“Una volta che superi quella linea, non c’è più possibilità di tornare indietro”.

Titolo originale: 今際の国のアリス, Imawa no kuni no Arisu
Regia: Shinsuke Sato
Sceneggiatura: Yoshiki Watabe, Yasuko Kuramitsu, Shinsuke Sato
Soggetto: Haro Aso
Cast: Kento Yamazaki, Tao Tsuchiya, Kento Kaku, Tina Tamashiro, Hayato Isomura, Ayaka Miyoshi, Koji Ohkura, Riisa Sudou, Hiroyuki Ikeuchi, Kotaro Daigo, Hyunri, Sakura Kiryu, Akana Ikeda
Genere: sci-fi, action, thriller, distopico
J-drama, 2025 – 6 episodi
Se siete qui, è perché avete visto – e quasi divorato – gli episodi della prima e della seconda stagione di “Alice in Borderland” e sapevate già che quella carta da Joker lasciata intravedere nel finale aveva preparato il terreno per una terza stagione e, magari, nell’attesa avete cercato tutte le teorie plausibili sul Borderland, recuperando il manga e temendo tutti i possibili sviluppi che un sequel prodotto da Netflix avrebbe potuto generare, ma, alla fine, fidandovi, fino in fondo, come Arisu con i suoi compagni di un viaggio ignoto nella psiche, in quel mondo che va al di là della vita e che sembra sorgere dall’interno di noi stessi, eppure con la speranza che un futuro sia sempre possibile. Oppure, se siete qui, potete anche essere semplicemente incuriositi da una saga che, partita in sordina, è riuscita a mantenere sempre la sua originalità e i suoi caratteri tipicamente nipponici, senza cedere nemmeno a troppe divulgazioni pubblicitarie e non sapete ancora se intraprendere o meno una visione che considerate impegnativa. Però, siete arrivati fino a qui e, chiudendo il capitolo di tutti gli avvenimenti che hanno portato i personaggi delle prime due stagioni a ritrovarsi e, poi, ad evadere dal Borderland, superando i primi due livelli di game (quello delle carte e dei semi da gioco e quello delle figure), siete pronti per addentrarvi in un nuovo mondo sospeso nel tempo e nello spazio di una Tokyo abbandonata, un posto dove mi accingerò a portarvi senza elargire alcuno spoiler.
Solo due cose devono sempre rimanere impresse nella mente: 1) “Alice in Borderland” è una serie giapponese di genere distopico/sci-fi, che si incastra perfettamente nel filone dei game e dei dungeon catastrofici, dove i personaggi si ritrovano intrappolati con un corpo “virtuale” (ma perfettamente senziente) all’interno di un’altra dimensione per superare giochi, insidie e livelli come un vero e proprio gamer (ciò implica la presenza di ognuno con il proprio corpo fisico nel mondo reale, seppur in stato incosciente e comatoso, mentre mente e anima sono intrappolate in un mondo onirico); 2) “Alice in Borderland” non è la versione giapponese di “Squid Game” (il leit-motiv survival non deve far confondere sui presupposti di fondo) e non deve essere visto come suo sostituto o succedaneo, per cui non si sopravvive ad esaurimento per raggiungere un guadagno economico, ma si impara la bellezza di scommettere sulla vita, sopravvivendo a se stessi.
“Ogni ferita può diventare la ragione per vivere”.
Il finale della seconda stagione ha convinto dell’esistenza del Borderland come di una dimensione collocata al di là della vita come anticamera della morte: vi accedono solo le persone che non sono né morte né vive o, meglio, che, essendo state colpite mortalmente, si ritrovano a vivere un’esperienza pre-morte, distaccandosi, seppur per un periodo brevissimo (che diventa lungo nel Borderland), dal proprio corpo fisico e approdando in una coscienza collettiva e condivisa, creata dagli elementi del nostro subconscio come un vero e proprio limbo. Lì si incontrano tutte quelle anime che non sanno ancora se continuare a vivere o se proseguire oltre e morire e i game si propongono come una vera e propria prova che la loro anima affronta per lottare per la sopravvivenza.
Il professore universitario Ryuji Matsuyama (interpretato da Kento Kaku di “House of Ninjas“) è sempre stato affascinato dall’aldilà, tanto da condurre da diversi anni studi sulle esperienze di pre-morte, arrivando persino a compiere esperimenti pericolosi per analizzare quale parte del cervello si attiva in queste situazioni di incoscienza. Al limite tra le infrazioni etiche e il perseguimento penale, i suoi esperimenti hanno avuto anche conseguenze deleterie per una sua assistente (mai più risvegliatasi da un’esperienza di pre-morte) e per se stesso, costretto da un incidente sulla sedia a rotelle. Per questo motivo, decide di incontrare alcuni sopravvissuti del cd. “incidente di Shibuya” accaduto anni prima, quando un meteorite collasso sul popolare quartiere di Tokyo, uccidendo molte persone. I sopravvissuti al cataclisma raccontano tutti che, durante il loro stato di coma, si sono trovati a sognare di vivere in uno strano posto, dove sono stati accolti da fuochi d’artificio, ma sono stati costretti ad affrontare pericolosi game. Tra gli intervistati di Ryuji c’è anche Ryohei Arisu (sempre interpretato da Kento Yamazaki di “Rikuoh” e “The Door into Summer“), il protagonista delle prime due stagioni e anche colui che, con la sua decisione di non diventare “cittadino” del Borderland, ha superato i livelli, riuscendo a liberare tutti i suoi compagni di viaggio. Solo che Arisu non ricorda nulla del Borderland, se non piccoli frammenti sparsi di un sogno misterioso vissuto durante la sua remissioni in ospedale, esattamente come gli altri sopravvissuti.
Anche Yuzuha Usagi (sempre interpretata da Tao Tsuchiya di “Orange“), nel frattempo diventata sua moglie, non riesce a ricordare nulla di quello che è successo nel Borderland, di cui ha solo una vaga memoria di sopravvivenza. Ciò che tortura di più Usagi, in realtà, è il mistero che avvolge il presunto suicidio del padre e il senso di colpa per non essere intervenuta in tempo e non averlo supportato, ferite che le lacerano l’animo da molto tempo, tanto da non riuscirne a parlare nemmeno con Arisu. Solo Ryuji, che vive il medesimo senso di colpa per non avere impedito la morte della sua assistente, sembra capirla e la convince a cercare quel posto al di là della vita e della morte per trovare le risposte giuste e incontrare suo padre.
In realtà, Ryuji è riuscito ad entrare nel circuito dei cosiddetti “seminari”, esperienze assurde di giochi pericolosi, a cui le persone partecipano volontariamente per avvicinarsi alla morte. In uno di questi “seminari”, Ryuji vince il pass per il Borderland, venendo in contatto con Banda (sempre interpretato da Hayato Isomura di “Tokyo Revengers“), apparso nel terribile game del Fante di Cuori nella seconda stagione di “Alice in Borderland” e ora diventato “cittadino”. Ed è proprio Banda che lo convince a portare Usagi nel Borderland, in modo da far tornare Arisu, per il quale nutre una strana e maligna attrazione, consapevole che Arisu non avrebbe mai lasciato morire la moglie, disponibile a mettere a rischio anche la sua stessa vita per salvarla.
Con Ryuji e Usagi in coma, Arisu chiede l’aiuto di Ann (ancora una volta interpretata da Ayaka Miyoshi, protagonista del film “Dance With Me“), frequentatrice del consultorio dove lavora e unica che sembra conservare intatti i ricordi della sua esperienza nel Borderland.
“Non importa che posso morire. Se c’è anche una sola possibilità di salvare Usagi, andrò lì”.
Arisu torna nel Borderland e inizia lentamente a ricordare quel mondo strano con la sua attrazione magnetica, che porta a vedere la vita in un modo diverso. Con lui diverse persone, volti ignoti per Arisu (e per lo spettatore), ma già abitanti del Borderland in momenti diversi delle loro vite. Tutti accomunati dalla volontà di tornare in quel limbo di quasi morte per qualche motivo e tutti destinati ad affrontare un nuovo livello di game, quello del Joker, che mette insieme le difficoltà di fiori (game di collaborazione), cuori (game di tensione psicologica), picche (game di forza) e quadri (game di intelligenza), mescolandole per creare nuove esperienze letali.
Con Arisu: l’ex tossicodipendente Tetsu (Koji Ohkura), che cerca di riprendere in mano la vita; la casalinga frustrata Sachiko (Riisa Sudou), che vuole lasciare il marito violento; il boss della malavita Kazuya (Hiroyuki Ikeuchi), la cui lealtà rimedia ad un passato buio; il giovane Nobu (Kotaro Daigo), vittima di bullismo scolastico e incapace di vivere; l’elegante Shion (Hyunri), abile donna in carriera che è sopravvissuta all’aggressione di uno stalker; la giovane Natsu (Sakura Kiryu), ballerina contemporanea con notevole forza fisica; i fratelli Yuna (Akana Ikeda) e Itsuki (Joey Iwanaga), rimasti orfani ancora giovani e in simbiosi protettiva tra loro; la sociopatica Rei (Tina Tamashiro), che cerca di diventare magaka e che, nonostante le apparenze del suo carattere particolare, si rivela l’alleata inaspettata di strategie.
Poi, ovviamente Usagi e Ryuji, riunitisi con Arisu alla ricerca di chi o cosa sia il Joker che gestisce i game in questo limbo, che somiglia più ad un inferno dantesco.
“Alla fine, tutti prendono il sentiero della morte”.
Ed è questa la convinzione contro cui Arisu si trova a lottare. Perché, se è vero che ogni esistenza è destinata a concludersi e a trovare la morte in fondo al proprio percorso, è anche vero che bisogna sempre scegliere la vita e la speranza di un futuro, nonostante tutto, accettando anche le amarezze e le delusioni, visto che la vita è un comprensivo di male e bene, di momenti gioiosi e lieti e di momenti tristi e dolorosi. Non è possibile eliminare il dolore dalla vita, ma bisogna inglobarlo e includerlo all’interno di tutti gli attimi dell’esistenza umana, che sono incompleti nella loro finitezza, eppure pieni e ricchi di tutti gli aspetti dell’umanità. La vita è tante piccole cose ed è soprattutto altruismo, come quello dimostrato continuamente da Arisu non solo nell’accettare di entrare nei game per salvare la moglie, ma anche nello svolgimento di tutte le sfide, è creare corrispondenze e rapporti umani sani, è spirito di sacrificio e lealtà, è proteggere le persone amate e le persone più deboli ed accettare se stessi, nonostante le incomprensioni e le proprie debolezze ed è saper amare, anche nel rischio che ciò comporta.
La vita è sempre una scelta valida, che deve rimanere presente anche di fronte al gorgo della morte, dentro cui ci si vorrebbe gettare nella disperazione. E penso che questo sia uno degli insegnamenti più belli che “Alice in Borderland” riesce a dare costantemente, sapendo mantenere quel mix di suspence, adrenalina ed emozione, al tempo stesso, senza mai dimenticare l’elemento umano (esplorato non solo nel lato di Arisu, di Usagi e di Ryuji, ma anche nei flashback continui di ogni personaggio, che aiutano a comprendere il loro animo con pochi cenni).
Senza fare spoiler, negli ultimi episodi, compare un personaggio ignoto, non il Joker – che non è una persona, quanto una casualità di scelta e di opportunità -, ma più uno psicopompo (lo chiameremo “il guardiano” ed è interpretato da un grandissimo attore, di cui mantengo celata l’identità), una figura misteriosa che vive in quella linea di confine tra vita e morte, cercando di orientare le anime nella scelta.
Per i veri nostalgici negli ultimi frammenti tornano i personaggi a cui siamo rimasti affezionati nella prima e nella seconda stagione (Kuina, Niragi, Aguni, Heiya e, quello che ci mancava più di tutti, Chishiya), in conversazione sulla vita e su cosa fa capire che vale la pena viverla. Ed è con l’ultimo scambio di battute tra Arisu e Chishiya davanti al suo immancabile tè che voglio concludere questa recensione.
Arisu: “Quand’è che senti che la vita è degna di essere vissuta?“
Chishiya: “Degna di essere vissuta? Bella domanda. Anche se non conosci la risposta, alla fine non è così male, vero? La vita, intendo“.
Arisu: “E’ vero“.
Chishiya: “E tu, invece? Quand’è che senti che la vita è degna di essere vissuta?“
Laura
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