In questi giorni l’entusiasmo per le Olimpiadi ci ha fatto pensare a tutti quegli anime che si sono ispirati a storie sportive e hanno addirittura introdotto nel panorama mondiale il genere spokon, il genere dedicato allo sport .
Il primo anime di genere spokon fu “Tommy la stella dei Giants” tratto dal manga del 1966 e arrivato in Italia solamente negli anni Ottanta. Tommy (il cui nome in originale è Hoshi Hyuma) è figlio di Arthur (in originale, Hoshi Ittetsu) promessa del baseball il cui desiderio sarebbe stato quello di entrare a giocare nei Giants se solo non fosse scoppiata la Seconda Guerra Mondiale e, una volta rientrato dal fronte, non si fosse dato all’alcool per via delle ferite riportate in guerra che gli impedivano qualsiasi sport. Il figlio Tommy ha preso le stesse abilità del padre e presto diventerà una promessa del baseball, sottoposto da Arthur ad allenamenti al limite della sopportazione, come quello di usare la mano sinistra per battere e lanciare pur essendo destrorso o il vestire un’imbracatura di ferro per potenziare la muscolatura, insomma un dramma nel dramma e forse ancora di più andando avanti con la storia, alimentandoci solo e sempre della speranza di vedere Tommy entrare nella squadra dei Giants come lanciatore.
Proprio da questo anime di più di cinquant’anni fa notiamo che i Giapponesi adorano seguire il baseball come sport e così ci viene in mente “Touch!”, il cui titolo italiano è “Prendi il mondo e vai”, uscito negli anni Ottanta. Touch è la storia di due fratelli gemelli che hanno due caratteri agli antipodi, le uniche cose che li accomunano sono l’amore per la stessa ragazza e la passione per il baseball che pian piano li cambierà e li trasformerà unendoli anche in situazioni drammatiche. Quante lacrime ci ha fatto versare questa storia!
Personalmente il vero anime che ci fa sognare l’Olimpiade è “Mimì e la nazionale di pallavolo” (titolo originale, Attack No.1), nato quattro anni dopo l’impresa della squadra femminile giapponese alle Olimpiadi del 1964, le famose “Streghe d’Oriente”. Mimì Ayuhara è una studentessa appassionata di pallavolo, sport che l’ha aiutata fisicamente quando era ammalata di tubercolosi da bambina ed emotivamente, per via del suo carattere chiuso. Mimì è una storia di sacrifici, di allenamenti massacranti, di rinunce e di speranze. La serie si chiude, infatti, con la speranza all’orizzonte della partecipazione alle Olimpiadi di Monaco del 1972.
Diversamente da Mimì, quando nel panorama degli anime nipponici entra la cugina Mila, la storia sembra più leggera, anche se non mancano gli allenamenti massacranti e le pressioni psicologiche. Mila che ha emozionato intere generazioni si preparerà ad affrontare le Olimpiadi di Seul del 1988. Riuscirà nell’impresa?
Va bene, avendo citato Seul 1988, non possiamo dimenticare un altro spokon anime, “Hilary” (in originale “Hikari no Densetsu”, trad. “La leggenda di Hikari”), la storia che ci ha emozionati e ci ha catapultato nel mondo della ginnastica artistica, volevamo d’un tratto diventare campionesse anche noi e quelle esibizioni di Hilary erano così complesse da rendere il tutto reale. Hilary si esibirà alle Olimpiadi di Seul e quelle scene finali con la canzone “Un dì all’azzurro spazio” tratta dall’opera Andrea Chénier di Umberto Giordano e intonata da Federico lasceranno di stucco tutti. Hilary verrà squalificata, essendosi esibita con una musica cantata dal vivo oppure no? Una cosa è certa, Hilary ha trovato l’amore e la voglia di andare avanti.
Altro classico del genere spokon che non possiamo dimenticare è “Capitan Tsubasa” (in originale “Kyaputen Tsubasa”), più noto a tutti come “Holly e Benji”, dal nome dei due protagonisti, il calciatore Oliver Hutton detto “Holly” (in originale, Tsubasa Ozora) e il portiere Benjamin Price detto “Benji” (in originale, Genzo Wakabayashi). La serie classica, che fu pubblicata dal 1981 al 1988, ruota intorno alle vicende di Tsubasa, ragazzino giapponese con la passione del calcio e il desiderio di giocare ai mondiali, che viene allenato dall’ex calciatore nippo-brasiliano Roberto. Intorno, si svolge una complessa trama di relazioni tra personaggi, di infortuni, lacrime, risalite, successi e interminabili campi di calcio da percorrere (per chi ha seguito l’anime, il centrocampo era così chilometrico, che il nostro eroe correva per almeno tre episodi prima di raggiungere la porta avversaria e provare a fare goal). E, anche se le avventure di Capitan Tsubasa si legano a doppio mandato ai mondiali di calcio (l’idea stessa per disegnare il manga venne al suo creatore, Yoichi Takashi, in occasione dei mondiali del 1978), una delle serie sequel trova un’ambientazione olimpica che non possiamo tralasciare. Infatti, nella serie “Capitan Tsubasa Golden 23”, edita nel 2006, Tsubasa, ora prezioso giocatore del Barcellona, viene convocato nella nazionale giapponese in vista delle qualificazioni per le Olimpiadi di Madrid, dove incontra alcuni suoi vecchi compagni dell’epoca d’oro (come Wakabayashi, deluso portiere di riserva nel Bayern-Amburgo) e le nuove leve, di cui diventa immediatamente il modello da emulare. Il clima eroico della serie classica, però, lascia spazio ad una storia più reale, fatta di sudore e di tante sofferenze, perché, dopo le prime amichevoli, il Giappone fatica parecchio a qualificarsi. A dispetto di un primo girone asiatico “semplice”, dove volano goal contro Malesia, Thailandia e Bahrein, nel turno successivo, la nazionale giapponese si trova in un girone “difficile” con Australia, Vietnam e Arabia Saudita e, dopo un pareggio e una sconfitta in esordio, si riprende a fatica e rialza la testa nell’ultima partita contro l’Australia, riuscendo a superarla e a qualificarsi alle Olimpiadi per differenza reti.
Spoiler: ancora non sappiamo cosa combinerà la squadra di Tsubasa ai giochi olimpici e, visto che non ci è sembrato di intravederlo in questi giorni a Tokyo, ci toccherà chiaramente aspettare la prossima serie manga/anime. Oppure i prossimi giochi olimpici.
Memoru Grace & Captain-in-Freckles
