“You are bound for Hell. / Sei stato condannato all’inferno”.
Questa frase, esplicativa del titolo stesso del drama, è il vero adagio ripetuto all’ennesima potenza di tutta la storia, costituendone la domanda e la risposta stessa, il motivo e la ragione, ma anche la spiegazione di questa agghiacciante e disturbante ricostruzione fantasy/horror soprannaturale, che si è meritata, di diritto, una bella censura VM 18 dal canale streaming Netflix che l’ha prodotta e distribuita. Pertanto, tanto vale premetterlo sin da subito: questo non è un K-drama per tutti; anzi, comincio la recensione sconsigliandolo fortemente a chi è emotivo, fragile, depresso, debole di cuore, facilmente impressionabile, soggetto ad allucinazioni e tendente ai disturbi visivi. Se non ravvisate una delle caratteristiche sopra elencate, in ogni caso, leggete con attenzione la recensione che segue prima di essere sicuri se iniziare o meno la visione di questo drama (che, lo affermo senza retorica, ha urtato molto anche la sottoscritta, che non è facilmente impressionabile).
La storia, che si ispira al webtoon sudcoreano Jiok (지옥, traducibile appunto con The Hellbound), creato da Yeon Sang-ho, illustrato da Choi Gyu-seok e pubblicato nella piattaforma Naver, è divisa in due archi narrativi, ovvero due tronconi distinti con solo due personaggi in comune tra loro (l’avvocatessa e il folle di Twitch).
***ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER***
Primo arco narrativo. In una Seoul odierna, un uomo inizia a sudare freddo all’interno di un bar, guardandosi intorno come se fosse perseguitato e con l’affanno di chi sa che sta per esalare l’ultimo respiro, fino a quando non sente dei forti rumori, come dei tonfi provenienti da lontano: esce di corsa dal bar e inizia a correre, urlando che la sua fine è imminente. Tra lo sgomento e lo stupore della popolazione intorno, che lo crede pazzo, la sua corsa viene presto interrotta da creature gigantesche e terrificanti che lo carpiscono, lo picchiano violentemente, passandoselo tra loro come se fosse una palla da calcio, e lo fanno letteralmente a pezzi (e confermo che qui stavo già per spegnere la TV, ma mi sono fatta forza e sono andata avanti). Si viene a scoprire, grazie alle indagini dell’ispettore di polizia Jin Kyeong-hoon (interpretato da Yang Ik-june di Bad Boys e It’s Okay That’s Love), che l’uomo, un noto pregiudicato, era stato raggiunto giorni prima da una vera e propria sentenza di morte da parte di queste minacciose creature, con tanto di conto alla rovescia per l’esecuzione, in quanto persona condannata all’inferno. La notizia si diffonde e non solo dà adito a numerose speculazioni e ad opinioni pro e contra, ma incrementa soprattutto il fanatismo religioso di una setta che si fa chiamare la Nuova Verità, capeggiata dal sedicente santone e predicatore Jeong Jin-soo (interpretato da un Yoo Ah-in, protagonista di Chicago Typewriter, qui in splendida forma ferina). Secondo il predicatore, che afferma di avere incontrato in passato le creature delle sentenze infernali, questi esseri mostruosi non sono altro che angeli, ovvero emissari inviati da Dio per avvertire gli uomini dei propri peccati e punirli, condannandoli all’inferno, in modo da creare sulla terra un nuovo ordine di pace. L’affermazione del predicatore impazza in internet, dove, approfittando dell’anonimato della rete, imperversa una violenza senza pari che, presto, dal piano verbale e cybernetico, passa nelle strade, fomentata anche da un tale che si fa chiamare Lee Dong-wook (interpretato da Kim Do-hyun, caratterista visto anche nel film d’azione Peninsula) e che fa dirette Twitch con i suoi seguaci in versione completamente fluo (recuperare qualche foto per farsi un’idea). Un giorno, la giovane madre Park Jeong-ja (interpretata da una bravissima Kim Shin-rok, già vista in One Ordinary Day, attrice che, per questo ruolo intenso e drammatico in Hellbound, ha vinto praticamente tutti i premi esistenti in Corea del Sud, Baeksang compreso), sentenziata ad una fine violenta dalle creature infernali, decide di accettare i soldi che giornalisti e sette religiose le offrono per offrire testimonianza con la sua morte in diretta TV e streaming per assicurare un futuro migliore (e lontano dalla Corea) ai suoi due figli minorenni: con una lucidità e un coraggio, rari da vedere, Jeong-ja sigla il suo accordo con l’aiuto della sua legale, l’avvocatessa Min Hye-jin (Kim Hyun-joo di If It Snows on Christmas e Undercover), affronta a testa bassa tutte le critiche e le accuse che le vengono rivolte da ogni parte (per la sua decisione, per i soldi che vuole prendere, ma anche per essere una cattiva madre, per aver avuto i figli da due uomini diversi, per fornire un esempio di immoralità giustamente punita dagli emissari divini, etc.) e attende la sua morte, che puntualmente avviene in diretta televisiva. Lo shock che ne deriva è forte e fa presto degenerare la situazione, trasformando il fanatismo religioso in bande da strada, che attaccano indiscriminatamente tutti coloro che non credono al messaggio divino (compresa l’avvocatessa Min Hye-jin) e che vogliono eseguire le condanne e stanare i peccatori prima ancora dei mostri, tanto che la situazione sfugge di mano anche al predicatore (il quale custodisce un segreto che non può confessare).
Secondo arco narrativo. Il mondo ha ultimato la prima fase di panico e si è adagiata nella certezza che l’umanità ha bisogno di una simile punizione divina, creando una nuova etica della società e rileggendo tutti gli atteggiamenti umani alla luce della nuova moralità forgiata attraverso i social. Scomparso misteriosamente il predicatore, la scena è dominata da Lee Dong-wook, che, di fatto, gestisce i suoi follower come un pericoloso influencer, inviandoli anche a commettere crimini, perché necessario per l’equilibrio e la giustizia. Chi riceve la condanna non fa nemmeno più audience perché, come afferma il professore Gong Hyeong-joon (Im Hyeong-guk, comparso anche in Money Heist: Korea), a cui le creature hanno sentenziato e ucciso la figlia nel giro di pochi secondi senza alcun apparente motivo, la condanna è come il terremoto o una catastrofe naturale, che può arrivare a tutti, non trattandosi più della questione se punire o essere puniti. L’illogicità delle condanne è palese quando le creature si manifestano in un ospedale per annunciare ai neo-genitori Song So-hyun (interpretata da Won Jin-ah, già protagonista di Melting Me Softly, Life e She Would Never Know) e Bae Young-jae (interpretato da Park Jung-min, già visto in Start Up e Deliver Us from Evil) che il figlio neonato è colpevole ed è stato condannato all’inferno. Come può un bambino appena nato aver commesso crimini e misfatti tanto gravi da assicurargli la condanna? Ed è possibile nascere con il marchio del peccato addosso come se fosse una tara genetica? Mentre queste domande affollano le menti della popolazione, che inizia a mettere in dubbio la veridicità delle condanne, e supportano le indagini dell’avvocatessa Min Hye-jin, che non si è mai arresa dal mandare in prigione Lee Dong-wook e i suoi seguaci fanatici per una serie di crimini commessi, i genitori decidono di squilibrare la ragione delle creature infernali e, con un ultimo ed estremo atto di amore, donano la propria vita per salvare il figlio neonato. In questo inganno, il mondo dei vivi e il mondo dei morti non sono più in equilibrio, per cui, quasi per un principio della termodinamica applicata all’orrido di Lovecraft, le creature infernali decidono di restituire all’umanità Park Jeong-ja, la madre che era stata trucidata in diretta TV.
Ma quindi? Come e perché le creature condannano e uccidono senza alcun apparente movente persone pescate a caso all’interno dell’umanità? E perché decidono di restituirne una, quasi per uno scompenso “numerico”? Ha senso questa logica tipicamente ragionieristica con gli intenti morali e mistici che si erano proposti all’inizio? E qual è l’origine del peccato, seppur di un’origine possiamo parlare, visto che questo viene quasi “diagnosticato” come una malattia persino su dei neonati? E, infine, per quale motivo ognuno ha una tempistica diversa di pentimento, ovvero di tempo dall’annuncio della condanna all’esecuzione, senza alcuna logica?
Se, dopo aver sofferto sei episodi di questa misurata e agghiacciante agonia, che si addentra come un incubo nella mente dello spettatore e che non risparmia nessuna scena di morte violenta, vi rimangono tutte queste domande senza risposta, avete solo due vie: o attendere pazientemente la seconda stagione (che pare dover arrivare prossimamente su Netflix, seguendo, però, il filo di pubblicazione del contemporaneo webtoon), o mandare a quel paese tutta la troupe e tentare di darvi una spiegazione da soli (cosa per cui ha optato la sottoscritta, arrovellandosi per diversi mesi nel tentativo di capire la questione di fondo di questo drama). Tralasciando al momento la chiave di lettura mistico-religiosa, a cui sembra voler portare quasi in automatico questa storia, Hellbound rappresenta la fine della civiltà umana, laddove per “civiltà” s’intende non solo la società, ma anche tutta la cultura, il senso morale, i legami etico-comportamentali costruiti col tempo e sedimentati nella storia degli esseri umani. Si tratta di una fine folle, traumatica, scioccante e quasi allegra, a cui è l’umanità stessa che si autocondanna: l’esistenza di un peccato di cui, di fatto, non si conosce l’origine né l’entità, ma che sembra identificarsi di più in una non-omologazione dettata dall’esterno, dal branco scomposto e unificato, nei confronti di una persona che si vuole estromettere senza alcun apparente motivo, forse perché non perfettamente rispondente con le idee e le opinioni dei più. Allora, quelle creature mostruose e infernali che si manifestano dal nulla per punire umani a caso non sono altro che i mostri generati dal sonno collettivo della ragione. Ad un certo punto, tutti quanti, senza ragione, ci siamo addormentati, siamo caduti in un delinquo comatoso che ci ha annebbiato, contemporaneamente, la logica e la morale, per ricreare una nuova logica e una nuova morale, in apparenza perfette e splendenti, ma, di fatto, basate su un sillogismo negativo. Come quando ci avventiamo, sostenuti da ignoti seguaci sui social e amici virtuali, su un malcapitato senza nome né fisionomia, accusato di aver commesso il grande e grave peccato di non essere conforme alla nuova etica sovrana di questo informe e confortevole non-luogo virtuale e, con sistematica e quasi ironica incoscienza, lo azzanniamo e lo sbrindelliamo. Lo uccidiamo di commenti e non-like, di condivisioni graffianti e di memes, di parole, che risultano pesanti come i tonfi dei passi di queste creature infernali. Uccidiamo virtualmente perché l’opinione collettiva ci spinge a farlo, anche se, alla fine, non condividiamo affatto l’opinione collettiva, che quasi sentiamo addosso come una maschera scomoda e soffocante. O, forse, uccidiamo proprio perché non ci rispecchiamo e, allora, in questo greve gioco mortale, cerchiamo una vittima sacrificale disposta a celare le nostre opinioni. I cambiamenti epocali degli ultimi anni ci hanno posto di fronte a tante prove e a tante condivisioni di pensiero collettivo, ma anche a tante brutture e alla crescita di una nuova morale violenta e non inclusiva che si impone ovunque, senza voler sentire le ragioni di nessuno. E, in questa nuova spirale di violenza, è l’umanità stessa che si autoestingue, si condanna da sola ed esegue la sua condanna, in una logica di autoannientamento della civiltà che sembra non volersi più fermare.
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Riprendo questa recensione dopo anni (letteralmente, visto che ho guardato la prima stagione di Hellbound immediatamente alla sua uscita nel 2021 e l’ho recensita qui nel blog l’anno successivo) per la seconda stagione di questa serie, che non sarà l’ultima, ma che guida verso il passaggio alla tragedia finale (lo so, me lo sento) o al nuovo ordine mondiale determinato dall’arrivo delle creature infernali del giudizio, forse con meno entusiasmo dei tempi di questa novità, ma stavolta preparata a quello che mi sarei trovata di fronte. O forse no.
Stavolta, la storia è ambientata in un unico narco narrativo, collocato ben 4 anni dopo la fine della prima stagione e la sconvolgente minaccia di morte nei confronti si un neonato e addirittura 8 anni dopo la scomparsa del carismatico predicatore Jeong Ji-soo (adesso interpretato da Kim Sung-cheol, bravissimo nella parte del redivivo fanatico tornato dagli inferi, nonostante la mia personale visione sia rimasta turbata dalla decisione della produzione di riscrivere e rigirare completamente alcune parti chiavi della prima stagione, quasi per eliminare del tutto la presenza di Yoo Ah-in). Il mondo è senz’altro cambiato dai primi fatti e dall’incontro con il sovrannaturale e con la morte e la società è in preda al terrore per una vita che può terminare improvvisamente dal nulla. Peraltro, la fede, che spopola in modo fanatico e prorompente tra la popolazione, è in ostaggio di due organizzazioni settarie che si fronteggiano come dei rivali di strada: da una parte, sta la Nuova Verità, guidata dal presidente Kim (Lee Dong-hee), che si rimanda alle parole del predicatore Jeong Ji-soo, erede ufficiale del suo verbo, tanto da averlo fatto diventare quasi un santo; dall’altra parte, spadroneggia la Punta di Freccia, costituita da invasati che si rimandano al divo delle dirette Twitch Lee Dong-wook, si truccando come Joker e spadroneggiano in modo vandalico per le strade delle città e per i canali internet, abituati a trasmettere in diretta le morti dei “peccatori” condannati all’inferno, ma anche barbari pestaggi e omicidi di coloro che reputano miscredenti. Gli unici rimasti al di fuori di queste logiche mistico-settarie si rispecchiano in un piccolo gruppo di resistenza denominato Sodo, dove si ritrova l’avvocata guerriera (nel vero senso del termine) Min Hye-jin (Kim Hyun-joo, con un taglio corto e in versione meno legal e molto action). Infatti, Hye-jin non solo tenta di scardinare i pazzi fanatici delle due sette e di salvare quante più persone sia possibile, ma si è presa carico di quel neonato protetto dai genitori dall’esecuzione infernale (che ora è una bambina di quattro anni bellissima) e dei figli della prima condannata alla pena, la madre single Park Jeon-ja (sempre Kim Shin-rok). Quando si viene a sapere che Jeong-ja è resuscitata e che, dopo la sua esperienza infernale, pare aver acquisito poteri sovrannaturali (può vedere la morte delle persone che incontra), tutti vogliono aggiudicarsi la sua presenza per salire agli allori e gestire il mondo: sia la Nuova Verità, che la tiene in ostaggio da quando si è risvegliata e la vuole usare per aumentare i propri fedeli, sia la Punta di Freccia, che vuole impadronirsi del suo messaggio per terrorizzare l’umanità e creare un nuovo mondo, sia Sodo, che vuole eliminarla per mettere a tacere per sempre questa porta di comunicazione con l’aldilà, sia, infine, il governo, rappresentato dalla segretaria Lee Su-kyung (una bravissima e cinica Moon So-ri di Queenmaker), che vuole usare la presenza di questi gruppuscoli per avere tutto il potere, perché, per citare un vecchio adagio filosofico e politico, la religione è sempre instrumentum regni.
Ci sono due piccole schegge impazzite che sfuggono al controllo: una è rappresentata dal giovane predicatore che risorge e diventa oggetto dell’interesse da parte di tutti i gruppi, ma, al tempo stesso, soffre di incubi infernali continui, come se rivivesse in continuazione la sua morte e le sue paure; l’altra è sempre l’avvocata Min, che segue ragioni del cuore con cui nessun gruppo, alla fine, può interfacciarsi, persi nella lotta reciproca e nella sete di potere, e che è l’unica ad aver mantenuto sempre l’umanità, quella caratteristica che nessuna creatura di un altro mondo può portare via, quando si fa del bene spontaneamente.
E, mentre tutti risorgono a nuova morte o a nuova vita, con apparizioni simultanee delle creature infernali e condanne collettive che non tardano ad arrivare, queste due schegge impazzite e opposte iniziano ad andare incontro al suo destino: il giovane predicatore, che anticipava l’arrivo dei mostri, diventa, seppur riluttante, uno di loro, mentre l’avvocata continua a persistere nel suo cammino, accettando qualsiasi cosa possa accadere, conscia di essere sola contro tutto il sistema.
Due piccole curiosità: il regista e creatore del webtoon e della serie Hellbound, Yeon Sang-ho, è noto anche per essere la mente malefica che ha creato pietre miliari come The King of Pigs, Peninsula, Seoul Station e, soprattutto, il piccolo capolavoro horror d’autore Train to Busan, in cui campeggia la star Gong Yoo; l’attore che interpreta la strana creatura fluo di Twitch, soprannominato come Lee Dong-wook (caso di omonimia con l’attore di Goblin e Scent of a Woman), interpreta anche la prima vittima delle creature infernali (il tizio ansioso che corre per le strade di Seoul), anche se il trucco e i colori fosforescenti sulla pelle lo rendono irriconoscibile.
Consigliato: se il vostro cuore forte regge un horror soprannaturale che non risparmi colpi e che vi fa addentrare nei meandri della bruttura umana; se avete gustato e apprezzato altri stridori sudcoreani provenienti da Squid Game e Parasite; se amate il genere webtoon che sa mischiare fantasy, mostri, critica sociale e illuminazioni mistiche, come in Sweet Home; se volete perdervi in una profonda riflessione post visione.
Sconsigliato: se credete di vedere un horror semplice e divertente per la festività di Halloween.
Scene splatter garantite.
Laura

5 pensieri riguardo “Hellbound (ovvero della fine della civiltà umana)”