“A volte, faccio un sogno…”
Se siete qui, è perché siete rimasti sospesi in una frazione di tempo, un frammento breve, ma lungo quanto un’eternità. Se siete qui, vi siete catapultati dal 1945 e dagli orrori della guerra e dell’occupazione giapponese in Corea, descritta nella prima parte di “Gyeongseong Creature“, siete caduti nelle acque privi di sensi e siete stati distrutti dal dolore per la perdita di diverse persone, siete sopravvissuti al fuoco improvviso delle fiamme e avete assistito al disgelo del ghiaccio e alla discesa dei primi petali di ciliegio di un inizio primavera.
“La primavera stava arrivando inaspettatamente presto quest’anno a Gyeongseong. Ma il mio inverno non è ancora finito”.
Seoul non è più Gyeongseong, la città murata chiusa al mondo nei suoi orrori interni, dove la vita e la libertà erano sono chimere precarie e l’umanità un concetto astratto. Eppure è ancora la stessa Gyeongseong, nei suoi meandri oscuri e inavvicinabili, in quella corsa frenetica verso il progresso, dove la scienza e la tecnologia hanno distrutto finalmente l’umanità e dove impera un nuovo ideale di super uomo, al di là del bene e del male, conscio della sua natura mostruosa e abile ad usarla. L’ospedale degli orrori Ongseong è scomparso, eppure è rimasto sempre, celato nelle sue sperimentazioni, pronto ad adattarsi e a rinnovarsi per una nuova generazione di creature inumane. Tutto è diverso, anche se nulla è cambiato da quel lontano 1945.
L’inverno è stata un’infinita attesa per Yoon Chae-ok (Han So-hee), lasciata a morire nelle acque ghiacciate, colpita più volte da chi aveva combattuto, ma salvata in punto estremo da quel germe mostrifero che gli scienziati giapponesi avevano iniettato in sua madre, quasi come ultimo dono materno per ridarle, di nuovo, la vita. Solo che la vita di Chae-ok è incastrata tra il buio di un anonimato forzato e i lampi di una trasformazione mostruosa, che lacera il suo animo, trasformandola in una macchina assassina di esseri umani. Con il dolore per i propri cari lasciati andare e l’afflizione per il senso di colpa di essere rimasta in vita come creatura ibrida tra l’umano e il mostro, Chae-ok attraversa i decenni dal 1945 fino al 2024, vivendo in solitaria e nell’oscurità e lavorando come investigatrice di missioni impossibili. Non ha più un nome, né amici o famiglia, ma solo limitati contatti con coloro che le possono procurare un lavoro e agisce come un fantasma silenzioso, con la sua nuova forza sovrumana. Una notte, però, ingaggiata per ritrovare una persona scomparsa, si imbatte in Jang Ho-jae (Park Seo-joon), che lavora con il suo partner Kwon Yong-Gil (Heo Joon-seok) per una piccola agenzia investigativa e che le ricorda molto l’amato Jang Tae-sang.
Solo che Jang Tae-sang non dovrebbe più apparire in questo modo, visto che sono trascorsi settantacinque anni da quando i due si sono lasciati e da quando Chae-ok ha spiato la fine della guerra e i festeggiamenti dei suoi vecchi amici per l’indipendenza della Corea. Eppure, la possibilità che Ho-jae e Tae-sang sia la stessa persona è suffragata da diverse prove e da segnali disseminati, come quei frammenti di ricordi di una vita passata che affollano, di tanto in tanto, la mente di Ho-jae e che riempiono in modo confuso quei vuoti lasciati dall’incidente che gli ha causato l’amnesia. Ho-jae rivede il banco dei pegni, il suo vecchio amico Kwon Jun-taek (breve e intenso cameo di Wi Ha-joon), rivede la figura materna della signora Nawol (Kim Hae-sook), il maggiordomo Gu Gap-pyeong (Park Ji-hwan), il giovane Park Beom-o (Ahn Ji-ho) e la proprietaria del Moonlight Na Young-chun (Ok Ja-yeon). E risente addosso, come in un sogno destinato a svanire, il lungo sguardo d’addio di Chae-ok e il calore delle giornate trascorse con lei, fino a scoprire che nulla di questi ricordi sopiti e riaffiorati improvvisamente è dettato dal caso e che, in fondo, Seoul è rimasta ancora, nel suo cuore più oscuro e più nascosto, la Gyeongseong che Jang Tae-sang ha conosciuto, dove il sonno della ragione ha generato mostri destinati a sopravvivere ai cambiamenti politici e sociali, perché insediatisi negli incubi reali dell’umanità impazzita e devota ad una scienza senz’anima.
Così, se negli anni ’40, erano gli esperimenti da laboratorio giapponesi, convinti di generare un’arma nuova e potente, ad aver messo in discussione l’umanità per agire su trasformazioni di esseri umani inaccettabili, adesso esiste un’azienda che, nel nome del progresso scientifico e tecnologico, costruisce dei veri e propri ibridi umani, non più mostruosi come i primi esperimenti degli anni ’40, ma non per questo meno letali. In un mondo che ha inaridito la percezione dell’umanità e gli ideali, il fanatismo politico e filosofico dell’autoritarismo è stato sostituito dal capitalismo e dall’evoluzione sfrenata, rappresentata dalla Jeonseung Biotech, gestita dall’amministratore tuttofare Kuroro 01 (Lee Mu-saeng), dal presidente ed erede ufficiale Shin Ji-Oh (Park Sung-geun) e dalla ancora più temibile Lady Maeda (una rediviva e agghiacciante Claudia Kim), che è sopravvissuta in modo miracoloso all’esplosione durante il funerale del marito, conservando la bellezza e la giovinezza della sua versione degli anni ’40, ma anche tutta la fredda e cinica spietatezza.
In questo nuovo apparente equilibrio, però, in cui la Jeonseung Biotech sembra aver avuto il predominio per decenni, annullando la mente e il ricordo di Jang Tae-sang, si è insediato un elemento destabilizzante, una variabile delle precedenti sperimentazioni, diventato ora unico nel suo genere: Seung-jo (Bae Hyun-sun) ha l’apparenza di un giovane arrogante, che fa sfoggio delle sue abilità mostruose senza temere di passare per un assassino, afflitto da quell’innocenza maligna di un bambino cresciuto troppo in fretta e destinato a fermare la sua maturità, frenando anche le sue potenzialità per compiacere chi gli sta intorno. Si trova in quella posizione giudicante dei bambini selvaggi che criticano e giudicano il mondo adulto e tendono a sovvertirlo, salvo crearne uno ancora più orrido, dedito unicamente alla violenza, come i bambini de “Il signore delle mosche“. Seung-jo è il vero simbolo della sperimentazione malevola, del progresso che impazzisce in un’educazione fallita, dove la nuova generazione è disponibile ad uccidere la precedente per sostituirsi del tutto nel tentativo di creare un mondo nuovo, eppure al tempo stesso è molto più umano, nelle sue contraddizioni e nella sua scelta del male, di tutti coloro che lo indirizzano e gli affibbiano compiti all’interno della Jeonseung Biotech, diviso a metà tra i doveri imposti, la rabbia repressa e quei sentimenti che teme, perché emergono come un ricordo di umanità.
Chae-ok, Tae-sang/Ho-jae, Seung-jo – e, con loro, anche Lady Maeda, Kuroro e tutti gli altri personaggi che si trovano coinvolti in questa storia oscura, sospesa tra romanzo d’amore e racconto dell’orrore – sono incastrati in una giostra di vita e di morte, di passato e di presente, dove altri hanno preso le decisioni per conto loro, costringendoli a dimenarsi in una serie di conseguenze a catena, come marionette di un destino superiore. Eppure, tutti, in qualche modo, tentano di ribellarsi a quella forza centripeta che li incatena (e che li ha tenuti incatenati per decenni), scegliendo da soli le proprie azioni.
“Così come abbiamo le nostre ragioni per scegliere di vivere, abbiamo anche le nostre ragioni per scegliere di morire”.
Concepito come seconda parte di “Gyeongseong Creature”, pur a settantacinque anni di distanza, il drama è un seguito, ma anche un ipotetico punto di inizio di un franchise (guardare dopo i titoli di cosa per credere), che crea un universo horror/fantascientifico nuovo ponendo davanti la problematica del progresso e della scienza e di cosa è disponibile a fare l’essere umano per perdere la propria umanità in nome della potere, o, meglio, per uccidere la propria debolezza per andare al di là del bene e del male.
Chi mi conosce (e chi ha letto la mia prima recensione) sa che non sono stata clemente con la prima parte di questo drama. E questo per diverse ragioni, prima fra tutte per la legittima pretesa che avevo di trovarmi di fronte ad un prodotto storico, che indagasse su uno dei molteplici crimini della Seconda Guerra Mondiale (quello delle sperimentazioni sugli esseri umani) e che narrasse del movimento per l’indipendenza coreana. Il fatto di trovarmi di fronte ad un buon prodotto, ma che non soddisfaceva le mie aspettative, dove la trattazione dei personaggi risultava bloccata in mezzo alla creazione di un universo action/horror, molto più in stile “Sweet Home“. Ebbene, pur senza rinnegare nulla di quello che ho scritto in precedenza, adesso sarò più clemente per una semplice ragione: prima, mi aspettavo uno storico con tanti punti di forza (ad iniziare dal cast) e mi sono trovata di fronte ad un horror ben fatto, ma dove le scene d’azione avevano preso il sopravvento su tematiche che potevano essere approfondite meglio (e in più episodi); adesso, mi aspettavo un horror fantascientifico più in stile Netflix e ho ritrovato i personaggi e i loro ricordi. E, finalmente, la loro angoscia interiore, il loro dolore e le loro emozioni sono riuscite a superare quella pura azione in ostaggio degli effetti speciali, che aveva preso il sopravvento nella prima parte, unendo i puntini e dando la possibilità di sondare l’animo dei protagonisti e di seguire la loro evoluzione psicologica. In questo senso, penso che la vera bravura sia proprio degli interpreti (personalmente, Han So-hee ancora più di Park Seo-joon, ma senza escludere Bae Hyun-sun, che, con il suo volto angelico e gli occhi fissi, mi ha sorpreso nella costruzione del suo villain atipico, degno de “L’innocenza del diavolo“). Gli sguardi tormentati dei protagonisti sono riusciti a caricarsi qualsiasi scena ansiogena da cunicoli ininterrotti, a dimostrazione del fatto che la grandezza interpretativa vince sempre sulla spinta commerciale da effetti speciali.
Ed è proprio quell’ultimo sguardo di Chae-ok che riesce ad incarnare la parte più poetica. Quell’ultimo sguardo, che, nella prima parte, indugiava sotto la neve su Tae-sang o che inseguiva la breve danza dei primi petali di ciliegio, torna, nella seconda parte, dolente e fiero al tempo stesso, carico di intensità e di protezione, di tristezza e di speranza, bloccato nel passato, eppure in cerca del futuro, di un lieto fine come di un riscatto che possa lenire tutte le ferite rimaste ancora aperte, e ha lo spazio di un attimo sospeso nel tempo di un sogno. E’ un ultimo sguardo destinato a diventare il primo di una nuova vita e a rimanere fisso nell’eternità.
“Che ne sarà di noi? Pensi che arriveranno anche per noi momenti felici?” .
“Mi assicurerò che saremo felici e che torneremo a vivere”.
Laura
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Una opinione su "Gyeongseong Creature 2 (ovvero: dell’attimo sospeso nel tempo di un sogno)"