Il primo marzo 1919, alle 2 del pomeriggio, 33 attivisti per l’indipendenza si incontrarono in un ristorante di Seoul, firmarono e lessero a voce alta la Dichiarazione d’Indipendenza coreana e inviarono il documento al governo centrale giapponese. Poi, si avviarono verso Tapgol Park (noto come Pagoda Park), dove diffusero nuovamente a voce il testo della Dichiarazione davanti ad una folla composta da coreani di ogni età, iniziando una manifestazione pacifica per le strade della città e sfidando le autorità giapponesi.
In contemporanea, anche altre cittadine coreane furono teatro di manifestazioni e proteste per tutto il mese di marzo. Si conta che in circa 1500 manifestazioni abbiamo partecipato più di 2 milioni di coreani.
La risposta dei dominatori fa terribile e implacabile: secondo i dati storici, 7509 manifestanti persero la vita, mentre 15849 furono feriti e 46303 vennero arrestati (molti dei quali furono giustiziati pubblicamente, senza processo e in modo scenico e brutale).
La giovane Yu Gwan-sun, considerata la martire dell’indipendenza coreana, arrestata, morì in prigione in seguito alle torture e ai maltrattamenti subiti.
I capi del movimento che riuscirono a fuggire formarono ad aprile 1919 il primo governo coreano in esilio in Manciuria, dove la Dichiarazione d’Indipendenza venne adottata formalmente come carta costituzionale (la prima della storia coreana, nonostante l’assenza di uno Stato).
L’eco del Movimento del Primo Marzo si diffuse in tutta l’Asia, influenzando il metodo della non-violenza di Ghandi in India.
La storia dell’indipendenza coreana contro il dominio giapponese è lunga e complessa. Vogliamo qui ripercorrerla con le recensioni di due grandi romanzi: uno, falsamente giallo e ambientato tra coloro che si sono attivati per la lotta e che hanno speso le proprie vite in prigionia nipponica; l’altro, un’epopea ricca di personaggi e di avvenimenti, che segue passo passo due bambini che crescono, diventano adulti e vivono sullo sfondo della tragedia della sottomissione di un popolo.

“La guardia, il poeta e l’investigatore”
di Lee Jung-myung
edito da Sellerio
“Le ragioni per cui non posso contare le stelle sono incise una ad una nel mio cuore: perché il mattino è vicino, perché domani calerà di nuovo la notte, perché sono ancora giovane”.
Prigione di Fukuoka, 1944. Mentre imperversa la guerra sul Pacifico, al giovane Watanabe Yuichi, di leva come guardia carceraria, viene chiesto di investigare sulla morte orribile della guardia Sugiyama Dozan, noto per la sua durezza e la sua ferocia verso i detenuti coreani. L’inchiesta, però, inizia a rivelare cose che nessuno poteva immaginare, il vero animo della guardia morta, quasi analfabeta, eppure con il desiderio di imparare e comprendere dai libri, i reali rapporti con i detenuti e quell’atto di sovversione celato nella creazione di una biblioteca segreta, l’aspirazione alla libertà racchiuso nel volo di un aquilone oltre le mura della prigione e nel canto del “Va’ pensiero” di Verdi.
Durante le indagini, Yuichi si incontra e si scontra in particolare con un detenuto, il n.645, registrato come Hiranuma Dozu, ma noto come Yun Dong-ju, uno dei più grandi poeti coreani del ‘900, autore di scritti sovversivi e di versi di libertà. Nonostante la Storia li abbia collocati su fronti diversi, Yuichi e Dong-ju hanno in comune lo stesso animo sensibile nel comprendere il potere della poesia e delle parole, dove è l’arte stessa a diventare libertà contro qualsiasi costrizione.
Un libro bellissimo, vincitore di numerosi premi sia in patria che all’estero (in Italia, del Premio Bancarella), che sembra iniziare come un’inchiesta gialla, ma che scava nelle profondità delle nostre coscienze, combattendo la brutalità con il chiarore di una libertà che è, anzitutto, spirituale e mentale. Il ritmo tra i dialoghi, gli eventi e l’inchiesta è spezzato da numerose poesie di Yun Dong-ju inserite all’interno del testo.

“Come tigri nella neve”
di Juhea Kim
Edito da Nord
“Tutti gli uomini del mondo rientrano in due categorie. Alla prima, di gran lunga la più numerosa, appartiene l’uomo che a un certo momento della sua vita si rende conto che non potrà avanzare oltre la sua condizione attuale, e dovrà allora trovare un modo per razionalizzare la sua sorte e accontentarsi. (…) Il secondo ed estremamente più raro tipo di uomo è colui che non smette mai di avanzare e crescere sino alla fine della sua vita”.
1917. Paesaggio immoto e innevato dell’estremo nord coreano. Un cacciatore vaga in cerca di qualche preda con cui poter sfamare la sua famiglia, ma si imbatte in un manipolo di soldati giapponesi, che si inerpicano per sentieri ghiacciati per scovare la leggendaria tigre, simbolo dell’antica fierezza di un paese in declino.
Jade è solo una bocca in più da mantenere per la sua povera famiglia, senza un futuro. Per questo motivo, viene venduta ad una gisaeng per essere avviata alla professione di cortigiana, pur sembrando priva di talenti. Jade cresce in bellezza e intelligenza, diventa una delle più acclamate gisaeng, ma, mentre gli anni scorrono, il suo talento canoro la fa entrare nel mondo del teatro e della lirica, delle romanze cantate in modo appassionato e dello spettacolo, ponendola sotto gli sgraditi riflettori degli occhi dell’invasore.
Jung-ho si chiama come la tigre che il padre ha cacciato e che ha segnato il destino della sua famiglia e approda in città senza soldi, né cibo, ma con la voglia di emergere e di diventare qualcuno. Con gli anni, resiste ad un sottobosco di attività criminali che lo ingoia e lo coinvolge, ma incontra uomini virtuosi che gli parlano dell’indipendenza coreana dal giogo giapponese e la sua vita inizia a prendere un’altra direzione.
Le loro infanzie strappate si incontrano in un istante di vita.
L’autrice ripercorre con una delicatezza unica 50 anni di storia coreana, costruendo un romanzo che ha il sapore dell’epopea e del riscatto di un popolo. Un libro bellissimo da leggere d’un fiato.
Laura

Una opinione su "Stranger Book Club – Storie dall’Indipendenza Coreana"