Vagabond (ovvero l’eroismo dell’umanità)

Potrei scrivere tanti motivi per cui “Vagabond”, casualmente finito nella mia lista di Netflix, è diventato presto uno dei miei drama preferiti, ma raramente si riesce a calibrare dramma politico, scene d’azione, thriller di spionaggio e storia romantica in modo così delicato e mai banale. Tanto che l’unica vera pecca della serie è che 16 episodi sono troppo pochi e che ormai ne pretendo almeno altri 16 (soprattutto a causa del finale aperto e degli interrogativi che lascia).

Cha Dal-gun (sapete già quanto adoro Lee Seung-gi) è un ex controfigura di film d’azione, che sognava di diventare un regista di pellicole di arti marziali, ma che si trova a sbarcare il lunario in tutti i modi per mantenere se stesso e il nipotino di 11 anni, rimasto orfano del padre e abbandonato dalla madre. Un giorno, l’aereo su cui viaggia il nipote, diretto con la sua squadra di Taekwondo in Marocco, precipita misteriosamente a causa di un presunto guasto meccanico che provoca la morte di tutti i passeggeri. Cha Dal-gun, che non si dà pace della morte del nipote, scopre che l’incidente nasconde un attentato terroristico. Nella sua ricerca della verità e della giustizia, viene aiutato dall’agente dei servizi speciali Go Hae-ri (bellissima e bravissima Bae Suzy), che nessuno all’agenzia prende in considerazione, ma che ha la costanza e l’onestà che manca a tutto l’establishment politico. Tra colpi di scena, voli dai palazzi in fiamme e lotte a suon di arti marziali, Go Hae-ri e Cha Dal-gun arriveranno alla verità. Ma non tutto, alla fine, è come sembra.

Lee Seung-gi sembra nato per interpretare questa parte, con il physiche du role giusto per emulare Jackie Chan e Bruce Lee insieme, ma con quell’ingenuità del bravo ragazzo con un alto senso morale, un po’ alla Frank Capra, che crede nella giustizia e nei valori fondamentali e che lotta fino alla fine per far trionfare il bene. Un eroe, che non voleva essere tale, ma che si trova immischiato in una situazione più grande di lui e che, tutto sommato, sa gestirla alla grande. Bae Suzy è l’ottimismo in persona: quando anche i servizi segreti la danno per spacciata, non si arrende di fronte a nulla e ha un recettore invisibile per capire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, che la porta a credere fortemente nel bene. E, così, di fronte a tanti personaggi che ci propinano le serie televisive, costituiti da poche luci e tante ombre, “Vagabond” ci presenta due protagonisti estremamente positivi, che lottano per far brillare la giustizia, perché il vero eroismo si trova solo nell’umanità.

Ci sono almeno tre scene di grandissimo impatto ed umanità, che già da sole valgono il recupero della serie: quando i parenti delle vittime si mettono davanti al testimone chiave del processo e ai due protagonisti per proteggerli dai cecchini e farli arrivare incolumi al processo; quando il protagonista e i genitori degli altri bambini si trovano, ognuno per i fatti suoi, in chiesa a pregare per l’intervento chirurgico a cui è sottoposta la protagonista; quando Dal-gun aiuta Hae-ri con la fisioterapia (fidatevi, questo momento da solo vi farà adorare la serie).

Inoltre, diciamo la verità: abbiamo bisogno di più Dal-gun e Hae-ri, abbiamo bisogno di più serie come “Vagabond”, ma, soprattutto, abbiamo bisogno di più esseri umani comuni che si trasformano in eroi per via della loro umanità.

Consigliato: a chi cerca una storia che faccia brillare i valori e la giustizia e a chi crede che, alla fine, il bene vince sempre; a chi ama le arti marziali e a chi cerca storie d’amore con poche pennellate; e, infine, a chi adora Lee Seung-gi e Bae Suzy.

Captain-in-Freckles