“Un percorso non è semplicemente una strada su cui camminare. Il suo scopo sta nell’andare avanti, migliorando se stessi. Un percorso che fallisce in questo scopo non è un vero percorso. Il percorso è un sentiero aperto a tutti, ma non tutti possono intraprenderlo”.
Sole assolato di un pomeriggio in Giordania, sudore nella corsa affannata per ritrovare qualcuno, che, forse inseguendo quell’invisibile percorso delle vicende di vita, ha smarrito la strada principale. C’è un ragazzo che corre ossessivamente per i vicoli di Petra e chiama a gran voce, mentre intorno tutti fingono di ignorarlo, utilizzando una lingua a lui estranea… La videocamera si sfoca, perde l’immagine e l’obiettivo, cade nel buio e nel grigiore di una giornata comune a Seoul qualche tempo prima e destabilizza lo spettatore unendo un luogo e un tempo convenzionale e piatto ad un prologo animoso e ansiogeno. Ma non siamo in un film d’azione: è solo lo strano e incomprensibile incrocio delle vite umane, di tante piccole formichine, dedite al lavoro e a migliorare se stessi, talvolta anche ferendosi e calpestandosi tra loro; è il grigiore dell’ordinarietà di tutte quelle vite incomplete, che, poi, sono quanto di più normale possibile, perché anche i grandi uomini vivono di piccole e minuscole vicende di ignote esistenze umane.
“Misaeng – Incomplete Life” (in hanguk 미생; in hanja 未生) prende in prestito il titolo da una terminologia usata nel gioco del Go (“Baduk” in coreano) e può essere tradotto con l’espressione “non ancora vivo”, dove il termine “mi” (미), significa “non ancora”, ad indicare l’incompletezza e la sospensione di qualcosa di non fatto, mentre il termine “saeng” (생) è collegato alla vita, e, quindi, indica quella strategia usata dal giocatore di esistere, senza dimostrare una vita attiva, apparentemente subire, nel tentativo di costruire un percorso che possa portare alla completezza, ovvero alla vittoria. Al tempo stesso, questa strategia rivela le basi filosofiche della cultura confuciana. La completezza della vita, quella che deriva dalla perfetta armonia sociale ovvero dalla rispondenza tra gli obiettivi del singolo con quelli della società, dalla pienezza in ogni campo della vita, che dà quella sensazione non di sentirsi felici, ma di essere appagati da se stessi e da ciò che ci circonda e che, spesso, è la cosa più vicina alla felicità a cui l’essere umano può aspirare.
Sentirsi completi con la consapevolezza di vivere una vita incompleta, aspirare a ricoprire una propria posizione all’interno delle gerarchie sociali in cui si vive, come la stabilità lavorativa, quella affettiva ed emotiva, quella che deriva dalle amicizie e dalle relazioni sociali: è questo, per davvero, l’obiettivo di tutti i piccoli esseri umani nel mondo, ma è spesso anche una chimera, che si allontana, quanto più sembra vicina e raggiungibile, difficile da catturare se non per qualche breve istante. E, alla fine, ci si abitua all’incompletezza.
“Anche se pensi che non ce la farai, lotta fino alla fine. Nella vita, possono iniziare tante cose diverse, senza che tu sappia come vadano a finire”.
Jang Geu-rae (Im Siwan di “Run On“, “Summer Strike“, “Strangers from Hell“, e molti altri) è un ragazzo di 26 anni schivo e introverso, ex bambino prodigio del gioco del Go, dove ha fallito di diventare professionista, privo di laurea, adattabile a tutti i lavori, anche i più umili, proveniente da una famiglia povera, caduta ancora più nella miseria dopo la malattia e la morte del padre. Un giorno, riceve una raccomandazione improvvisa da un suo ex sponsor di Go, che gli permette di entrare in una grande azienda (tecnicamente, un vero e proprio “conglomerato” nel senso più coreano del business) come stagista. Con la sua figura esile, un completo vecchio e di pessima fattura e tanta forza di determinazione e di resilienza, Geu-rae entra nel mondo lavorativo, deciso a trovarsi un piccolo posto tutto suo, nonostante l’isolamento e gli sberleffi a cui gli altri lavoratori lo sottopongono, a causa della sua mancanza di titoli di studio adeguati e di conoscenze ed esperienze del settore, e nonostante il team a cui viene assegnato sembra non accogliere bene la sua presenza, considerandolo quasi una spia del direttore per via della sua raccomandazione. Geu-rae, però, che ha giocato a Go sin dalla più tenera età, sa cosa vuol dire aspettare ed adattarsi alle situazioni per apprendere come fare con un avversario più forte e volgere a suo favore i punti critici. Ed è così che lentamente quella sua gentile presenza silenziosa e mai sopra la righe, quel senso del dovere e della puntualità e quell’intelligenza empatica che riesce ad entrare immediatamente in connessione con chi gli sta vicino iniziano a scalfire le resistenze del suo supervisor, il giovane impiegato a tempo indeterminato Dong-shik (Kim Dae-myung di “Hospital Playlist“), del collega freddo e apatico Chun Kwan-woong (Park Hae-joon di “The 8 Show“) e, soprattutto, del team leader, lo scorbutico e stacanovista Oh Sang-shik (Lee Sung-min di “A Bloody Lucky Day“). In apparenza, Sang-shik è un uomo irascibile, privo di sonno, dedito al lavoro e convinto della malafede dei colleghi, ma è anche un marito che si sente in colpa con la moglie, ritiratasi da una carriera brillante per seguire la famiglia, un padre che vorrebbe giocare con i suoi figli, costretti a vederlo solo quando rientra a casa stanco la sera, un capo che considera il suo piccolo team come una famiglia da proteggere sempre, in qualsiasi circostanza, anche se questo vuol dire inimicarsi il resto del mondo, un impiegato traumatizzato da un’esperienza che lo ha segnato a fondo negli anni passati e che farebbe di tutto per evitare di fornire false speranze e illusioni ai suoi sottoposti.
“Abbiamo tutti una vita incompleta, ma sopravvivere vuol dire cercare di completarla”.
Per Geu-rae, Oh Sang-shik è quel completamente, se non al suo significato di vita, perlomeno a quella sua interpretazione che ne aveva dato tempo fa quando prendeva lezioni di Go da un maestro, quel trait-d’-union inconsapevole tra il suo passato, fermo ai suoi vecchi appunti di gioco, e il futuro a cui aspira, che cerca di costruire, tessera dopo tessera, come una partita di Go, cercando di sopravvivere alle maree alte e di resistere, lottando fino alla fine, anche se quel posto a tempo determinato sembra solo un miraggio per uno senza laurea come lui.
In questo mare in tempesta, in cerca del proprio posto nel mondo, Geu-rae conosce altri stagisti, poi impiegati a tempo, contendenti, oppositori, ma anche colleghi, soci e amici di intemperie, talvolta costretti a lottare fra loro, più spesso a puntare i piedi per resistere e sopravvivere. Ed è in questo modo che entra immediatamente in connessione con Ahn Young-yi (Kang So-ra di “Doctor Stranger“), una ragazza intelligente e determinata, ultra preparata e competente sia nel settore economico e manageriale che nella padronanza delle lingue straniere e, proprio per questo motivo, invidiata, relegata a compiti umilianti che la sviliscono, sgridata e mai perdonata, perché una donna non può dimostrare la propria intelligenza in una società maschilista. La loro connessione e il loro legame sono unici e non hanno bisogno di etichette e definizioni ordinarie, visto che i loro sguardi bassi e silenziosi entrano in empatia da subito, come quell’armonia che riesce a crearsi solo tra introversi che devono lottare contro la medesima corrente.
Nella corrente c’è anche chi lotta con la propria sicurezza e la propria ambizione e che, talvolta, è costretto anche a lottare contro di essa, come l’altro stagista e, poi, lavoratore a termine Jang Baek-gi (Kang Ha-neul di “When the Camellia Blooms“), quasi contraltare di Geu-rae, ex primo della classe, teoricamente impiegato modello, quasi autocandidatosi a diventare il primo tra i giovani lavoratori, ma che dovrà fare un passo indietro, sia rendendosi conto che non sempre preparazione e talento coincidono, sia comprendendo cosa voglia dire l’umiltà e la collaborazione con gli altri.
Poi, c’è Han Seok-yul (Byun Yo-han di “Mr. Sunshine“), per cui servirebbe un capitolo a parte, l’elemento estroverso del gruppo di stagisti, ingegnere tessile, che passa all’amministrazione e al tempo determinato (con relativo stupore degli altri), guascone, originale, profondo conoscitore di pettegolezzi, anima freak, che cela dietro la sua apparenza sopra le righe e superficiale una profonda insicurezza, cercando di colmare quei gradini che la società ha imposto tra la sua famiglia di operai e l’élite dei colletti bianchi.
I quattro ragazzi riescono col tempo a superare l’esame e il periodo di prova per un contratto a termine come impiegati, ma il percorso non è sempre costellato di successi, ma più spesso di ciottoli scivolosi e spuntoni scomodi, di umiliazioni variegate e di grande fatica. Così, mentre Geu-rae lotta per farsi accettare e non essere considerato un paria, Ahn Young-yi si raffronta con il sessismo e la discriminazione di genere che il suo team le fa vivere (in primis, con i maltrattamenti del collega Ha Sung-joon, interpretato da Jeon Seok-ho di “Love Next Door” e “Strong Woman Do Bong-soon“), Jang Baek-gi si sente ignorato dal proprio responsabile (Kang Hae-joon, interpretato da Oh Min-seok di “Kill Me, Heal Me“) e Han Seok-yul viene sfruttato e oberato dal suo responsabile viscido (Song Jeon-shik, interpretato da Tae In-ho di “Sisyphus: The Myth“).
La trama di per sé si basa su tante piccole vicende, eventi di ogni giorno e spunti di riflessione, e pone un’analogia tra la vita lavorativa (ma anche, più in generale, l’esistenza umana) e il gioco del Go. In questo modo, è stata concepita da Yoon Tae-ho (stessa penna di “The Insiders“, da cui il film omonimo “Inside Men“), creatore del manhwa/webtoon, pubblicato tra il 2012 e il 2013 nella piattaforma Naver, che aveva intenzione di costruire una metafora della costante e contraddittoria lotta per la sopravvivenza nella dura società coreana, dove rimane costante il giudizio altrui, che allarga e rende una voragine il senso di inadeguatezza.
Tutte queste dinamiche ordinarie, tratte dalla vita e dalle fatiche di tutti i giorni, ma soprattutto rappresentate in modo realistico, senza edulcorare alcun messaggio, quasi come un frame documentaristico che segue la vita di giovani stagisti, eppure contenenti un lirismo e una poesia in sé, nella loro semplicità e nella loro schiettezza, hanno contributo al successo di questo drama, che, trasmesso nel 2014, ha davvero smosso l’opinione pubblica coreana e la critica. Oltre ai numeri di share elevati e ai premi (tra cui i premi Baeksang come miglior regista a Kim Won-seok, come migliore attore protagonista a Lee Sung-min e come migliore nuovo attore a Im Si-wan), “Misaeng” è diventato in patria quasi un fenomeno di costume, creando il cosiddetto “misaeng style”, a cominciare dall’abbigliamento e dallo stile, per continuare con i piccoli oggetti da ufficio o i breviari di frasi ripetute come veri e propri mantra.
Perché, alla fine, la vita incompleta e normale ritratta è quella di tutti quanti, in una realtà in cui cerchiamo di sopravvivere, giorno per giorno, senza conoscerne la fine, ma con il dovere di mantenere la nostra umanità.
Post scriptum: dedicato a tutti coloro che sono stati o sono tuttora lavoratori a termine, in bilico per la loro certezza e la loro esistenza, convinti di scomparire e di diventare invisibili.
Laura
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Una opinione su "Misaeng – Incomplete Life (ovvero: della vita ordinaria e dell’umanità)"