Designated Survivor – 60 days: ovvero “un uomo buono va alla guerra” (ma in versione sudcoreana)

L’articolo 71 della Costituzione della Repubblica della Corea del Sud stabilisce che, se il Presidente della Repubblica muore o è impossibilitato a svolgere le proprie mansioni, viene sostituito da un suo successore ad interim per un periodo di 60 giorni, in attesa di procedere a nuove elezioni. Il sostituto deve essere individuato all’interno del governo, a partire dal Primo Ministro fino all’ultimo sottosegretario.

Park Mu-jin è un docente universitario, uno scienziato specializzato sulle polveri sottili e prestato alla politica come ministro “tecnico” a capo del dicastero dell’Ambiente. A seguito di un attentato all’Assemblea nazionale (parlamento monocamerale della Repubblica sudcoreana), in cui perdono la vita il Presidente, tutti i ministri del governo e gran parte dei deputati, oltre ad un numero consistente del personale amministrativo e di sicurezza impiegato nei palazzi della politica (un’ecatombe di livello fanta-politico, insomma!), Park Mu-jin diventa improvvisamente il “sopravvissuto designato” a sostituire il Presidente per i 60 giorni prima dell’elezione.

Fino a qui nulla di strano per chi ha seguito la versione USA con Kiefer Sutherland, di cui questa serie coreana è un remake: dosi elevate di action e intrecci politici, ben calibrati con un certo pathos emotivo e con la costruzione di un personaggio di solidi principi morali, che si eleva e si differenzia rispetto al corrotto mondo politico. Certo, in questo caso lo spauracchio non sono i terroristi islamici, che sembravano minacciare la Casa Bianca e il Campidoglio di Washington, ma gli ancora più temibili vicini di casa (Corea del Nord, Cina, Vietnam, Laos, Cambogia), con cui si teme che possa scoppiare una guerra ogni cinque secondi, per non parlare degli impositivi Stati Uniti e dell’onnipresente Giappone. Inoltre, il lasso di tempo è piuttosto breve (solo 60 giorni) e vissuto in virtù della ricostruzione temporanea del paese e delle future elezioni, rispetto ai quattro anni del mandato presidenziale statunitense. Infine, il Presidente sudcoreano acquisisce solo un potere provvisorio, devoluto per mantenere lo status quo, per cui è molto più limitato del Presidente statunitense e costretto a confrontarsi con una schiera di comitati consultivi, capi di gabinetto, rappresentanti di partiti politici, sindaci plenipotenziari di città metropolitane, etc…

Differenze e somiglianze a parte, il remake coreano, a mio avviso, ha superato l’antecedente americano. Infatti, anche se entrambi partono dal medesimo presupposto (“un uomo buono va alla guerra”) e nonostante la componente di spy story su un ipotetico colpo di Stato segua le medesime direttive (con il personaggio dell’agente Han modellato sulla sua omologa americana), il drama coreano si discosta dall’ispirazione statunitense nel momento in cui abbandona i toni muscolari per dedicarsi alla politica vera e propria, che – parole del Presidente Park Mu-jin – è ciò che Dio ha lasciato agli uomini per sistemare gli squilibri e le ingiustizie presenti in natura. La Politica (volutamente scritta con lettera maiuscola) diventa, quindi, la teorizzazione di normative e di atti condivisi dagli amministratori in nome della salvaguardia del bene comune. Park Mu-jin non è un politico, ma non è nemmeno un sognatore: impara su di sé la pratica dei giochi di potere e ne traccia una linea mediana che possa guardare al futuro, ma che, nel frattempo, non debba scendere a compromessi etici né assurgere ad ideologia suprema di annientamento sulle persone. Ed è lo stacco finale (senza fare spoiler di trama) che eleva il drama coreano dall’action statunitense, portando lo spettatore a riflettere e a comparare un’ipotetica situazione alla realtà dei fatti.

Accanto al bravissimo Ji Jin-hee nel ruolo del Presidente ad interim Park Mu-jin, reggono il palcoscenico un gruppo di ottimi attori mai così perfettamente in parte: Kang Han-na è l’agente Han, Son Seok-koo è il segretario Cha, Lee Joo-hyuk è il deputato “sopravvissuto” ed ex veterano (poi, Ministro della Difesa) Oh Yeong-seok, Choi Yoon-young è la segretaria Jung , Lee Mu-saeng è l’addetto stampa Kim, Bae Jong-ok è la candidata alla presidenziali (e capo dell’opposizione) Yoon, Hu Joon-ho (menzione speciale per la sua bravura) è il machiavellico e savio consigliere Han. L’elenco potrebbe andare avanti all’infinito perché il cast non ha praticamente sbavature fino al più piccolo caratterista.

Si è talmente convinti che, alla fine delle solite 240 ore di visione (16 episodi di 1 ora e un quarto o 1 ora e mezzo l’uno), anch’io, come il segretario Cha, mi stavo per alzare in piedi durante la lezione di Park Mu-jin per chiedergli di considerare il mio curriculum vitae per la sua campagna elettorale. Non si sa mai.

Laura