Esistono quei film che restano per sempre in memoria per la delicatezza delle immagini e delle inquadrature e per la poesia dei sentimenti che lo spettatore riesce a percepire, “Departures” è uno di questi film.
Nel 2009 il film giapponese “Departures” vinse l’Oscar come miglior film straniero e la vittoria fu veramente meritata visto che i lavori per il film erano durati 10 anni, in cui il regista stesso, Yojiro Takita, ha partecipato a moltissime cerimonie funebri per immergersi totalmente nell’ atmosfera solenne ed emotiva che l’evento presenta e per provare empatia con i sentimenti dei familiari della persona defunta. Anche il protagonista, Masahiro Motoki, per prepararsi al film, ha seguito corsi di violoncello e ha studiato l’arte della preparazione dei defunti per essere più naturale possibile nell’ interpretazione che personalmente ho trovato stupenda.
Il film inizia con il giovane violoncellista Daigo Kobayashi (interpretato da Masahiro Motoki) che si trova da un giorno all’ altro disoccupato a seguito dello scioglimento dell’orchestra dove suonava da anni. Daigo decide, quindi, di lasciare Tokyo insieme alla moglie Mika (interpretata da Ryoko Hirosue che qualcuno riconoscerà per averla vista nel film di Luc Besson, “Wasabi”) e si trasferiscono nel proprio paese natale, nella prefettura di Yamagata, nella casa lasciata in eredità dalla madre morta qualche anno prima. Un giorno Daigo, in cerca di lavoro, si imbatte in un annuncio particolare: “Assistiamo coloro che partono per dei viaggi” e si reca per il colloquio all’agenzia NK. Durante il colloquio, però, il nostro protagonista apprende che non si tratta di un’agenzia di viaggi, ma di una agenzia che si occupa delle tradizionali cerimonie di preparazione e vestizione dei defunti, NK sta infatti per nōkan, cioè vestizione rituale dei defunti. Daigo viene assunto come tanatoesteta, torna a casa e festeggia con la moglie per aver trovato lavoro, ma le nasconde il tipo di lavoro che andrà ad intraprendere.
La prima preparazione di cerimonia è un vero e proprio trauma per Daigo che, dopo aver terminato, cerca di scappare e allontanarsi per svagare il pensiero e la preoccupazione che deve tenere solo nel suo cuore, non avendone parlato con nessuno. Pian piano, però, con il passare del tempo, diventa esperto e osservando la dedizione del suo capo ne inizia ad apprezzare ogni passaggio e ogni rituale che porta alla preparazione dignitosa e affettuosa del defunto e all’ultimo saluto da parte dei propri cari. Inizia, quindi, in lui un viaggio introspettivo sul valore della vita e sul passaggio della morte e riesce ad empatizzare con i parenti del defunto e anche con i defunti stessi quasi a dar loro l’ultima carezza che li accompagna in un nuovo cammino.
Quando Mika scopre il vero lavoro del marito, però, cerca di convincerlo ad abbandonare il mestiere ritenuto poco decoroso e non alla sua altezza, ma Daigo si rifiuta e la moglie lo lascia tornando a casa da sua madre. Mika torna dopo l’inverno quando scopre di essere incinta e in quell’occasione riuscirà a capire meglio Daigo dopo averlo visto alle prese con una cerimonia funebre e avendone apprezzato la delicatezza e la sensibilità nella cura e nella partecipazione. Daigo racconta alla moglie un avvenimento della sua vita quando da piccolo lui e il padre sulle rive di un fiume si erano scambiati dei sassi che dovevano esprimere il loro stato d’animo, qualche giorno più tardi, però, il padre aveva abbandonato la famiglia ed era sparito per sempre dalla sua vita.
Tempo dopo, giunge la notizia della morte del padre di Daigo, il giovane, però, non vorrebbe dargli l’ultimo saluto, poi si lascia convincere per scoprire che in realtà il padre aveva sempre vissuto in piena povertà. Daigo alla vista del cadavere del padre non lo riconosce subito e decide, quindi, di prepararlo per la sepoltura, ma, al momento della cerimonia di preparazione, trova nel pugno del padre il sasso che gli aveva regalato da piccolo, così riesce a riconoscere il genitore, a perdonarlo e a dargli l’ultimo dignitoso saluto.
Un film che parla di dignità, di affetto, di perdono, un film interpretato e girato con rara e impeccabile sensibilità che non scade mai in volgarità o clichè, ma che dopo due ore di visione ti lascia gli occhi pieni di lacrime per l’intensità e il coinvolgimento emotivo.
Il protagonista, durante la preparazione della cerimonia funebre, si eleva ad una dimensione spirituale tale che abbandona ogni sentimento di rancore e negazione e accompagna con pacatezza il defunto nel suo ultimo viaggio.
Il film è ispirato alla biografia di Aoki Shinmon “Coffinman: The Journal of a Buddhist Mortician”, pubblicato nel 1993 dove l’autore descrive un periodo della sua vita, nel 1970, quando intraprese la professione del protagonista del film, professione che era considerata un tabù per via della tematica e della concezione della morte, e subì la stessa condanna sociale da parte di amici e familiari descritta perfettamente nella storia del film.
“Departures”, conosciuto anche con il titolo “Okuribito”, lett. “persona che accompagna alla partenza”, si arricchisce di una colonna sonora meravigliosa, una musica dell’anima, firmata magistralmente da Joe Hisaishi che conosciamo per le colonne sonore di molti film dello Studio Ghibli e per le colonne sonore di alcune opere di Takeshi Kitano. Joe Hisaishi ha il dono di riuscire, attraverso la musica, a trasportare lo spettatore all’interno delle emozioni e delle percezioni dei protagonisti della storia. Tra le tracce più sublimi, l’Ave Maria suonata al violoncello e il brano “Father” che vi lascerà senza parole, vi sembrerà di rivivere i ripensamenti, la nostalgia e il perdono con le stesse palpitazioni del protagonista.
Film da 10 e lode, tra i migliori degli anni Duemila. Assolutamente da recuperare!
Memoru Grace

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