci allo stesso tempo e che, una volta ancora, ci ha fatto sognare, insieme ai protagonisti del film (o, meglio, insieme ai protagonisti di questa piccola storia umana). E, allora, ecco a voi le nostre impressioni post visione!
=LE OPINIONI DI GRAZIA=
Quando ho guardato “Dream” la mia memoria ha viaggiato velocemente ai tempi della scuola elementare. Come mai, vi chiederete? Dream mi ha ricordato un brano di lettura che mi aveva emozionato moltissimo, non ricordo più il titolo e, purtroppo, non so nemmeno da quale romanzo fosse tratto, ma le emozioni che mi aveva suscitato quella lettura sono state le stesse di questo film. Nel mio brano di lettura i protagonisti erano dei ragazzi di strada che si preparavano ad un torneo di atletica e organizzavano una squadra decisamente malandata. Scoordinati, non agili, ma con tanta voglia di fare perché il premio in palio era destinato al gruppo più valevole e sarebbe servito a migliorare le condizioni del loro quartiere proletario e povero.
La storia non è uguale a quella di “Dream”, ma la condizione dei protagonisti somiglia molto a quella del film. Anche in “Dream” quasi nessuno spicca per notevole capacità fisica o atleticità, si tratta, infatti, della storia di piccoli uomini che hanno in comune la voglia di far vedere che esiste la possibilità di riscattarsi, sempre. La tematica del film, infatti, è molto bella e le interpretazioni degli attori sono tutte eccellenti, tutti quanti hanno raggiunto le corde del cuore dello spettatore, da Park Seo-joon che ho trovato perfetto nell’esprimere ogni sensazione ed emozione, alla sempre meravigliosa IU che ero molto curiosa di vedere anche in questo film dopo averla apprezzata nel film “Broker – Le buone stelle”.
Le interpretazioni di tutti regalano una luce diversa alla storia e persino coloro a cui non piacciono i film a tematica sportiva riusciranno ad apprezzare la storia, “Dream” è un film da recuperare per cogliere l’ottimismo che riesce a comunicare allo spettatore presentando situazioni e condizioni ai margini della società, perché, alla fine, esiste quella forza interiore, quella forza centrifuga che non si può ignorare, la speranza.
Il mio personaggio preferito, personalmente, è quello interpretato da Lee Ji-hyun che mi era piaciuta molto nel drama “The Package” e anche qui il suo ruolo è intenso e incantato, sembra uscita da un racconto a sé stante.
Come nel mio brano di lettura, anche “Dream” lascia un messaggio importante e universale: non serve vincere una partita o un torneo, serve raccogliere le energie e partecipare alla gara più importante per se stessi e per i propri amici, per conquistare la meta più preziosa di qualsiasi premio, la vita.
=LE OPINIONI DI LAURA=
Pochi sanno che, nella realtà, ho sempre seguito il calcio, nel particolare, e lo sport, in generale. Ma non sto parlando di una visuale pacata e occasionale, né di quelle che si svegliano ogni quattro anni per le gesta della nazionale ai Mondiali (sempre se arriviamo a qualificarci). Stiamo parlando di una bimba che, prima di comprendere un minimo segno grafico di scrittura e lettura, veniva interrogata puntualmente sulle formazioni delle squadre in Serie A, recitava a memoria caratteristiche e identikit di ogni giocatore della nazionale ed era capace di seguire le partite del Milan con il cappellino adornato delle treccine posticce di Gullit per mostrare il proprio sostegno. Così attirata dal calcio che, appena iscritta all’università, avevo pure intenzione di organizzare una mini squadra di calcetto femminile per ritagliarmi il ruolo di allenatrice. E senza parlare di quando inizio a seguire tutti (ma proprio tutti gli sport), con la stessa identica verve insegnatami da mio nonno, che, d’altronde, ha dedicato tanto tempo a darmi quest’impronta. Pertanto, film del genere di “Dream” sono sempre stati un’occasione di visione e recupero immediato per me e, solitamente, non mi hanno mai tradito, perché, si sa, lo sport reca con sé intatto il messaggio dell’unione, del coraggio, della vittoria, che non è solo materiale, ma soprattutto morale e personale, della sfida con se stessi e con la vita. Ma, una volta ancora in più, il cinema asiatico mi ha fornito un altro messaggio, quello del sogno di mostrare se stessi come dei vittoriosi, anche se vittoriosi non lo si è affatto, di gridare al cielo la propria gioia e la propria speranza, in attesa che il cielo diventi azzurro e spinga via il grigiore della tristezza passata. Ancora una volta, mi ha mostrato che nessun uomo è un fallito, se crede fermamente in un sogno e se ha degli amici che lo aiutano a realizzarlo (o, perlomeno, ad avvicinarsi ad esso).
C’è l’imprenditore fallito, che, a sessant’anni, vuole mostrare alla propria famiglia di essere ancora un uomo di valore; c’è un uomo che ha sempre vissuto ai margini della società, ma che è stato salvato da un amore incapace di esprimersi; c’è il ragazzo taciturno che non ha il coraggio di fare outing e il boss malfamato che teme di mostrare il proprio cuore; c’è un uomo buono che è puro come un bambino e sa essere padre, anche se non sa difendersi, e un ragazzo innamorato dell’idea in sé dell’amore, che continua a cercare per tutta la vita; c’è una ragazza che finge di essere sarcastica e severa, perché nasconde un cuore di marzapane, e una donna che non sa comunicare, perché custodisce tutti con sé nel proprio animo; e c’è, infine, un giocatore, che sa di essere fallito e che si autopunisce da solo con un fallimento da allenatore, perché ha perso la voglia di sognare e non sa come recuperarla. Tanti piccoli scenari umani, ognuno una storia a sé, che, poi, si urtano e si incontrano, intrecciandosi più volta, in un’unica commedia umana, costruita come un campo di calcio, pronti a raggiungere la porta nella trequarti avversaria.
Una delle cose che mi ha colpito positivamente in questo film è stato l’entusiasmo con cui è stato recitato (e anche “giocato”), come la discesa dei veri giocatori sul campo di calcio o, meglio, come l’entusiasmo stesso che mostrò, in effetti, la nazionale sudcoreana homeless durante quei famosi campionati di calcio ritratti dal film (avvenuti, nella realtà, in Brasile e non in Ungheria) e che fece loro guadagnare il premio come la squadra che aveva saputo interpretare meglio lo spirito del torneo: persero quasi tutte le partite (con l’eccezione della vittoria attribuito agli inserimenti brasiliani), ma riuscirono ad affrontare con emozione tutte le sfide, regalando la propria emozione e il proprio sorriso agli spettatori e diventando, presto, i beniamini del torneo. L’entusiasmo traspira da ogni singolo gesto di tutti gli interpreti, decisi a mostrare che non esiste fallimento, se si crede in se stessi e in un sogno.
Mentre guardavo questo film, mi sono domandata dove ho visto il medesimo entusiasmo sportivo, giacché la pellicola è stata confrontata con diversi film sulla tematica sportiva che sfruttano il fenomeno underdog per creare dei simpatici e decisi falliti, pronti a riscattarsi (vedi “Le reclute”, che, però, ha quella retorica della vittoria e del self-made man tipica statunitense). Poi, ad un tratto, sono andata indietro negli anni della mia infanzia, quando, poco dopo i Mondiali di Calcio in Francia del 1998, venne prodotto un piccolo film che eleggeva il calcio a protagonista improbabile: la pellicola bhutanese “La coppa”, il primo film integralmente recitato in lingua tibetana e ambientato in un Tibet sotto l’occupazione cinese, dove i piccoli aspiranti monaci buddisti scoprono il sogno della passione calcistica, guardando le partite dei mondiali, ed organizzano tornei che sono, al tempo stesso, un sogno di libertà e di elevazione. Perché lo sport unisce, ma esprime anche se stessi, i propri ideali e i propri valori e, anche se può deludere, darà sempre la possibilità di mostrare le proprie aspirazioni. Ed è già una vittoria così.
Avete visto il film “Dream”? Cosa ne pensate? Vi aspettiamo qui e nelle nostre pagine social per commentare insieme.
Grazia&Laura

5 pensieri riguardo “Dream”