“Non esiste nessuna battaglia che abbia senso”.
Appassionati di videogiochi e PS2, è arrivato il vostro momento! Sicuramente non mancherà nelle vostre nozioni questa saga videoludica creata da Capcom nel 2001 e che ha venduto milioni di copie fino al 2017. Basata sulla storia di un Giappone feudale con la figura centrale di un samurai senza paura e senza remore che lotta contro qualsiasi creatura infernale, la saga fu inizialmente elaborata sullo stesso filone di Resident Evil, che spopolava tra gli anni ’90 e gli anni 2000, fino a raggiungere un’autonomia tutta sua con la trilogia Onimusha – Warlords, Onimusha 2 – Samurai’s Destiny e Onimusha 3 – Demon Siege, il seguito Onimusha – Dawn of Dreams e la raccolta Onimusha Essentials. In tutto ciò, però, sembrava che il prodotto dovesse rimanere confinato solo alla console dei giochi, fino a quando Netflix non ha annunciato una trasposizione in una serie anime, prodotta da Takashi Miike (che, per intenderci, è il regista di 13 Assassini e L’ultimo Yakuza) e con la colonna sonora dei Maneskin (la famosa “The Loneliest”).
La trama dell’anime Onimusha (鬼武者) inizia nel periodo Edo, dominato dalle lotte tra samurai, dal predominio dello shogunato e dalla frammentazione del Giappone feudale. Praticamente, il classico scenario conosciuto dai film di Akira Kurosawa e dalle leggende. Solo che, in questo caso, ci sono gli zombie. E non sono gli unici mostri, visto che il mondo magico e demoniaco sembrano trovare un ambiente proprio. Protagonista il leggendario samurai Musashi Miyamoto, personaggio storico realmente esistito che visse nel XVI-XVII secolo e che ha inspirato sia la letteratura giapponese classica, che quella pop moderna. Musashi può contare non solo sulla sua superiorità come spadaccino e sulle sue abilità, ma anche sull’utilizzo di un guanto magico, denominato Oni, che gli conferisce poteri sovrumani, perché forgiato con formule mistiche. Per questo motivo, i samurai che si oppongono a lui lo definiscono un demone e, in effetti, lo stesso Musashi non sa nemmeno più cosa è veramente, se può considerarsi ancora un samurai o uno spadaccino assetato di sangue che lavora su commissione, né sa se può essere definito umano o mostro.
Le sue discussioni esistenziali si intrecciano con l’avventura di una ragazzina, che, come in Léon, assume Musashi per fare luce sul mistero della morte dei suoi genitori e con le avventure di una serie di persone che domandano al samurai con l’Oni magico di prestare loro soccorso da un’orda malefica di creature non ben definite, che, in apparenza, all’inizio, sembrano zombie, salvo, poi, diventare dei veri e propri demoni (con quattro braccia, ma con un cervello diabolicamente umano e astuto per sterminare la popolazione), capeggiati dal super cattivo Iemon.
E qui devo ammettere che, ad un certo punto, al di là dei minuti di azione senza sosta e di rumori molesti ovunque, accompagnati da uccisioni e spargimenti di sangue, non ho più capito nulla. Nel senso che l’anime va a due velocità, lento e velocissimo, proprio come nei videogame. Solo che, a differenza di Resident Evil, le due velocità si alternano in modo sbagliato e la tecnica da videogioco, inserita all’interno dell’animazione non giova affatto, rendendo troppo lenti alcuni combattimenti e non permettendo di cogliere i momenti salienti della storia, né di far emergere per bene i protagonisti.
Soprattutto, non affezionatevi mai a nessuno dei personaggi! So che è una frase classica dei film di zombie e degli horror in generale, ma, talvolta, la sopravvivenza dura meno di due secondi in quest’anime e, paradossalmente, vanno più avanti i personaggi che hanno meno battute e parti dialogate, che gli altri.
Però, nonostante il pastiche (che magari si riprenderà con una prossima stagione), bisogna segnalare la qualità e il pregio degli sfondi, che s’ispirano al disegnatore e fumettista coreano Kim Jun-gi, su cui vorrei aprire un capitolo a parte (anche perché è forse uno dei motivi che mi ha spinto a questo recupero). Kim Jung-gi, recentemente scomparso proprio mentre era in tournée con alcune mostre in Europa, ha reinventato lo stile del “fumetto”, riprendendo il tradizionale manga/manhwa/manhua e trasformandolo in arte vera e propria. Con le sue chine e i suoi inchiostri, alternati alle pennellate a tratti decise e a tratti a tinte leggere, il rifiuto di schizzi preparatori e il suo potere dell’immaginazione, Kim Jung-gi si è distinto per aver inserito nuove forme di prospettiva, come la prospettiva curvilinea per i suoi fondali, tecnica che ha decisamente ispirato i disegnatori degli sfondi di quest’anime, un’opera d’arte a sé, e che giustamente hanno dedicato il loro lavoro all’opera del maestro Kim Jung-gi.
E, allora, godetevi un po’ di questi fondali di un antico Estremo Oriente, dove albe e tramonti si alternano nel rosso fuoco e nel bianco neve, e perdete la mente in un viaggio lontano come tra i paraventi.
Laura
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