“Ci sono cose che non potrai riuscire a fare, non importa quanto ci proverai. Ma le persone che provano a fare il loro meglio non possono perdere ogni battaglia. Alla fine, riusciranno a vincere”.

Titolo originale: 陸王, Rikuō
Regia: Katsuo Fukuzawa
Scritto da Hiroyuki Yatsu, basato sul romanzo di Jun Ikeido
Cast: Koji Yakusho, Kento Yamazaki, Haruka Uchimura, Ayako Yoshitani, Sawako Agawa, Akira Terao, Ryoma Takeuchi, Mone Kamishiraishi, Takuma Otoo, Tereu Shoji, Shunsuke Kazama, Toru Baba, Pierre Taki, Udanji Ichikawa, Kazutoyo Koyabu, Gaku Sano, Yoshihisa Amano, Fumi Dan, Midoriko Kimura, Kotaro Shiga
Drama: Business, Slice-of-Life, Sport
I tabi (足袋) sono i calzini di cotone che fanno parte della tradizione giapponese, diventando famosi per la loro particolare vestibilità che li rende un tutt’uno con il piede: lunghi fino alla caviglia, che non stringono, morbidi e già dotati di un separatore tra l’alluce e le altre dita del piede, sono costituiti da due lembi di stoffa non elastica che si uniscono con un’apertura sul retro, fermata da bottoncini, in modo da far scivolare il piede naturalmente, senza creare aderenze. Usati anticamente dalle classi più agiate, in combinazione con i sandali zouri, e dai samurai (nella versione in cuoio, in modo che diventassero già da soli una calzatura), hanno avuto la loro massima espansione in periodo Edo (1603-1867), conservando una certa fortuna nella prima parte del secolo XX fino al declino odierno, che ha preferito loro i più comuni calzini elastici.
Eppure, sono diversi a sostenere che le calze tabi portino dei benefici incredibili, a cominciare dalla correzione posturale e dalla prevenzione dei dolori alla schiena per continuare con la mobilità e la versatilità dei movimenti, tanto da essere usati in diversi sport (come karate, judo, kendo). Questo perché è provato che i tabi favoriscano la parte centrale del piede, la cosiddetta camminata del metatarso, senza gravare sulle punte, sbilanciando la postura, e senza far scivolare il piede sui talloni, rischiando dolorosi infortuni. E la camminata del metatarso, se accelerata, fa acquisire la corsa perfetta, quella che ha distinto l’Homo Sapiens dalle altre specie, perché “correre vuol dire vivere“.
Koichi Miyazawa (Koji Yakusho del film “Perfect Days” di Wim Wenders) sa che i tabi favoriscono la postura perfetta e che dovrebbero essere indossati più frequentemente, eppure si trova catapultato in un mondo di calzini elastici e scomode sneakers di marca, dove la sua ditta, Kohazeya, erede di una tradizione giapponese secolare e con sulle spalle oltre 100 anni di storia aziendale, rischia la totale scomparsa.
Miyazawa ha 57 anni e dirige la compagnia con l’entusiasmo e la determinazione trasmesse dal padre e dal nonno, mantenendo la formula originale di produzione dei tabi e facendo caso sempre alla qualità, più che alla quantità, alla perfezione e alla bellezza di ogni singola cucitura, impressa a mano con le macchine da cucire punto per punto. Negli anni, però, il suo personale è stato drasticamente ridotto e dei vecchi fasti sono rimasti solo 20 impiegati, tra cui il vecchio contabile Genzo Tomishima (Kotaro Shiga), la capo-operaia Akei Masaoka (Sawako Agawa, giustamente premiata in Giappone come migliore attrice non protagonista per questo ruolo), l’anziana e instancabile sarta Fukuko Nishii (Terue Shoji), la giovane apprendista Misaki Nakashita (Ayako Yoshitani) e i macchinisti Toshimitsu Yasuda (Haruka Uchimura) e Kohei Ebata (Yoshihisa Amano). Tuttavia, nonostante i sacrifici e le economie degli ultimi anni, sembra che il destino di Kohazeya sia segnato: con poco profitto e un settore di affari privo di futuro, la banca non può più fornire ulteriori finanziamenti, a meno che l’azienda stessa non si rinnovi in qualche modo. Questa è l’opzione che sembra fornirgli, un giorno, il giovane bancario Taro Sakamoto (Shunsuke Kazama), suggerendo a Miyazawa di produrre qualcosa di diverso, unico e originale, magari puntando su quelle caratteristiche uniche e specifiche della calza tabi. Come la camminata del metatarso.
Miyazawa inizia a fare ricerche e a raccogliere informazioni sullo studio del cammino e della corsa, fino a quando, cercando di avvicinarsi al figlio maggiore con cui ha un dialogo difficile, Daichi Miyazawa (Kento Yamazaki di “Alice in Borderland“, “Golden Kamuy” e tanti altri), neolaureato in ingegneria elettronica e in affanno per la ricerca di un lavoro che sembra non volerlo, non si reca ad una maratona su strada. E’ il figlio il primo a parlargli di quel mondo incredibile fatto di fatica e di corsa, che affronta la strada per arrivare a toccare il cielo, ed è lì che Miyazawa conosce il promettente atleta Hiroto Mogi (Ryoma Takeuchi, “Rappongi Class“, “Black Forceps“), considerato uno dei migliori maratoneti del Giappone fino a quando un brutto incidente non gli ha rovinato la carriera.
Nessuno dei tre sa ancora che quella giornata diventerà il momento della svolta nelle loro vite.
Miyazawa inizia a progettare una scarpa da corsa basata proprio sulla calza tabi e cucita a mano, in modo da consentire di camminare e correre appoggiando solo la parte centrale del piede, senza forzare punta e tallone e senza provocare infortuni ai legamenti, come quello che ha segnato la carriera sportiva di Mogi. Ed è così che aiutato da Sakamoto e supportato dai suoi impiegati – tra cui, soprattutto, Akei Masaoka, un vero motore di tutto il gruppo – inizia a disegnare la scarpa da corsa basata sul tabi e a cercare partnership per trovare i materiali migliori per il suo progetto, fino a quando si imbatte in Haruyuki Iiyama (Akira Terao, “Tokusou 9“), un geniale inventore burbero, pieno di debiti e sopra le righe, che ha brevettato una gomma leggerissima e resistente, perfettamente applicabile alla suola delle scarpe progettate, ma che può essere prodotta solo con un particolare e ingombrante macchinario creato dallo stesso Iiyama e da lui brevettato.
Non senza fatica e grazie al supporto del figlio, che sembra nato per vivere in mezzo ai macchinari stravaganti di Iiyama, Miyazawa riesce a soddisfare tutte le condizioni che cercava e a creare “Rikuoh“, la scarpa da corsa tanto sognata, denominata così perché destinata a diventare “il re della strada” (in giapponese, appunto, ri-kuoh o, meglio, 陸王) e ad essere donata a Mogi per restituirgli la fiducia di correre.
Quello che Miyazawa e il suo team ignorano ancora, però, è il fatto che, se creare le scarpe è sembrato relativamente semplice, pur nella difficoltà di convincere la banca e di trovare tutte le partnership e i materiali, rimanere a galla in un mondo gestito da grandi imprese e multinazionali e da sponsor sportivi è quasi impossibile. Così come sopravvivere alla guerra che la casa sportiva Atlantis, la più grande produttrice di scarpe da corsa ed ex sponsor di Mogi, o resistere alle lusinghe di assorbimento della Felix, laeder nella creazione di abbigliamento sportivo e interessata al brevetto della gomma usato per le Rikuoh, o domandare prestiti su prestiti alla banca per fronteggiare i costi sostenuti nella creazione e la manutenzione dei macchinari.
“Le persone di Kohazeya sono resilienti. Lo so, ci dicono che è la nostra più grande caratteristica”.
E, d’altronde, il marchio dell’azienda è una libellula, segno di rinascita e di armonia, ma anche di trasformazione continua, di mutamento riflessivo e di libertà. Come la libellula, che trascorre gran parte della sua vita come una larva, nascosta dal mondo in uno stato di eterno torpore, salvo, poi, mettere le ali e librarsi in cielo velocissima, per sfuggire ai suoi predatori, così anche Kohazeya è sempre stata pronta a spiccare il volo e quei cento anni di produzione continua di calze tabi erano solo una preparazione per diventare qualcosa di grande, simbolo di speranza per tutte quelle piccole aziende che lottano di fronte ai grandi come Davide contro Golia.
Tutt’al più che tutte le persone di Kohazeya sono come Davide, armati solo di una piccola fionda e di tanta fede, resilienti e fiduciosi, perché capaci di imparare dalle sconfitte e di sapere attendere le vittorie. Miyazawa era considerato un piccolo imprenditore quasi artigianale, una quarta generazione di un’azienda in naturale deterioramento, che avrebbe presto chiuso i battenti per andare in pensione. Gran parte del suo personale era considerato come troppo vecchio per un lavoro in fabbrica, destinato alla mobilità lavorativa già da tempo, o troppo poco qualificato per la produzione in serie. Daichi era considerato un eterno disoccupato, alla ricerca di lavoro 24 ore su 24, abituato al fallimento dei colloqui e costantemente umiliato, nonostante la sua preparazione ingegneristica e la sua intelligenza. Iiyama era considerato un fallito, uno arrivato sull’orlo della bancarotta e inseguito dai creditori, con l’unico valore di un brevetto che avrebbe ceduto per salvare la vita. Mogi era considerato un atleta finito, incapace di cambiare e di riprendersi, abbandonato da tutti gli sponsor e deriso dai suoi stessi avversari che lo avevano superato.
Tanti piccoli esseri umani ritenuti inutili, perché umili e senza il potere dei soldi o delle grandi conoscenze, e, pertanto, esclusi da qualsiasi considerazione, eppure tanti piccoli esseri umani abituati a volare, perché sanno costruire sui sogni, facendoli diventare realtà, abituati a non assoggettarsi alle imposizioni dell’esterno, ma a pensare sempre con la propria testa, anche a costo di essere controcorrente, come indossare delle scarpe tabi ad una maratona importante.
“Rikuoh” è un drama giapponese del 2017, ispirato all’omonimo romanzo dell’anno precedente di Jun Ikeido, che ci ha regalato anche il libro da cui è stato tratto il drama “La rivincita degli Astros – No Side Manager“, ed è soprattutto una roccaforte di umani sentimenti e di valori condivisi, che aiuta a credere in sé stessi e a sognare anche in grande, perché i sogni hanno la caratteristica di allargarsi e di trasformarsi continuamente, espandendosi e librandosi nell’aria come le libellule. C’è la potenza dei sogni dietro la scrittura del romanzo e la realizzazione del drama e l’orgoglio di essere sé stessi, anche se piccoli e derisi, considerati come outsider (negli affari, nello sport e nella vita), ci sono tanti personaggi mai stereotipati, ma descritti nei loro pregi e nei loro difetti, persino nelle ire e nei cambi d’umore e – tanto vale chiarirlo subito – non c’è alcuna componente romance. C’è tanta sofferenza, tante lacrime di dolore e tante umiliazioni da sopportare con perseveranza e resilienza, senza mai farsi abbattere, per riuscire a catturare quei momenti di luce e di successo per cui tutti dovremmo essere nati.
Infine, il drama è stato girato solo qualche anno prima delle Olimpiadi di Tokyo 2020 (poi, svoltesi nel 2021, rimandate di un anno per l’emergenza sanitaria del COVID-19) e, quindi, in piena costruzione di strutture e di opere utili per il periodo olimpico. Il progetto di creare un drama sportivo sulla disciplina olimpica per antonomasia, quella della maratona, è sembrato perfettamente calzante alla TBS per il momento. Inoltre, come potrebbe affermare anche Haruki Murakami in “L’arte di correre“, è necessario rammentare che la maratona in Giappone è una cosa davvero seria e sacra, perché correre è un’arte, che comprende in sé il movimento e la meditazione e permette di sentirsi diversi dal consueto, eppure più sé stessi di qualsiasi altro momento.
Quest’affezione tutta giapponese per la corsa di fondo su lunga distanza si desume dai numeri (la presenza fissa di giapponesi nei primi dieci piazzamenti durante le maratone olimpiche e le numerose vittorie in diverse competizioni simili), dai tempi (solo alla maratona di Tokyo del 2025 sono stati ben sei gli atleti giapponesi ad aver corso la distanza in meno di 2 ore e 8 minuti) e, infine, dall’inventiva. Infatti, nasce in Giappone nel 1917 un particolare tipo di maratona denominata “ekiden”, che, di fatto, si corre sulla distanza di una maratona (42, 195 km), ma con la partecipazione di una squadra di staffettisti, costituita da 5 a 7 persone (solitamente, è preferita la formula di 6 corridori), ognuna impegnata solo in un tratto di strada, al termine del quale dovrà cedere la fascia della staffetta ad un altro componente della squadra. L’ekiden è ritratto ben due volte all’interno del drama: una prima volta tra squadre di professionisti per seguire la lenta ripresa della performance sportiva da parte di Mogi e una seconda volta con la squadra non professionista di Kohazeya, in gara per ottenere un decimo posto e, quindi, un po’ di visibilità.
“Devi essere contento. Era questo il tuo sogno, no?“
“No. Ho solo appena iniziato a sognare”.
Laura
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