“Come back to me, and stay by my side,
I feel my heart shake – come, ease this ache.
I’m standing over here, reaching for you,
A million miles away, come back and stay…
No matter how far the memories may be,
When I close my eyes, you’re all that I see.
Come back to me…
A million miles away, come back and stay…”(dalla canzone “A Million Miles Away“)
C’era una volta un mondo irreale e fantastico, dove la finzione serviva a nascondere ciò che la realtà non poteva esprimere e dove le emozioni prendevano vita per perdersi in note musicali e in antiche magioni. C’era una volta un mondo sospeso in uno spazio virtuale quasi fiabesco, eppure, al tempo stesso, tanto da essere rinchiuso in una mano. E in questo mondo così strano e colorato, fluttuante tra le nubi della fantasia, vivevano una principessa con una lunga e folta chioma fulva e un mare di lentiggini e un mostro rintanato in un castello diroccato, di cui tutti temevano la presenza.
Suzu è una ragazza di diciassette anni introversa e solitaria, isolatasi sempre di piùdopo la morte della madre per un tragico incidente. Un giorno, grazie ad un’amica, scopre il mondo di U, un social network di realtà virtuale in cui è possibile creare un alter ego e vivere un’altra vita attraverso una tecnologia full-dive. In questo modo, è possibile per gli utenti immergersi completamente nella nuova realtà, assumendo un nuovo corpo e delle nuove sembianze, così realistiche da sembrare vere, seppur mescolate alla fantasia.
Nel mondo di U, Suzu, che normalmente non riesce ad avere una voce vera nella sua realtà di tutti i giorni ed evita di relazionarsi sia con i propri coetanei che col padre, diventa Belle, un’idol bellissima e dalla voce fantastica, che rapidamente diventa anche il personaggio più amato e popolare di U, tanto da essere considerata una vera principessa. I suoi concerti spopolano ovunque e fanno milioni di visualizzazioni e like, mentre le sue canzoni riescono a lenire le ferite nell’animo degli utenti che si collegano alla realtà virtuale. Solo che, mentre la popolarità di Belle è in continua ascesa, l’universo personale di Suzu diventa sempre più piccolo e ristretto, tanto da farla isolare ancora di più dal suo mondo reale, restia a riprendere i rapporti persino con il suo amico d’infanzia, Shinobu, che conserva di lei il ricordo di una bambina gioiosa nella speranza del futuro.
Le cose cambiano, però, quando, durante un concerto di Belle nel mondo di U, irrompe improvvisamente in mezzo ai fan il terribile Drago (letteralmente, account “The Dragon” o anche “The Beast”), personaggio che nella realtà virtuale temono tutti e che vive isolato in un castello diroccato e nascosto anche agli occhi più curiosi e perspicaci di U.
Nonostante l’aspetto deforme e mostruoso del Drago e l’aura di terrore che diffonde intorno, Belle (o, meglio, Suzu, nascosta nel personaggio di Belle) capisce che il Drago non è altro che un ragazzo sofferente, come lei, rinchiuso in quella nuova vita virtuale per fuggire da una realtà tormentata, pieno di cicatrici immaginarie, simbolo delle ferite accumulate nel mondo reale. Belle, come la sua omonima nella fiaba “La Bella e la Bestia“, inizia a recarsi spesso nel castello del Drago per comprenderlo e confortarlo, perché la loro connessione così impalpabile e unica è costruita sulla comune empatia della sofferenza, ma anche su quel mondo reale e umano così sordo al loro grido di dolore.
Ed è così che Suzu si sveglia nella vita reale, depone la maschera della sua Belle e va a cercare veramente quel ragazzo che si cela dietro il Drago, affrontando un lungo viaggio che la porta via dalla prefettura di Kochi, dove vive col padre, e le fa attraversare il paese, ma anche i propri ricordi e quelle sofferenze rimaste sopite e represse, che stanno urlando silenziosamente in ogni angolo del suo inconscio, per trovare Kei, un ragazzo di quattordici anni che vive nell’ombra del terrore degli abusi subiti in famiglia. Quando Suzu trova Kei, trova anche se stessa, il suo coraggio, i suoi sogni, la sua voce reale, che era rimasta incastrata in un mondo dove la sofferenza umana era stata annullata, ma che non riusciva più a farsi sentire nella vita di tutti i giorni. Scende nel baratro insieme a Kei per riemergere di nuovo, comprendendo che la sofferenza è una parte della vita da accettare per farsi cullare nel dolore, metabolizzarlo e, poi, rinascere e andare avanti.
Come Kei puniva se stesso con le sue deformità virtuali e spaventava il popolo del mondo fantastico per superare il dolore e la paura di una vita di abusi, Suzu si era annullata e aveva perso la sua voce, rinunciandovi come “La Sirenetta” di Andersen, per adattarsi ad un mondo non suo, ma anche per punirsi di una duplice colpevolezza inconscia, quella di essere sopravvissuta alla madre e quella di non aver perdonato la madre per averla lasciata sola morendo.
“Belle” (che in originale si chiama 竜とそばかすの姫 “Ryu to Sobakasu no Hime“, ovvero “Il drago e la principessa con le lentiggini”) è un film giapponese d’animazione solo in apparenza semplice, una vera fiaba moderna, che, dietro il mondo onirico della realtà virtuale, nasconde tematiche come il superamento del lutto, la depressione, la solitudine, il profondo disagio soprattutto dei giovanissimi, talvolta costretti a vivere in contesti violenti e tragici, eppure incapaci di far sentire la propria voce al mondo degli adulti, che li relega a creature deformi.
Presentato in anteprima mondiale fuori concorso a Cannes nel 2021, la pellicola è stata scritta e diretta da Mamoru Hosoda, genio creativo dell’animazione giapponese, non nuovo a tematiche come la crescita e la consapevolezza di sé e il superamento del dolore, spesso presenti nella sua opera (che ci ha dato titoli come “Mirai“, “Wolf Children“, “La ragazza che saltava nel tempo” e “The Boy and the Beast“), sempre molto attento ad indagare le diverse trasformazioni dell’animo umano, dove il mondo circostante si trasforma in fantastico e fiabesco, come uno specchio delle emozioni dei suoi protagonisti.
Le fiabe di Hosoda, però, sono estremamente psicologiche e metaforiche, un bosco di messaggi simbolici e allegorie all’interno del quale i protagonisti si smarriscono appositamente per perdersi e ritrovarsi, riemergendo nel mondo reale, rinnovati e più forti, perché, secondo lo psicanalista Bruno Bettelheim “solo uscendo nel mondo, l’eroe della fiaba – il bambino [N.d.R.: ma anche l’adulto] – trova se stesso”. Per questo motivo, non è necessario che le fiabe siano corredate da storie d’amore o da incontri romantici, che quel finale del “E vissero felici e contenti” vorrebbe chiosare come unica felicità. I personaggi di Hosoda non cercano legami amorosi, ma comprensione e solidarietà reciproca per superare il dolore e trovare il perfetto appagamento, cose che troppo spesso tendiamo ad ignorare, ma che caratterizzano lo splendore della fragilità umana.
Laura
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Bellissimo!!
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