“Sai io credo che se esistesse un qualsiasi Dio, non sarebbe in nessuno di noi. Né in te, né in me. Ma solo in questo piccolo spazio nel mezzo. Se c’è una qualsiasi magia in questo mondo, deve essere nel tentativo di capire qualcuno condividendo qualcosa. Lo so, è quasi impossibile riuscirci, ma che importa in fondo? La risposta deve essere nel tentativo”.

Titolo originale: グッドラック, Good Luck
Scritto e diretto da: Adachi Shin
Cast: Sano Hiroki, Amano Hana, Kato Saki, Ayame Goriki, Yuka Itaya
Genere: indie/comedy/road movie/intimista
Giappone, 2025 – film
Avete mai provato a trascorrere una giornata, partita come deprimente e demotivante, in modo diverso, magari camminando a zonzo per strade ignote, guardando bellezze naturali e artistiche di cui si disconosceva l’esistenza e discorrendo piacevolmente con qualcuno incontrato solo una decina di minuti prima e di cui ha la sensazione che rimarrà sempre uno sconosciuto?
Noi romantici, cresciuti a pane e film del Sundance Festival, abbiamo acquisito una percezione di storia d’amore inaspettata e particolare, intimista e riflessiva, chiusa in un road movie, che non è commedia né dramma né sentimentale, ma che ti porta immediatamente a costruire film mentali sui protagonisti, isolando la loro sensibilità e la loro affinità reciproca dal resto del mondo e tifando fino alla fine che possano ritrovarsi insieme. Avete presente quelle storie d’amore in stile “Before Sunrise – Prima dell’alba” di Richard Linklater, quando un giovane Ethan Hwake, sognatore e un po’ scapestrato, scendeva a Vienna dal suo interail per convincere Julie Delpy a fargli compagnia fino al prossimo treno, l’alba successiva, girovagando a caso per le strade della capitale austriaca e parlando di se stessi? Ebbene, quelle storie d’amore tra due sconosciuti, che, alla fine, si rivelano anime gemelle, perché sanno come riempire i vuoti fra loro e il mondo, sono diventate lo stereotipo del cinema indipendente e, forse, un po’ anche del nostro ideale di storie in assolto. Ed è per questo motivo che, guardando anche solo qualche immagine di questo film, possiamo immediatamente pensare a “Prima dell’alba“, ma, tanto vale chiarirlo subito già dal principio, nonostante sia un film romantico, questa non è una storia d’amore.
“Ci rivedremo, vero? Facciamo un po’ come in quel film… quello con Ethan Hawke… Come si chiama?”. “Prima del tramonto”. “No, aspetta, quello era il secondo, ambientato anni dopo. Intendo dire il primo”. “Ah, Prima dell’alba”. “Ecco, esatto”.
Taro (Sano Hiroki) è un giovane regista indipendente, abituato a collezionare delusioni e ancora non in grado di trovare un proprio stile che possa caratterizzarlo e definirlo. Sembra che la cosa più importante che abbia girato sia una specie di docu-film dal titolo “Yuki“, dedicato alla sua fidanzata Yuki (Kato Saki), che è molto più matura e concreta di lui, pratica, testarda e per nulla sognatrice. Taro la considera la sua musa ispiratrice e decide di ritrarla in tutti i suoi momenti della giornata, mentre lei lo sprona ad essere meno idealista e meno sulle nuvole e a dedicarsi a qualcosa di più materiale.
La perfetta e antitetica discordia porta Taro ad un riconoscimento nel mondo del cinema indipendente, che decide di omaggiarlo con una menzione speciale alla rassegna cinematografica di Beppo, nella prefettura di Oita. Tuttavia, non appena il suo film viene proiettato e Taro è pronto per essere intervistato sul palco dall’organizzatrice del festival e, quindi, ritirare il suo premio, viene umiliato pubblicamente dalla sua intervistatrice, che enuclea tutti i punti deboli della sua esperienza cinematografica, si mostra in disaccordo con la sua menzione speciale e ne attribuisce il merito solo al personaggio protagonista del suo film. Bocciato su tutta la linea, Taro decide di saltare deliberatamente il party serale del festival e di prendersi una vacanza dalla pressione stressante che vive.
Ed è così che incontra Miki (Amano Hara), una ragazza libera e stravagante, che già di per sé è una forza della natura. Miki, che era presente all’umiliazione pubblica di Taro, ritrova ingiuste le critiche dell’organizzatrice del festival e, anzi, mostra apprezzamento per la sua opera. Poi, gli propone di farle compagnia come turista casuale in quella sperduta prefettura del Giappone, alla ricerca di posti nuovi da visitare, di persone da incontrare e di esperienze da maturare nei ricordi.
Infatti, Miki vive in questo modo: sin da piccola, si è resa conto di non amare scuola, impegni e occupazioni sedentarie, ma anche di apprezzare la società quel tanto che basta per venire a contatto in piccoli frammenti disseminati. Così, mentre lavora sempre in smart working online, si concede ogni tanto delle giornate di vacanza, prendendo il primo autobus che la possa portare in qualche ignoto angolo del Giappone per scoprirne i luoghi, le tradizioni e le persone. A Miki piace dialogare con gente sconosciuta, così come adora inventare storie su come andranno le vite di coloro in cui si imbatte per caso, ma, al tempo stesso, non cerca amicizie durature né relazioni, solo piccoli scambi umani di parole al vento perché “si riesce ad essere se stessi solo con gli sconosciuti“.
Mentre Miki presenta il suo mondo attivo e solare dove non esistono le scadenze e i legami sono solo sorrisi pacati, ma si raccolgono biglietti di mezzi che la porteranno da qualche parte, Taro trova modo di aprire se stesso, parlando della sua continua passività, della sua aura di negatività che lo segue come un mostro ovunque e del senso di inadeguatezza con cui vive, per cui teme di perdere chi gli è più caro. E, mentre Taro e Miki si scambiano le proprie opinioni sui propri mondi, aprendo un piccolo spiraglio per rendersi visibili tra di loro, visitano luoghi dispersi nella natura, dove le cascate si alternano a campeggi hippy e a sauna costruite sugli alberi, fantasticano su coppie che litigano sull’autobus e costruiscono uno scenario horror ideale per la proprietaria della pensione.
Soprattutto, non hanno timore a far vedere se stessi, senza alcuna pressione e senza alcun desiderio di apparire, perché hanno stabilito da subito, ognuno silenziosamente con se stesso, che non hanno bisogno di amore, ma solo di una tranquilla e sincera conversazione per un breve tratto di tempo. Perché si può essere intimi senza essere amanti e si può aprire meglio se stessi con chi si condivide momentaneamente il cammino, come due pellegrini sullo stesso percorso.
Il fatto è che questa strana e strampalata non-storia d’amore, questa commedia lo-fi, è una connessione perfetta e delicata, leggera come una brezza primaverile e spensierata come una giornata di fine estate senza compiti per le vacanze ed è anche così realistica nei suoi piccoli ritratti ordinari e nei suoi discorsi semplici e profondi, senza mai risultare enfatici o filosofici, da risultare quanto di più vero e vicino alla vita normale possa esistere, con due personaggi che potrebbero essere due comuni ragazzi trentenni che scambiano due parole su un autobus e rivelano le ansie e le preoccupazioni che li attanagliano, in questa generazione sospesa a metà tra un presente che non comprendono e un futuro che non sanno se vale la pena raggiungere, né come.
E non c’è bisogno di scoprire se Taro e Miki si rincontreranno prima o poi, come sembra abbiano promesso, pur senza averne alcuna intenzione, perché tra loro già un’affinità di anime e di discorsi che va al di là di qualsiasi afflato sentimentale, anzi lo prescinde del tutto, senza avvertire l’esigenza di creare un simile rapporto, perché le loro chiacchiere e il loro girovagare serve solo per farli sentire un po’ più umani e un po’ più comuni con le loro piccole quotidiane tragedie da affrontare in ogni singolo momento della vita.
In “Good Luck“, presentato in anteprima mondiale al Far East Film Festival di Udine nel 2025, Adachi Shin, che nel 2014 ha già creato un film cult come “100 Yen Love“, commedia sportiva e slice-of-life sulla boxe femminile, che ha ispirato il film cinese “YOLO: You Only Live Once” di Jia Ling e, in parte, il drama coreano “My Lovely Boxer“, con pochi mezzi, pochissimi attori e quasi solo una steady-cam, ha realizzato un film indipendente che, al tempo stesso, riesce a parodiare e a scardinare i crismi a cui il cinema indipendente ci ha abituato negli ultimi decenni, compreso le storie d’amore tra sconosciuti in viaggio, l’afflato incredibile di discorrere sopra i massimi sistemi o di innamorarsi della luna piena e delle stelle in cielo, prendendo in giro l’intellettualismo di certo cinema con la sfida delle piccole cose quotidiane, di quella vita che sembra sempre piatta e noiosa, ma che è quanto di più meraviglioso possa esistere.
Ed è per questo motivo che la domanda “Ma, alla fine, perché fai cinema?” rivolta a Taro deve necessariamente rimanere senza risposta.
Laura
