Fujii Kaze – Love Will Serve All Stadium Live

“I looked at the world without me from above”

Ci sono pochi artisti che possono fregiarsi del titolo di “sacerdoti del rock” per il carisma innato che li distingue e per l’energia che emanano sul palco. Anni fa, quando vidi in concerto Nick Cave and The Bad Seeds, capii il perché questo titolo quasi mistico, queste movenze magnetiche e questo rapporto vibrante e unico con il pubblico sono una caratteristica rara e propria solo di alcuni artisti. Ebbene, quando ho conosciuto la voce e la musica di Fujii Kaze, ho avuto gli stessi brividi che sentii con Nick Cave.

Fujii Kaze (secondo la dizione giapponese, in cui il cognome viene sempre prima), per la verità, non si è mai autodefinito con queste vesti sacerdotali, presentandosi anzi come un ragazzo venticinquenne piuttosto timido e gentile, illuminato perennemente da un sorriso educato e accompagnato spesso dalla sorella. Solo che, quando sale su un palco e indossa le vesti tradizionali di un antico Giappone con quelle sfumature rosse e bianche e inizia a muovere le mani quasi come una danza impercettibile, ipnotizza e coinvolge allo stesso momento, quasi ascendendo in un’altra dimensione. E si diverte, al tempo stesso, per l’energia e il calore con cui avvolge i suoi ospiti, quasi come se fossimo di fronte ad una lezione di un’antica arte marziale. Tutto questo si vede in modo così netto e chiaro in Love All Serve All – Stadium Live, concerto avvenuto ad ottobre 2022 al Panasonic Stadium Suita di Osaka, che ha attratto 70.000 spettatori e che, fortunatamente, Netflix ha deciso di inserire nel proprio catalogo da qualche tempo. Tra l’altro, ottimo mese per i concerti in Asia quell’ottobre 2022, dicono.

Ma, prima di parlare dell’esperienza sensoriale che si vive guardando sul palco Fujii Kaze, è necessario presentare quest’artista con qualche dettaglio sul suo debutto e sulla sua musica (e i link diretti ai suoi album su Spotify).

Il “samurai non ortodosso”, come viene definito in Giappone, è un musicista, cantante, cantautore, polistrumentista, che in patria ha avuto da subito la fama di genio musicale. Formatosi da bambino quasi da solo, ascoltando musica classica, jazz, pop ed enka (una forma tradizionale giapponese), Kaze ha imparato presto a suonare il piano, la chitarra, il sassofono, l’electrone (un organo elettrico elaborato dalla Yamaha sulla base dell’antica spinetta). Poi, ha iniziato caricando a 12 anni i suoi video e le sue composizioni su YouTube, realizzando in poco tempo oltre 30 milioni di visualizzazioni e diventando immediatamente un personaggio noto in rete. Tuttavia, ha rinunciato alla fama certa del piccolo prodigio per dedicarsi agli studi (diplomandosi al liceo e, poi, al conservatorio) e si è eclissato dalla rete fino a quando non è tornato con la potenza delle sue composizioni e della sua musica nel 2019, rilasciando due singoli digitali. Nel maggio 2020, in piena quarantena da COVID-19, è uscito il suo primo album studio, Help Ever Hurt Never, che è diventato immediatamente un caso in patria, facendogli guadagnare il primo posto della Billboard Japan Chart e facendolo diventare la prima persona di nazionalità giapponese a ottenere il titolo di Artist on the Rise più cliccato su YouTube. Fama cybernetica che viene aumentata quando Kaze, il 4 settembre 2021, decide di fare una diretta live gratuita del suo concerto al Nissan Stadium di Kanagawa sul suo canale YouTube (diretta seguita, in contemporanea, da 180.000 persone). Il 22 marzo 2022, esce il suo secondo album, Love All Serve All, che viene preannunciato, ancora una volta, con un Listening Party sul suo canale YouTube e che, ancora una volta, raggiunge il primo posto della Billboard Japan Chart.

Sono stati molti i generi a cui i critici hanno tentato di accostarlo, ma, principalmente, la musica di Fujii Kaze rimane ancora unica nel suo non-genere, una commistione di suoni occidentali e antiche reminiscenze orientali, graffiante come il rock, fresca come il pop, calda come il soul, malinconica come il blues e, al tempo stesso, travolgente come la dance, ma con una prosodia vocale quasi in metrica tipica dei tradizionali enka, ryūkōka, min’yō (con tanto di impiego di strumenti tradizionali come il shamisen) e del kayōkyoku popolare. Il tutto condito con una base fondamentale di jazz. Come direbbe Memoru Grace, è riuscito a rendere carezzevole e vellutata la marziale lingua giapponese. Ma, quindi, quale magia cela la musica di Fujii Kaze? Seguiamo passo passo il concerto per scoprirlo.

Nello stile del suo personaggio, Fujii Kaze entra in scena “apparendo”, quasi materializzandosi sul palco nella sua statica posizione da meditazione buddista, serio e riflessivo, con lo sguardo altrove, vestito con uno yukata bianco da samurai riadattato, mentre la musica va in crescendo, mischiando blues, swing e rock’n’roll: parte Nan-Nan, una delle hit più note e amate dell’artista giapponese, che viene seguita da quel mix di indie-rock e blues di Damn (con l’ingresso in scena di un folto gruppo di ballo, rigorosamente in yukata, come se dovessero esibirsi tutti con la katana). L’atmosfera iniziata in modo così acceso si placa improvvisamente quando sul palco arriva un musicista di hichiriki, uno strumento tradizionale giapponese molto simile al nostrano oboe, che introduce la techno di Hademo-Ne-Yo, il cui testo tratta la tematica del vegetarianesimo e della salvaguardia della natura, ripresa dalla successiva Garden, una ballata che è una vera e propria poesia alla natura. Il blues torna per mischiarsi con un più moderno J-Pop (molto simile al più noto K-Pop) nella successiva Yaba, per lasciare, poi, lo spazio alla performance solo acustica di Yasashisa, un inno alla gentilezza (“I got killed by kindness“, afferma e mi sembra una frase così personalmente applicabile), che la voce catalizzante di Fujii Kaze accompagna con la chitarra, conducendo da sola la musica e trasportando gli spettatori in un’atmosfera di pacatezza e di riflessione. Giusto in tempo per sconvolgerli e rimestarli con tre delle tracce più catalizzanti e ipnotiche dell’artista giapponese: Grace, Kaerou e Sayonara Baby (e qui Kaze ci stordisce con la sua gestualità, mentre la musica vaga dal dance, al jazz al rock, con un ritmo coinvolgente e con la sua domanda “What was the colour of happiness?” in testa). Poi, la band si riposa, Kaze no: mentre le luci si spengono, lascia il palco principale e va da solo al centro di un palco secondario, sospeso come un ponte sul pubblico, per sedersi saldo al suo pianoforte a coda e dedicarsi a virtuosismi musicali che già da soli valgono il recupero e che lasciano senza parole. Si tratta del suo interludio a piano, una delle sue parti preferite, che serve per far prendere fiato agli artisti che lo accompagnano e a dividere a metà il suo show. Sempre solo sul palco, inizia Lonely Rhapsody, una vera e propria rapsodia di musica classica sull’eguaglianza e il rispetto tra gli uomini (il suo adagio “Io e te siamo uguali” quasi sussurrato tra i tasti neri e bianchi rimane impresso), seguita da Soredewa (Bye for Now), altra melodia di sola voce e piano, forse una delle canzoni più belle in assoluto del suo repertorio, che si erge nella sua visione dall’alto dell’umanità con l’obiettivo di superare l’oscurità. Intanto, torna silenziosamente la band, prende posto e attacca a suonare un rock blues classico di Seishun-Sick, al termine del quale Fujii Kaze ci delizia di un altro interludio musicale con un assolo di sax. E, mentre lo spettatore si chiede dove vada a prendere l’energia quest’artista e quale strumento prenderà stavolta, la musica della band continua da sola, le luci e i veli colorati ci confondono, Kaze sparisce per riapparire con uno yukata rosso fuoco: è la volta del jazz della famosissima Shinunoga-E-Wa (I’d rather die), sicuramente, complice anche l’inaspettato successo virale su TikTok, la sua traccia più nota e cantata. Siamo nel momento più caldo e scatenato del concerto, in cui si inserisce giustamente Mo-Eh-Yo (Ignite), una ballata rock stile anni ’70, che viene seguita dalla dance di Kirari e di Matsuri (Festival), in cui suoni occidentali e techno si alternano a strumenti e caratteristiche tipiche della tradizione musicale giapponese, per cui è normale trovare un sintetizzatore accanto allo shamisen e al koto (due strumenti tradizionali a corde), una batteria accanto ad un taiko (il tamburo gigantesco che abbiamo visto in diversi anime/manga), ma anche una chitarra elettrica a fianco ad una crew di ballo funky e termini inglesi mischiati con quelli del dialetto di Okayama, la prefettura dove è nato Kaze. Nell’intenzione di Fujii Kaze, stiamo accendendo le lanterne di Obon o stiamo celebrando la notte di Tanabata (per cui vi rimando ai link degli articoli in cui abbiamo parlato di queste due feste tradizionali giapponesi per capire cosa avviene sul palco). I colori, la vivacità e i rumori festosi lasciano spazio, infine, al momento del commiato con Tabiji (Journey) e Fujii Kaze saluta il suo pubblico, ribadendo la reciproca eguaglianza e condivisione perché su questa terra “siamo tutti quanti in viaggio continuo“.

Tra giugno e luglio 2023, Fujii Kaze sarà impegnato per il Fujii Kaze and the piano Asia Tour 2023, un tour solo vocals e piano che lo porterà a Seoul, Bangkok, Jakarta, Kuala Lumpur, Taipei and Hong Kong. Nella speranza che, presto, le sue mete lo portino anche in Europa, concludo, lasciandovi con il trailer d’annuncio del suo tour di solo piano.

Ho volutamente disseminato questo articolo di numerosi link diretti alle canzoni e ai video musicali di Fujii Kaze, perché potete scegliere di leggere questo testo o, semplicemente, di ascoltarlo per avvicinarvi di più ad un artista che farà parlare ancora molto di sé con la sua musica. Buon ascolto e buon viaggio nella dimensione di un jazz che scavalca gli oceani!

P.S.: ogni album di Fujii Kaze è stato accompagnato da un album cover, che contiene tracce di altri artisti reinterpretate in chiave jazz con l’accompagnamento del piano (si tratta di Help Ever Hurt Cover e Love All Cover All, di cui vi lascio i link Spotify, e se volete recuperare una versione di Overprotected che Britney Spears non avrebbe mai cantato, vale la pena l’ascolto). Plus: ogni album di Fujii Kaze (sia quelli studio che quelli cover) contengono 11 tracce, mentre ogni concerto si ferma a 17 pezzi. Lascio a voi l’interpretazione.

Captain-in-Freckles

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