“Un corriere della notte. Esiste quel tipo di lavoro. Tutto quello che ho sentito su di lui erano solo voci. Ma sai come sono le voci. Sono esagerate ed enfatizzate. Ma, per me… Il mio cuore inizia a battere forte. Finisco con il fantasticare su di lui. Così è iniziato il mio secondo amore non corrisposto”.
Chiodo nero di pelle allacciato quasi fino alla gola, felpa con cappuccio, cappellino calato sugli occhi, sguardo nascosto da occhiali speciali, auricolari nelle orecchie, mentre veglia sulla città: così ci è apparso per la prima volta il personaggio protagonista di questo drama del 2014, “Healer” (힐러), ovvero il misterioso “fattorino” che viene incaricato di consegne e missioni particolari e che agisce come un vigilante notturno per la città di Seoul. Ed è stato subito amore eterno (o “Eternal Love”, come recita la canzone portante della colonna sonora, interpretata da Michael Learns to Rock). Perché quel fattorino vestito di nero rappresenta il senso di giustizia e la costante ricerca della verità ed è un eroe positivo in tutti i sensi, non solo per le sue doti e per le sue abilità nelle arti marziali, ma soprattutto per la sua umanità, che lo caratterizza in qualsiasi momento. E, naturalmente, qualsiasi spettatore, come la protagonista di questo drama, di cui sono le parole dell’incipit, ha compreso quanto fosse importante quell’amore non corrisposto con uno dei personaggi più leggendari di sempre.
Per tutti questi motivi, è giusto premettere che con questo drama ci stiamo confrontando con un pezzo classico e, al tempo stesso, uno dei prodotti più autentici dell’animo sudcoreano, scritto e girato quando ancora i k-drama non andavano di moda in Occidente e non vi erano particolari obblighi di apprezzamento con i canali di streaming, ma potevano trattare tutte quelle tematiche care alla cinematografia dell’Estremo Oriente (l’amore che parte da lontano e rimane persistente, il tragico passato dell’infanzia, l’inchiesta nella ricerca della verità, il filo conduttore della vendetta o, meglio, della punizione dei malvagi), portate avanti con quella narrativa costituita da soave lentezza e scatti veloci d’azione e nascondendo, al tempo stesso, le reali ferite di una terra che faceva i conti con il proprio passato. “Healer“, infatti, nel suo incastro perfetto tra action, crime e romance, non è altro che lo specchio stesso della Corea del Sud, che tenta di uscire dai decenni di regime e di costruire una democrazia lontana dalla corruzione, ponendo la propria fiducia nel futuro.
Seo Jung-hoo (interpretato da Ji Chang-wook di “Welcome to Samdalri“, “Suspicious Partner“, “The Sound of Magic” e tanti altri) non è un ragazzo comune: con il nome in codice di “healer” si finge un fattorino notturno, ma accetta, in realtà, diverse missioni pericolose per i suoi clienti, che possono andare dal recupero di soldi, alla ricerca di indagini, alla protezione di qualcuno e che sono portate avanti grazie alle sue abilità in tutti i tipi di lotta, al suo equipaggiamento hi-tech e al supporto di due donne particolari e sopra le righe, Jo Min-ja detta l’Ajumma Hacker (interpretata da Kim Mi-kyung) e Kang Dae-yong detta l’Assistente (interpretata da Taemi), le uniche due persone di cui Jung-hoo abbia mai registrato il numero di telefono nella rubrica del suo cellulare (“Ho solo tre numeri salvati sul mio cellulare. Quello dell’Ajumma, della mia subordinata e del mio ristorante preferito di pollo fritto“).
In realtà, Jung-hoo non è il primo “healer” che ha vegliato sui tetti di Seoul, visto che ha ereditato la sua professione dal cd. Master (interpretato da Oh Kwang-rok), figura a metà tra il paterno, il ferreo allenatore di arti marziali e il giustiziere misterioso che agisce da solo, e, come tale, è sempre tenuto sotto osservazione non solo dal suo maestro, ma anche dal detective della polizia Yoo Dong-wol (interpretato da Jo Han-chul di “The Law Café“), convinto della sua natura criminale.
Però, nonostante l’obiettivo di Jung-hoo sia quello di accumulare soldi per sparire dal consorzio umano e andare a vivere in solitaria su un’isola tropicale, la sua retta condotta di vita gli ha imposto di non accettare mai alcun lavoro che possa anche solo lontanamente includere comportamenti delittuosi e omicidi. Ed è così che finisce per accettare un incarico da Kim Moon-ho (interpretato da Yoo Ji-tae di “Money Heist Korea: Joint Economic Area“), uno dei più importanti e famosi giornalisti di Corea, che si sente intrappolato in un passato irrisolto (“La mia vita dipende dal passato. Di conseguenza, non ho un futuro“). L’incarico consiste nel trovare e, successivamente, proteggere Oh Ji-an, considerata scomparsa da bambina, dopo un terribile incidente che ha coinvolto la sua famiglia nel 1992, quando esplose un incendio in una radio libera. Si trattava di una di quelle piccole stazioni radiofoniche fastidiose e ferme nei propri ideali, che era stata fondata da cinque amici con la passione per la verità nel 1980 e aveva lottato contro il regime autoritario per favorire il ritorno alla democrazia. Moon-ho, che è il fratello minore di uno dei pochi sopravvissuti all’incidente, Kim Moon-sik (interpretato da Park Sang-won di “Signal“), si sente in colpa per quella notte che ha cambiato il destino di tante persone e persegue la carriera di giornalista proprio per trovare sempre la verità in ogni cosa (“Il mio sogno è non sognare. Da quel giorno, continuo a fare lo stesso sogno. Per alcuni mesi, quel sogno è rimasto quiescente. Ma poi è tornato ad ossessionarmi. Ho commesso un crimine. Il mio crimine è il mio silenzio“).
Jung-hoo scopre che Oh Ji-an è viva, ma ha perso le memorie del passato e, dopo diverse vicissitudini che l’hanno traumatizzata durante l’infanzia, ha assunto il nome di Chae Young-shin (interpretata da Park Min-young di “When the Weather is Nice“, “What’s Wrong With Secretary Kim?“, “Marry My Husband” e tanti altri), una giovane reporter idealista e romantica, fissata con Oriana Fallaci, desiderosa di una carriera giornalistica come quella di Kim Moon-ho e con un debole per i dinosauri (perché, quando è ubriaca, parla quasi esclusivamente come una mancata paleontologa), che vive insieme al padre adottivo avvocato (interpretato da Park Sang-myung) in una caffetteria gestita da ex detenuti redenti. Ma Jung-hoo, che, per avvicinarsi a Young-shin assume l’identità di Park Bong-soo, impacciato aspirante reporter in forza nella stessa testata online, scopre pure che Young-shin si dice innamorata non corrisposta del famigerato “healer” che salta sui tetti, pur senza averlo mai visto in viso, da quando, un giorno, è stata salvata da lui.
Ma la vita è più complicata rispetto al previsto e le vite degli esseri umani spesso sono così intrecciate e interconnesse tra loro da risultare impossibile occuparsi di una sola di queste senza aver cura delle altre. Così, gli incubi di infanzia di Young-shin sono parte integrante dell’eterno senso di colpa di Moon-ho e della solitudine di Jung-hoo, tre anime che vagano alla ricerca di risposte con cui placare quei traumi e quelle angosce del passato per poter trovare un vero futuro alla propria esistenza. E, nonostante tutti e tre siano delle piccole isole alla deriva, scoprono di poter diventare un arcipelago insieme, unendo le forze non solo per indagare e capire cosa sia successo in quella notte del 1992, ma anche per comprendere e ritrovare se stessi, la propria identità, mascherata e costretta ad indossare artifici per non essere colpita dal mondo. Come afferma Jung-hoo, condannato sin dall’infanzia a vivere nell’ombra della mitica figura di un vigilante senza nome, la cosa più importante di quando si cerca la verità è cercare di trovare il proprio io, soppresso e celato in un’oscurità imposta dal mondo:
“Da quando sono nato, fino ad ora, per me vivere era una cosa inutile. Nulla era divertente. “Poiché sono nato, devo per forza vivere”. Ecco come mi sentivo. Ogni giorno sembrava una forzatura. Ma, ora, penso che le cose stiano diventando interessanti. Il mio cuore sta battendo forte. È la prima volta.”
Sono tanti gli ingredienti che hanno reso questa serie non solo un successo, ma una vera e propria pietra miliare nel panorama dei k-drama: la colonna sonora, le interpretazioni magistrali di tutti gli attori (non c’è una sbavatura nella recitazione da parte di nessuno ed è una coincidenza veramente difficile e rara per qualsiasi prodotto), l’incastro perfetto tra la trama crime e la lettura romance, le scene d’azione girate da Ji Chang-wook senza controfigure per rendere più reale il suo fattorino notturno, la storia originale e la sceneggiatura ben elaborata, piena di colpi di scena. Però, su tutto campeggia quella sottotrama che è veramente parte della storia della democrazia sudcoreana: cinque amici, uniti dalla ricerca di giustizia e verità e aspiranti al cambiamento democratico di una nazione costretta a vivere decenni di autoritarismo, che, ad un certo punto, decidono di unirsi con un obiettivo comune, ovvero cambiare il mondo con la loro parola, fondando una radio libera. Perché la parola è tutto ed è creazione di fatti e di eventi, di idee e di speranze. Ed è così che i cinque amici hanno vissuto insieme quegli anni tumultuosi che hanno portato alla transizione democratica, convinti di essere determinanti per il cambiamento. Il nome di Min-ju, come fantomatico radioascoltatore delle loro notizie e persona della cui ricerca viene lanciato continuamente l’annuncio, suona in coreano in modo simile alla parola “democrazia” (minjujuhui 민주주의, abbreviato in minju 민주).
“A voi che state ascoltando questa diretta! Intendo voi! Sì, proprio voi! Le trasmetterete queste parole quando la vedrete? Che la stiamo cercando disperatamente. Ehi tu! Dove e cosa stai facendo esattamente?! Sai quanto disperatamente ti stiamo cercando? Eh?! Min Ju. Min Ju (democrazia). Dove sei?“.
Purtroppo, anche le idee più nobili possono essere tradite da chi le propugna e la recente storia della transizione democratica sudcoreana non è priva di fatti dolorosi e di tradimenti di ideali, così come non è stata scevra da fatti di corruzione e di appropriazione di potere con nuovi gruppi di pressione emergente, la strabordante influenza dei chaebol e la delusione che il nuovo assetto socio-politico ha generato (a partire soprattutto dalla crisi economica del fondo monetario internazionale del 1997).
Eppure, per quanto possa fare male, la verità è sempre l’unica soluzione plausibile in un mondo dove il senso della giustizia è contaminato spesso dagli stessi che lo hanno difeso. Ma la verità non può fare nulla, se non è illuminata dall’umanità, da quella profonda comprensione umana per il prossimo, che rimane schietta, conservando la propria umanità.
“Dobbiamo credere in qualcuno. Su cinquanta persone di cui ti fidi, sicuramente una ti pugnalerà alle spalle. Ma non devi vivere dubitando delle altre quarantanove, solo per quest’unica persona”.
Laura
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5 pensieri riguardo “Healer (ovvero: della verità, della giustizia e di un uomo solitario che cerca se stesso)”