“Quando qualcuno è sicuro di fare una promessa che è difficile mantenere, è quasi certo che stia mentendo”.
Se siete qui, siete già passati da “Sweet Home 1” e “Sweet Home 2“, avete vissuto il lockdown nella casa verde e ne avete conosciuto uno ad uno i suoi abitanti; avete sorriso e avete sofferto con loro, avete percepito la pausa e quel senso di precarietà ogni volta che qualcuno di loro si ammalava e avete compreso che non è sempre così semplice distinguere i mostri; siete fuggiti dalla casa verde, quando non c’era più altra alternativa di sopravvivenza al suo interno e avete visto nevicare a settembre; avete iniziato un cammino senza meta e senza scopo e avete perso amici e compagni di lotta lungo il cammino, conoscendo il panico disperato negli occhi di ogni singolo umano incontrato in un eterno esodo; vi siete rifugiati in uno stadio abbandonato e siete stati costretti a vivere con altri umani che non vi andavano a genio; siete caduti e vi siete risollevati, avete conosciuto un mondo nuovo, di cui aver paura, eppure avete tentato di sopravvivervi al suo interno; siete diventati più forti e forse anche più duri con voi stessi, ma vi siete legati di più ai vostri vecchi affetti e ai vostri ricordi.
Se siete qui, è perché anche voi, come la sottoscritta, avete compiuto lo stesso viaggio nel silenzio e nella fortezza di Lee Eun-yu, l’aspirante ballerina interpretata da Go Min-si, i cui occhi sono diventati il filtro per capire cosa sia accaduto in questo mondo stravolto dalla presenza di mostri-umani e disseminato di terrore.
Questa recensione non conterrà spoiler. Non è mia intenzione narrarvi passo per passo quello che accade nella serie, né dirvi chi muore e chi sopravvive o come si incrociano gli eventi per ogni singolo personaggio, ma mi limiterò semplicemente a tracciare qualche breve pennellata, qualche emozione disseminata qua e là in questo viaggio circolare ed estraniante che è stato tutto “Sweet Home”.
La seconda stagione ha rappresentato proprio questa transizione per un nuovo mondo e, forse, se lo sguardo di Lee Eun-yu non ci avesse accompagnato, ci saremmo sentiti sperduti e incompresi in questo salto temporale e spaziale e in una prospettiva dove si sono persi completamente i contatti e non si sa più di chi ci si possa fidare. Ma dove eravamo rimasti?
Gli umani sopravvissuti nel rifugio dello stadio si trovano protetti dalle loro due anime, la fiera e controversa Capo Ji (Kim Shin-rok di “Hellbound“) e dal glaciale capitano del plotone Corvo Tak In-hwan (Yoo Oh-sung di “Welcome to Samdalri“), che convive con il segreto della sua graduale “mostrificazione”, ma che ha messo come primo obiettivo la salvezza dei suoi umani del rifugio. Per questo motivo, quando Nam Sang-won, sempre nel corpo di Pyeon Sang-wook (Lee Jin-wook di “Matrimonio a ostacoli“) fa irruzione con i suoi per mettere sotto scacchi i sopravvissuti e cercare nuove possibilità di vittoria, è il sempre il capitano Tak In-hwan che cerca di mantenere l’equilibrio, proponendo una convivenza difficile e provando ad assorbire la cieca violenza del gruppo di mutanti che vi ha fatto irruzione. Solo che Nam Sang-won ha piani più elevati, che consistono nell’espandere l’egemonia della sua nuova specie in tutto il mondo, destinata a soppiantare la debole umanità, e nel vendicarsi per le sofferenze subite durante la sperimentazione (che, comunque, scopriamo essere stata volontaria e decisa dallo stesso Sang-won), condotta da scienziati folli come il Dr. Lim (Oh Jung-se di “It’s Okay to not be Okay“). Ma il piano prevede anche che il proprio corpo raggiunga la perfezione, non garantita dal vecchio Pyeon Sang-wook, che mantiene un barlume di coscienza nella possessione e cerca in tutti i modi di prevalere sul suo occupante. La vera perfezione per Sang-won può essere data solo dal corpo della giovane figlia, Seo Yi-su (Kim Shi-ah di “The Silent Sea“), concepita proprio quando era già trasformato nella creatura mutante attuale e, quindi, potenziato in ogni cosa come anello di congiunzione tra mutanti e umani.
Seo Yi-su ha abbandonato la madre, Seo Yi-kyeong (Lee Si-young), dopo averla sottoposta ad un processo di mostrificazione per salvarla, ignara della differenza tra bene e male, per seguire quel richiamo che sente nell’aria dal sangue paterno. Nella piccola comunità sparuta e in esilio nell’ospedale, Cha Hyeon-soo (Song Kang di “Navillera“) riesce ad inabissarsi nella coscienza di Seo Yi-kyeong per risvegliarla dalla sua trasformazione in mostro e riportarla all’umanità, confermando, così, non solo che ogni mostro nasconde ancora una coscienza umana viva, anche se intrappolata, ma che un processo reversibile è sempre possibile, quando rimangono intatte la speranza e la volontà di riprendere in mano tutta la propria umanità. Solo che, mentre Seo Yi-kyeong si risveglia, Cha Hyeon-soo rimane intrappolato in quella dualità che lo caratterizza da quando umano e mostro albergano in contemporanea nel suo animo, dove il mostro riesce a prendere sopravvento sull’umano, nonostante gli sforzi di Lee Eun-yu, di Park Chan-young (Jung Jin-young di “My First First Love“) e di Ha-ni (Chae Won-bin) per riportarlo alla realtà. Fino a quando qualcosa o, meglio, l’arrivo di qualcuno non li sconvolge, recando le sembianze di Lee Eun-hyuk (Lee Do-hyun di “A Good Bad Mother” e tanti altri), il fratello maggiore di Lee Eun-yu, disperso dopo il crollo della casa verde, quasi certamente mostrificato e con ogni probabilità dato per deceduto da tutti. Portato da Kim Yeon-hu (Kim Mu-yeol di “La giudice“), unico del battaglione di soldati sopravvissuto miracolosamente dalla ferocia dei mutanti di Nam Sang-won, Lee Eun-hyuk irrompe nelle loro vite con quella freddezza glaciale e calcolatrice che già lo caratterizzava nella prima stagione, quel sorriso accennato e quel sarcasmo leggero e tagliente, che nasconde molto di più di un semplice saluto di benvenuto, e apporta il messaggio che una via alternativa tra umani, mostri e mutanti che vogliono distruggere l’umanità è possibile ed è rappresentata da lui, un nuovo umano, ovvero un umano che si è mostrificato solo come transizione verso un ulteriore passaggio, quello di una umanità in perfetta “atarassia”, priva di emozioni e di sofferenze, dove l’empatia ha fatto il posto alla calma ascetica e talvolta apatica. Sebbene, come ricorda la sorella, anche da umano Lee Eun-hyuk fosse privo di empatia e non in grado di esprimere i sentimenti, questa trasformazione inquieta un po’, perché nel tentativo di ottenere la pace e la libertà, priva anche di quelle memorie e di quei ricordi che costituiscono l’umanità.
Ma che cos’è l’umanità, questo tratto distintivo che ci mostra la compassione per il prossimo, le forti emozioni, l’odio, il desiderio ma anche la salvezza? La coscienza umana è qualcosa di così meravigliosamente complesso da salvarci ogni giorno e da rischiare di condannarci, composta di tanti piccoli tasselli così perfettamente ad incastro e minata da flussi costanti di emozioni, perché è fatta di gioia e di dolore ed entrambe le cose sono così connesse e dipendenti l’una dall’altra dal diventare intimamente connesse, ossatura della personalità e della coscienza di ognuno. Quello che più si temeva nella prima stagione, ovvero quelle emozioni umane e quel desiderio cieco sopito, che sembrava attaccato dal processo di mostrificazione, è forse anche quell’ultimo brandello di umanità a cui trovare appiglio per emergere e ri-emergere dal buio. Con quel brandello di umanità, Lee Eun-hyuk è riuscito a monitorare la sua trasformazione e a raggiungere il nuovo stadio di umano, aggrappandosi ai ricordi sommersi per vincere il turbamento delle emozioni (vedi la fotografia lisa e insanguinata che osservava alla fine della prima stagione e che continua a seguirlo ovunque), ed è sempre attraverso quel brandello di umanità che Cha Hyeon-soo si sveglia dal suo coma di coscienza e riprende il controllo sul suo mostro interiore, rendendolo solo uno strumento in grado di essere gestito in nome di quel profondo amore che prova per gli umani che intende proteggere, in primis per Lee Eun-yu (non a caso le battute di Lee Eun-hyuk nella scena del combattimento sull’autobus servono proprio a quello e ci confermano come tutto quel suo atteggiamento faccia parte di un piano già premeditato). Ma è sempre quel brandello di umanità, quel frammento ridotto al lumicino di coscienza umana, che riesce ancora ad aggrapparsi ad ricordi e alle emozioni, che sopravvive nel corpo di Pyeon Sang-wook, l’unico in grado di riuscire ad eliminare Nam Sang-won.
Ciò di cui abbiamo paura, a volte, ci salva. Quell’inondazione continua di emozioni a cui gli umani sono soggetti, talvolta, ci regala il vero tratto distintivo della nostra umanità, forse il vero “monstrum” che alberga in noi, l’unico in grado di eliminare il “monstrum” imposto dalla cattiveria e dalla brutalità, che sempre fanno parte di quel complicato e strano mondo della natura umana. E la vera chiave di lettura per sapere come e quale emozione far emergere è data dai ricordi, da quei piccoli momenti di vita che riusciamo a costruire giorno per giorno con le persone care che ci sono vicino e che imprimiamo in vecchie fotografie scolorite per tirarle fuori dal cassette nella nostalgia della memoria. Sono sempre i ricordi che salvano, perché ci portano alla mente, in qualsiasi momento, le nostre emozioni, sia quelle buone che quelle cattive, e le sanno indirizzare e incanalare nelle azioni dell’esistenza.
Con questa chiave di lettura, “Sweet Home” termina laddove ha iniziato, da quella casa verde dove tutti i personaggi si erano sentiti minacciati, ma anche protetti, usando per tutta la costruzione della trama una narrativa di ricordi e di frammenti, un po’ flashback disseminati delle vite passate di ogni personaggio (in quello stile alla “Lost“), un po’ voci che riemergono dalla prima perfetta stagione (ripercorrere quelle memorie è stata la cosa più bella di questa terza stagione). E, come il ricordo, anche questa serie, pur con le diversità di ogni stagione, ha seguito quella circolarità della memoria, che riesce a farci affrontare ogni ostacolo, puntando su noi stessi e sulle emozioni rimaste come quel “monstrum” che ci ha forgiati.
Grazie per questo viaggio dentro di noi.
Laura
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