“I won’t succumb to evil and use my own methods to win. I’ll collect all the garbage around us and quarantine them from the rest of the world forever. I’m going to reform them.“
Non tutti sanno che per le vie di Seoul si aggirano indisturbati i taxi della compagnia Rainbow Taxi, una piccola ed elegante azienda che si propone di accludere al servizio di trasporto passeggeri degli annessi molto particolari: se provate a chiamare la compagnia o ad intercettarla con i suoi terminali presenti nelle sale giochi, così come in alcuni punti ignoti della città, un operatore vi chiederà di quale tipo di vendetta necessitate e, soprattutto, se avete deciso di vendicarvi per i soprusi subiti. Così come alcune compagnie di taxi forniscono vetture d’élite, omaggi di ogni tipo e prodotti culinari, la Rainbow Taxi acclude il servizio vendetta al mezzo di trasporto (e, per la verità, si potrebbe anche fare a meno del mezzo di trasporto). Questa è la premessa per portarvi nel mondo di Taxi Driver, serie action/crime di grande successo e fortuna, che conta già due stagioni (ma si parla di una terza stagione per i prossimi anni) e che vede la presenza di un cast affiatato e perfetto: iniziando dal tassista e vendicatore, quasi uno spirito vigilante nella notte, Kim Do-gi (interpretato da Lee Je-hoon, protagonista di Signal e Move to Heaven, anche apparso in Finding Mr. Destiny e Fashion King), per continuare con il signor Jang, capo e nume tutelare della Rainbow Taxi (Kim Eui-sung di Black Knight, W, Memories of the Alhambra e Mr. Sunshine), la tosta procuratrice che indaga sulla Rainbow Taxi, Kang Ha-na (interpretata da Esom di Black Knight e Because This Is My First Life), all’hacker motociclista con desiderio personale di vendetta Ahn Go-eun (interpretata da Pyo Ye-jin di What’s Wrong With Secretary Kim?, Our Blooming Youth e Fight for Your Way), senza dimenticare i meccanici Choi Kyung-goo (Jang Hyuk-jin, visto in Vagabond, 18 Again, Now, We Are Breaking Up e Café Minamdang) e Park Jin-eon (Bae Yoo-ram, visto in Madame Antoine, D.P., Black Knight e Would You Like a Cup of Coffee?).
E, allora, per presentarvi quanto abbiamo amato questo drama, che è poetico e coraggioso, duro e ironico, al tempo stesso, ecco a voi un’intervista doppia sulla visione della prima stagione, con la partecipazione speciale anche di Barbara o B. (fatina nera di @attraversamentofatine). Vi lasciamo sotto il link del trailer e non dimenticate di recuperare il nostro video dedicato nelle pagine social.
Barbara – Fatina Nera
SOTTOTITOLO: “Quando cadono i grandi, tocca ai piccoli guidare” (Aragorn, Il Signore degli Anelli), ovvero quando il coraggio degli uomini comuni rimane l’unica luce nel buio.
IMPRESSIONI A CALDO: Se la Giustizia non fa il suo corso, c’è la giustizia; quella in minuscolo, quella non autorizzata e sottotraccia, accessibile solo ai derelitti; quella che non solo pareggia il conto, ma che chiede gli interessi per danni e che non si vergogna di usare la parola vendetta. Quando lo Stato ha abbandonato gli ultimi e quando chi ha subito abusi e ingiustizie chiede l’oblio e la pace della morte, ecco che nel buio un’etichetta color giallo-arancio, sapientemente collocata là dove solo un disperato può guardare, ferma improvvisamente il tempo e attira l’attenzione di chi sta per chiudere gli occhi per sempre: “Non ucciderti, vendicati. Lo faremo per te”. E di fronte alle porte dell’abisso, la vittima ha un fremito; si gira, si guarda intorno e decide di vivere per avere vendetta, o forse, semplicemente, per avere giustizia. Dietro a un messaggio, che è anche una promessa, ci sono loro, i membri della Rainbow Taxi Company, una squadra di cinque personaggi talmente ordinari da essere quasi invisibili, eppure tutt’altro che comuni. Dotati di straordinarie competenze in ambito ingegneristico e informatico e coordinati da un omino piccolo e dolce come il pan di zenzero, i vendicatori si battono, spiano, inseguono, intercettano, fingono, si travestono, finché i cattivi, ma cattivi senza possibilità di redenzione, non vengono implacabilmente accerchiati e le loro vittime finalmente vendicate. Potrebbero essere oscuri come i Nazgul o inesorabili come i Cavalieri dell’Apocalisse, invece sono buffi, simpatici e a loro modo fragili, un po’ Tartarughe Ninja, un po’ Avengers, affetti da una grande umanità e un profondo attaccamento alla vita. Sì, ciascuno di loro ha subito una grave perdita a causa del Male, ma la loro lotta travalica le motivazioni individuali per un fine universale e condiviso, ed è per questo che si apprezzano e si amano senza riserve. Le storie di vendetta sono tante, alcune piuttosto forti e urticanti, soprattutto in riferimento alla tematica degli abusi e dei soprusi a danno degli indifesi, ma il riscatto finale, per quel che vale, è davvero appagante. Il Male è feroce e mellifluo, ha mille facce, mille sfumature di nero, mille scuse da accampare di fronte all’indifendibile, mentre il Bene guarda davanti a sé e non tentenna, anche a costo di utilizzare vie buie e pericolose. E lo spettatore, di fronte a tanta determinazione, applaude incredulo (e contento).
PERSONAGGIO PREFERITO: Naturalmente Kim Do-ki, l’imperturbabile autista del taxi della vendetta, colui che riesce a trattenere la sua rabbia mentre picchia sodo e che non teme il travestimento e il ridicolo, pur di prendere in trappola l’avversario. Impassibile sì, ma non glaciale, Kim Do-ki si intenerisce di fronte alla disperazione e a volte sorride impercettibilmente dietro gli occhiali scuri, forse commosso. Quando entra in scena, i cattivi non hanno più scampo e la tensione emotiva si allenta, in attesa della resa dei conti. E poi, riservato e silenzioso, sa sorprendere lo spettatore con la sua sfrontatezza, indossando, come una maschera teatrale, una faccia da schiaffi che lo rende invincibile. Kim Do-ki, però, non è un eroe solitario; così come il ballerino sul palco non potrebbe danzare se non avesse i tecnici di sala, i musicisti e il corpo di ballo, allo stesso modo il nostro bel tassista non farebbe un chilometro e non darebbe neanche un pugno, senza l’organizzazione e la sincronia del gruppo alle sue spalle. Un applauso dunque a tutta la squadra, organizzata al millimetro ed egualmente divisa tra voglia di vendetta e delicata attenzione per i più esposti e i più vulnerabili. Insieme, i ragazzi della Rainbow Taxi Company sono imbattibili, come i migliori eroi dei fumetti.
PERSONAGGIO PIÙ ODIATO: Goo Seok-tae, lo scagnozzo della malvagia Baek Sung-mi: un vero orco, un uomo senza anima, volgare, lurido e violento, la cui ferocia è dettata solo dal guadagno e da un sadismo radicato. Mi ha fatto talmente ribrezzo che non vorrei sprecare per lui troppe parole. Un pensiero va però alla cattivissima Madam Lin: un’improbabile boss, turpe e senza scrupoli, sempre agghindata e ingioiellata come una cortigiana, che si innamora perdutamente di un uomo tanto bello quanto pacchiano e che, non ricambiata, suscita nello spettatore ilarità e perfino tenerezza. Diciamo che la sua fragilità un po’ la riabilita agli occhi di chi l’ha odiata.
COMMENTI SPARSI: Un vero thriller, sviluppato in maniera intelligente, senza cedimenti o sbavature nella trama. Ben affrontata la questione etica (chi ha il diritto di punire Caino?), senza buonismo inutile e con un certo coraggio. Personaggi principali e secondari ben tratteggiati, situazioni di degrado fin troppo verosimili e belle scene notturne. Più coraggiosa della seconda stagione (comunque straordinaria), questa prima stagione di Taxi Driver non fa sconti, non mette al riparo lo spettatore da vicende orrende e non si dilunga in chiacchiere che non siano funzionali alla trama, ossia non allunga il brodo solo per fare cassa. Diciamo onesta, oltre che bella, e non è poco.
VOTO: 9 1/2
Laura – Captain-in-Freckles
SOTTOTITOLO: “In ogni strada di questo paese c’è un nessuno che sogna di diventare qualcuno: è un uomo dimenticato e solitario che deve disperatamente provare di essere vivo” (Robert De Niro, Taxi Driver), ovvero piccoli e solitari eroi che non sanno nemmeno di esserlo, ma vedono la luce della giustizia sopra ogni cosa.
IMPRESSIONI A CALDO: Non c’è giustizia in questo mondo o, perlomeno, pare che esistano troppi modi per sviarne il suo corso e che, alla fine, siano veramente pochi coloro che pagano per i propri crimini. In teoria, questo è l’assunto di base, che porta il signor Jang a fondare la Rainbow Taxi con lo specifico scopo di elargire atti di giustizia o, meglio, di vendetta a coloro che non hanno trovato una protezione valida nelle istituzioni statali. Da giurista, devo ammettere che questa tematica mi ha interessata, ma mi ha anche sconvolta, perché, se da una parte non posso che concordare con la Rainbow Taxi, che cerca di ristabilire gli equilibri e di punire i crimini, dall’altra parte rimane assodato che tutti questi atti non sono altro che una giustizia privata e che, se ogni cittadino si arrogasse questo diritto, lo Stato cadrebbe nell’anarchia. E in quest’ossimoro stridente, in questa contrapposizione tra giustizia pubblica (la procuratrice interpretata da Esom) e vendetta privata (il tassista di Lee Je-hoon), si consuma l’afflato drammatico di questa serie, aprendo un baratro e scuotendo dal fondo diritto ed etica. In una costruzione elaboratissima, una trama più complessa (quella della tragica storia di Kim Do-gi e degli altri protagonisti) si intreccia a tante storie di ordinari soprusi e di terribili crimini rimasti impuniti (i vari “casi” di vendetta di cui la Rainbow Taxi si prende carico), per snodarsi in una serie di interrogativi che scavano nel profondo di una società ammalata e disumana nell’abusare dei deboli, cancellandone la presenza per sempre. E, allora, la Rainbow Taxi cerca di restituire non tanto la sete di vendetta e di giustizia, quanto quell’umanità che è stata negata a tutti coloro che hanno sofferto e che si sono visti ridere in faccia dalle istituzioni, che dovevano tutelarli. L’umanità è alla base del progetto di rifondazione del signor Jang, che, alla fine, sembra un normalissimo uomo di mezza età, un po’ ricco filantropo casuale, un po’ rintontito secondo i canoni della società, che si muove quasi in ragtime e si circonda di personaggi che potrebbero sembrare buffi e semplici (come i due meccanici, che riescono a restituire allo spettatore il sorriso, pur in una storia all’apparenza dura). Personalmente, nessuno darebbe due soldi alla squadra assortita della Rainbow (forse un po’ al tassista, ma solo perché soffre di introversione acuta). Eppure, ci si ritrova a tifare per loro dall’inizio alla fine.
PERSONAGGIO PREFERITO: Inutile dire che, nomen omen, il Tassista che dà il titolo al drama, interpretato da Lee Je-hoon, è effettivamente straordinario: catalizza lo spettatore dall’inizio alla fine, sia quando indossa la maschera del vendicatore (talvolta, letteralmente) e picchia senza pietà i cattivi di turno, sia quando si insinua negli ambiente in cui deve agire con i suoi travestimenti e i suoi personaggi (sono rimasta particolarmente colpita dal suo programmatore informatico fintamente svagato, ma ambizioso inserito nella realtà del canale streaming – forse i miei episodi preferiti della stagione -, ma è stato incredibilmente sopra le righe come il boss impellicciato e innamorato di Madame Lim), sia, infine, quando lentamente si apre e mostra se stesso, i suoi timori e le ferite dell’anima che si porta dietro come uno sfregio e vorremmo aiutarlo a guarire, come lui aiuta le vittime dei soprusi a non farla finita. Accanto al tassista, però, nell’Olimpo dei miei personaggi preferiti in assoluto c’è la procuratrice interpretata da Esom, schietta, leale, amante della giustizia e, per questo motivo, pronta a perseguire la Rainbow Taxi, ma anche a capirne le motivazione. Perché entrambi si scontrano contro il muro dell’ingiustizia e tentano di abbatterlo. Personalmente, non ho ancora digerito il fatto che non è presente nella seconda stagione.
PERSONAGGIO PIÙ ODIATO: Per la verità, non mancano i recettori di odio, visto che la serie abbonda di criminali e cattivi di ogni tipo. Però, se devo scegliere un solo personaggio odioso, forse ho odiato più di tutti Park Yang-jin (interpretato da Baek Hyun-jin, che avevo già odiato in Happiness, ma che si è fatto perdonare in The Good Bad Mother), il CEO della U-Data, mellifluo, falso, debole e prepotente, agisce senza scrupoli e con un atteggiamento abusivo sia nei confronti degli impiegati che verso coloro che finiscono nella sua rete di videostreming, utilizzando tutte le tecniche del gaslighting e del cyberbulling possibili e inimmaginabili e giocando con la vita e la stabilità mentale delle persone.
COMMENTI SPARSI: Ammetto che devo ancora recuperare la seconda stagione (e che lo farò presto, perché abbiamo un’altra intervista doppia in sospeso), ma già dalla prima stagione, Taxi Driver è una bomba ad orologeria che non sai mai quando potrebbe scoppiare, perché è costituita da tante molteplici micce, graffiante come pochi prodotti e capace di incendiare su tematiche di discussione scottanti. Come ho anticipato, ho adorato gli episodi dal 5 all’8, quelli della U-Data, dove è toccato un problema molto grave e ancora poco affrontato, quello del revenge porn e dei video postati in internet. Una serie coraggiosa e senza voglia di edulcorare nulla. Violenta, ma catartica.
VOTO: 9 1/2
E, visto che le interviste concordano sul voto, non possiamo che consigliare il recupero di questo bellissimo drama. Alla prossima con l’intervista doppia della seconda stagione!
Barbara (Fatina Nera) & Laura (Captain-in-Freckles)

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