“Un diavolo scaccia l’altro”.
(frase rigorosamente pronunciata in italiano)
Ed è forse questa la battuta che è diventata più iconica di un personaggio in potenza cattivo, ma che, nonostante tutto, è deciso a lottare per il bene, seppur usando mezzi non canonici e non propriamente giusti. Si tratta di Vincenzo Cassano, il consigliere mafioso, che, proveniente da una famiglia della mafia italiana, torna in Corea del Sud, dove sono le sue origini e inizia una guerra che non fa prigionieri contro un potente cartello dell’industria farmaceutica (e non solo), un personaggio che, di per sé, potrebbe andare a popolare quella fornitissima galleria di macchiette mafiose e stereotipate di ogni tipo, che Hollywood (ma anche certo cinema nostrano) ci ha trasmesso per decenni e che, invece, riesce a distaccarsi nella sua accorata teatralità e nella sua palesemente falsa italianità. Vincenzo Cassano non è il classico mafioso in stile Don Vito Corleone, né quello più moderno e in crisi della famiglia Soprano. Anzi, a dir la verità, il fatto che sia un mafioso è solo un dettaglio della sua personalità, una connotazione che ne plasma le azioni e le relazioni con gli altri, ma anche un’aura di mistero che ne forgia il personaggio.
Ci muoviamo su un sottile filo sospeso nel vuoto, a metà tra l’estetica di un drama effettivamente molto ben congegnato, scritto e interpretato, che non scade mai nella farsa, come tanti prodotti di questa tipologia, e che integra il crime televisivo, con l’hard-boiled orientale e il mafia-movie occidentale, mischiando tutti gli ingredienti in un prodotto unico nel suo genere e mai banale, e l’etica sovrastante le decisioni di tutti, che riesce ad ottenebrare la mente sia dei personaggi che degli spettatori. Per spiegare meglio, in questo drama esiste un unico (ma complesso) piano estetico, bellissimo e terribile al tempo stesso, fatto di risate e momenti comici, ma anche di dramma, di nostalgia, di drammaticità e, infine, di sangue, di violenza e di suspence, e due piani etici, che partono da due sillogismi diversi e opposti: quello della giustizia, che segue le vie legali per scoprire la verità e punire i colpevoli, e quello destrutturante della vendetta, che persegue, anzitutto, i colpevoli, ai quali estorce la verità. E lo spettatore si trova inserito e schiacciato all’interno di queste due etiche forti e contrastanti, tanto da non confondere il fine con i mezzi.
Vincenzo Cassano (interpretato in modo magistrale da Song Joong-ki) approda in Corea del Sud, dopo la morte del padre adottivo, Fabio Cassano, un boss mafioso che lo aveva preso come figlio e lo aveva fatto diventare suo avvocato e consigliere personale, salvo seguire una legge salica atavica e rendere suo unico erede, il primogenito Paolo Cassano. Quest’ultimo è portato solo per la violenza e la brutalità, ma poco per la glaciale concretezza degli affari e, con il suo comportamento, allontana dall’Italia il fratello adottivo (naturalmente, dopo che lo spettatore ha modo di conoscere Vincenzo al lavoro mentre fa “una proposta che non si può rifiutare” e dopo che Vincenzo riesce a sventare miracolosamente una serie di attentati ideati contro di lui dal fratello).
Vincenzo rinuncia solo momentaneamente all’eredità della sua famiglia mafiosa per andare a rifornirsi di denaro presso una cassaforte sicura e ignota ai più: il tesoro inestimabile di un vecchio gangster della triade cinese, che, tempo prima, Vincenzo aveva aiutato insieme al padre adottivo e al suo braccio destro coreano, Cho Yeong-un (Choi Young-joon di “Our Blues” e “Hospital Playlist“) e che è stato nascosto, all’interno di un caveau segreto, al Geumga Plaza, una sorta di centro commerciale e unità abitativa situata nel quartiere di Geumga-dong a Seoul. L’accoglienza coreana non è, però, la migliore per Vincenzo, che viene drogato, derubato e, poi, una volta trovato posto in al Geumga Plaza, guardato con sospetto dai suoi abitanti e minacciato più volte da una banda di strani strozzini che lavorano per il Babel Gruop, un enorme cartello farmaceutico e immobiliare, che ha bisogno del terreno in cui sorge il Geumga Plaza.
Nel suo nuovo ambiente, Vincenzo conosce Hong Yu-chan (Yoo Jae-myung, che ha reso personaggi incredibili anche in “Itaewon Class” e in “Song of the Bandits“), un avvocato idealista che lotta per la giustizia dei piccoli contro i grandi e che assiste gli abitanti del Geumga Plaza con il suo studio legale Jipuragi (letteralmente: “pagliuzza”) contro il temibile Babel Group, assistita dal grosso studio legale Wusang e dai suoi avvocati, l’arrivista innamorato del denaro Han Seung-Hyeok (Jo Han-chul di “Healer“, “The Law Cafè“, “Love Next Door” e tanti altri), l’ex procuratrice e squalo della legge Choi Myung-Hee (Kim Yeo-jin di “The King Eternal Monarch“, “Rookie Historian Goo Hae-ryung” e tanti altri) e la giovane avvocatessa carrierista e melodrammatica Hong Cha-Young (Jeon Yeo-bin di “A Time Called You“), che, poi, è anche la figlia di Hong Yu-chan.
Anche se Vincenzo vorrebbe chiudere subito la faccenda, usando uno dei metodi a cui è “professionalmente” abituato, l’avvocato Hong Yu-chan lo convince che la legge è l’unica via per ottenere giustizia, anche perché non si tratta solo di un semplice terreno su cui la Babel ha messo gli occhi, ma di qualcosa di molto più grande e potente, relativo alla diffusione di un farmaco, che avrebbe potenzialmente generato assuefazione da droga e che aveva fatto ammalare gravemente diversi ricercatori che vi avevano lavorato. Solo che, mentre Vincenzo e l’avvocato Hong perseguono la strada legittima, la Babel, gestita dal suo inetto presidente Jang Han-Seo (Kwak Dong-yeon di “Queen of Tears“) e lo studio Wusang non la pensano nello stesso modo e rompono gli equilibri nel modo più orribile e inaudito, preferendo ricorrere più volte alla violenza per non affrontare la giustizia.
“Non lasciate che il loro stato sociale vi intimidisca. Siate forti e comportatevi come se foste uguali”.
Ed è così che Hong Cha-young inizia a ravvedersi delle sue azioni e a comprendere che la Babel e lo studio Wusang lavorano in modo illecito per seguire la strada che suo padre le aveva sempre tracciato davanti, che sarà anche più povera, ma che è sicuramente la strada più giusta. Così, Cha-young torna al Geumga Plaza e decide di allearsi con Vincenzo Cassano, salvo, poi, stringere con lui un’amicizia che va al di là di qualsiasi rapporto di alleanza, perché i due sembrano iniziare a pensare con la stessa mente, in connessione reciproca e costante, anche nella teatralità delle loro stategie per battere la Babel. Forse perché “l’amicizia è un’anima divisa in due corpi“, ma, in effetti, il rapporto tra Vincenzo e Hong Cha-young è fatto di stima e reciproco rispetto, un legame intellettivo, a prescindere da qualsiasi fisicità, e di ragionamento, prima ancora che possa diventare romantico.
Ma, per affrontare un colosso gigantesco che si nutre nella confusione come la Babel (il cui nome non è certo stato dato a caso), è necessario circondarsi di tanti legami e alleanze che possono aiutare, come quella composita e pittoresca popolazione che caratterizza il Geumga Plaza e che è quanto di più simile possa esserci ad una famiglia: Nam Joo-sung (Yoon Byung-hee di “Heartbeat” e “Miss Night and Day“), l’impiegato dello studio legale Jipuragi, che vorrebbe somigliare a Vincenzo; i proprietari del banco pegni, l’appassionato di arti marziali Lee Cheol-wook (Yang Kyung-won di “Crash Landing on You” e “Welcome to Samdalri“) e la moglie che lo tiranneggia, Jang Yeon-jin (Seo Ye-hwa di “Motel California“); il sarto con un passato da gangster Tak Hong-sik (Choi Duk-moon di “Moving” e “A Bloody Lucky Day“); la pianista che sembra un fantastma, Seo Mi-ri (Kim Yoon-hye di “Jeong-nyeon: The Star is born“); la proprietaria dello snack bar, Kwak Hee-soo (Lee hang-na di “The One and Only”) e il figlio svogliato Kim Young-ho (Kang Chae-min di “If You Wish Upon Me“); i monaci buddisti Chaeshin (Kwon Seung-woo di “Newtopia“) e Jeokha (Ri Woo-jin); lo chef del ristorante italiano Arno, continuamente vessato da Vincenzo, Toto (Kim Hyung-mook di “Knight Flower“) e il ballerino e performer dal passato oscuro Larry King (Kim Seol-jin di “My Demon“). A loro, si uniscono inaspettatamente anche l’agente dei servizi segreti An Gi-seok (Lim Chul-soo di “Alchemy of Souls“) e gli ex strozzini della Babel, Park Seok-do (Kim Young-woong di “Happiness” e “Never Give Up“), Jeon Soo-nam (Lee Dal di “Melo Movie“) e Mrs. Yang (Jung Ji-yoon di “18 Again“), mentre Cha-young sa che può contare sul supporto e sull’aiuto di Jang Joon-woo (Ok Taec-yeon di “Heartbeat“, “Save Me” e molti altri, oltre che membro dei 2PM), stagista legale presso la Wusang, che le riporta sempre dettagliatamente tutte le strategie decise dalla Babel.
“La legge è come una ragnatela. Ha una durata limitata. Le vespe più forti la rompono e volano via, ma mosche che sono più deboli finiscono per morire nella ragnatela. Le mosche del Plaza hanno unito insieme le forze e stiamo rompendo a morsi qualsiasi cosa, che sia vespa o ragnatela”.
O forse no? Perché nessuno è quello che sembra e, se Vincenzo non nasconde anche il suo desiderio di rintracciare la madre che, tempo prima, lo aveva abbandonato (uno dei momenti più intensi e più belli del drama, in cui spicca la bravura dell’interpretazione di Yoon Bok-in), ci sono personaggi che nascondono molto più di quello che appaiono e di cui non bisogna fidarsi.
“La tua fonte migliore di protezione non è una pistola o una spada, è il tuo cervello. Non dimenticarlo”.
“Vincenzo” (in originale: 빈센조, ovvero Binsenjo, perché in coreano non esistono né la lettera V, né la lettera Z e da qui si comprende la palese difficoltà dei personaggi del drama a pronunciare in modo corretto questo nome) è un k-drama di 20 episodi (piuttosto lunghi), trasmessi nel 2021, il cui genere fluttua tra il crime, la commedia, il drama, il dramedy, il thriller e l’action, e che si basa soprattutto su alcune interpretazioni incredibili (dei due protagonisti, anzitutto) e su dei cattivi geniali, quanto inquietanti (probabilmente, tra i migliori villain di sempre). La sua trasmissione ha generato un picco di ascolti, mettendo d’accordo pubblico e critica e rimanendo per diverso tempo come una delle produzioni sudcoreane più viste su Netflix (compreso in Italia). Tuttavia, la sua realizzazione non è stata affatto facile, sia per la complessità della trama, che prevedeva una lunga scrittura, con numerosi personaggi e diversi scenari ricostruiti, ma anche con alcune scene girate quasi integralmente in italiano (da vedere soprattutto nei primi due episodi), sia per la concomitanza con la diffusione dell’epidemia da Covid-19, che ha interrotto e rallentato le riprese, fino a costringere gli show-runner a riscrivere integralmente diverse scene e a ricostruire per intero alcuni scenari italiani negli studios coreani con il green screen. Il risultato, però, è stato impeccabile, regalando grande notorietà e diversi premi al cast e creando alcuni tormentoni pop, che rimarranno sempre impressi (come il piccione di nome Inzaghi o i climax sottolineati dalla musica lirica, cantata, rigorosamente, in italiano) e che hanno caratterizzato uno dei personaggi più amati di sempre nella storia dei k-drama, ovvero Vincenzo Cassano.
Ma, allora, chi è davvero Vincenzo Cassano e per quale motivo questo personaggio è diventato così famoso? Partendo dalla fine della storia, quando Vincenzo rompe la barriera della finzione e, da buon attore pirandelliano, si mette ad interagire direttamente con il suo pubblico, sappiamo dalle sue stesse parole che Vincenzo è un cattivo. O, meglio, è un super cattivo, uno di quelli da evitare da lontano, perché recano in sé tutto il fascino del male, reso ancor più pericoloso dalla sua potenzialità di essere piegato al bene. Spiegando meglio, dunque, Vincenzo non è solo cattivo, ma contiene in sé tutta l’etica della meravigliosa e tremenda vendetta (per riprendere le parole del “Rigoletto“), è quasi un manuale d’istruzione di ciò che non si dovrebbe mai fare o di tutte quelle azioni terribili per conseguire una vendetta non lecita, crudele e perfettamente orchestrata contro il Male assoluto, perché, se Vincenzo Cassano è – nietschianamente – l’uomo che si erge al di là del bene e del male, coloro che gli si parano di fronte e che gli ostacolano il cammino sono l’incarnazione stessa del Male, senza nulla da mascherare. E, quando c’è il Male più puro e più terribile, tanto che non esiste un vero modo per ostacolarlo, è lo stesso Vincenzo che spiega agli spettatori che lui esiste perché è l’unico in grado di affrontare questo Male, un altro male in grado di sconfiggerlo.
Il vero punto è che tutto ciò non dovrebbe nemmeno esistere. Non dovrebbero esistere mali enormi e nemmeno piccoli e banali mali, tollerati quasi perché pensati come strutturali all’interno di una società. Non dovrebbero esistere grigiori e macchie prive di luce e non si dovrebbe ricorrere alla cieca violenza priva di legge per cercare la giustizia.
Quando iniziai a vedere questo drama, temevo diverse cose, tra cui certamente l’aspetto macchiettistico e caricaturale della mafia (ma, per esteso, anche dell’Italia), ma soprattutto la possibile apoteosi del fenomeno mafioso, cosa che, purtroppo, è disseminata in diversi prodotti esteri, incuranti del fatto che la criminalità organizzata non rappresenti un fenomeno colorito dell’Italia, ma un cancro diffuso contro cui la giustizia lotta ogni giorno. Ebbene, dissipato il primo dubbio, dopo i primi episodi più macchiettistici, il secondo dubbio non è tanto rimasto, ma si è mascherato molto bene all’interno della storia. Per dirla tutta, la sceneggiatura è così ben scritta, da riuscire a far perdere di vista il pericolo insito nella figura di Vincenzo fino alla fine, con quel bellissimo stacco e quel monologo rivolto al pubblico, rimasto impietrito davanti alla tragedia consumata dal grande protagonista, con una circolarità e una coerenza incredibile. In tutto ciò, dunque, Vincenzo è prettamente un personaggio tragico e teatrale, una metafora simbolico, ma anche la tesi hegeliana finale di un’ipotesi che parte dal male insito nella società e, pertanto, un mezzo per dimostrare come la società si è ammalata ed è degradata e come, invece, bisognerebbe riprenderla dalla melma che si è diffusa comunemente.
Ed è così che si congeda dal pubblico, lasciando un messaggio forte e graffiante, che riesce a ricavare la morale della parabola di un antieroe umano e vulnerabile, ma soprattutto prodotto di quella stessa società che finisce per combattere:
“Sono ancora un cattivo e non mi può importare più di tanto della giustizia. La giustizia è debole e vuota. Nessuno può vincere contro altri cattivi solo con la giustizia. Se un giorno esisterà una giustizia senza pietà, cederò ad essa volentieri. Anche i cattivi vogliono vivere in un mondo di pace. In ogni caso, visto che ciò al momento non è possibile, ho un nuovo hobby, sbarazzarmi della spazzatura. Se non lo faccio, le persone moriranno sepolte sotto la spazzatura. C’è anche un’ultima cosa che vorrei dirvi sempre dalla prospettiva di un cattivo. Il male è prevalente e veemente”.
Laura
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Una opinione su "Vincenzo (ovvero etica della tremenda vendetta)"