“L’utopia concreta sta all’orizzonte di ogni realtà; la possibilità reale circonda fino alla fine le tendenze-latenze dialettiche aperte, l’utopia non è fuga nell’irreale, è scavo per la messa in luce delle possibilità oggettive insite nel reale e lotta per la loro realizzazione”. – (Ernst Bloch, “Il principio speranza”)
Forse non tutti hanno notato che il film, annunciato già quest’estate come il nuovo kolossal sudcoreano con vibes catastrofiste e distopiche alla Snowpiercer e critica sociale alla Parasite, inizia con una citazione, o, meglio, colloca la citazione direttamente nel titolo. “Concrete Utopia” è una frase a sé, mai ripetuta, né accennata minimamente all’interno del film, distante persino dal titolo del webtoon a cui s’ispira, Pleasant Outcast di Kim Soongnyung, priva di qualsiasi riferimento utopistico da parte dei personaggi. “Concrete Utopia“, però, è il significante necessario per leggere questo film complesso e oscuro, che solo a tratti può sembrare una narrazione su un terribile futuro per l’umanità. Ed è un significante che decodifica il messaggio nascosto tra le scene di questa pellicola e che deriva direttamente dalle teorizzazioni di Ernst Bloch, scrittore, filosofo, eretico marxista, teoretico del principio della speranza e dello spirito dell’utopia, vista come reale possibilità per travalicare i limiti che l’orizzonte attuale pone all’essere umano.
Solo che, quando si utilizzano i termini dell’utopia, bisogna essere sempre cauti e quasi circospetti, perché, se l’essere umano si nutre di desideri e di speranze per costruire una società equa e giusta, non sempre le utopie si rivelano positive, in quanto si fondano su idee, che portano all’estremo le finalità per le quali erano sorte. E il panorama che presenta Uhm Tae-hwa, giovane regista già acclamato per Vanishing Time: A Boy Who Returned, non è caratterizzato dai tratti che tutti conosciamo per le distopie fantascientifiche in stile Philip K. Dyck o George Orwell, ma proprio da un’utopia reale, che si concretizza e trascende nei suoi stessi principi di speranza, travalicando tutti i limiti, anche quelli che servono al vivere civile umano.
La storia inizia già con uno scenario spettrale e devastante: Myeong-hwa (bravissima Park Bo-young di Strong Woman Do Bong-soon, Daily Dose of Sunshine e Doom at Your Service, che per questo film ha vinto tantissimi premi) e Min-seong (il sempre eterno Park Seo-joon di Dream, What’s Wrong With Secretary Kim, Itaewon Class e tanti altri) sono una giovane coppia di sposi, rimasti miracolosamente illesi nel proprio appartamento (il n. 602), dopo che un terremoto di enormi proporzioni ha apparentemente distrutto tutto. Il fatto è che sembra che il loro condominio sia l’unico palazzo che non è crollato dopo lo smottamento, a giudicare dalle carcasse degli altri palazzi, che giacciono come ruderi dopo un conflitto bellico, e dai gruppi di sfollati esterni che cercano di trovare riparo nel loro palazzo. Per questo motivo, la presidentessa del comitato femminile a capo del residence di appartamenti Imperial Palace Apartments, Geum-ae dell’appartamento n. 1207 (interpretata da Kim Sun-young, caratterista d’eccezione apparsa, tra gli altri, in The Silent Sea, When The Camellia Blooms e Crash Landing on You) decide di riorganizzare il sistema all’interno del condominio, anche per porre delle regole di sopravvivenza, di spartizione dei compiti e di divisione dei viveri e per affrontare l’emergenza degli sfollati esterni. Su suggerimento di Min-seong, che lavora nella pubblica amministrazione, si crea un’assemblea a cui partecipano tutti i proprietari degli appartamenti del condominio e si vota per eleggere un rappresentante che possa essere investito dell’incarico di fronteggiare la crisi. La scelta cade su Yeong-tak (uno straordinario Lee Byung-hun di Mr. Sunshine, Squid Game e Our Blues), apparentemente un uomo schivo e riservato, quasi invisibile nella sua umiltà, abitante insieme all’anziana madre con la demenza nell’appartamento n. 902, che si è particolarmente distinto per aver salvato un uomo dall’incendio successivamente al disastro. Yeong-tak accetta l’incarico e chiede da subito di votare sulla questione degli estranei, chiarendo il fatto che, in caso di loro accoglimento, non si sarebbe potuto porre un limite al numero e che, soprattutto, tutti i viveri e gli approvvigionamenti sarebbero stati divisi con loro. L’assemblea vota per la quasi totalità perché gli estranei vengano scacciati, visti come portatori della macchia di non essere riusciti a diventare proprietari di una casa in quel complesso di lusso, nonostante l’opposizione di Myeong-hwa, che, come infermiera, aveva accolto e curato a casa diversi di loro, e di Do-gyun (interpretato da Kim Do-yoon dal doppio ruolo di Hellbound, che spero vivamente venga scelto presto in altri ruoli importanti, vista la sua bravura).
Gli estranei, però, vengono cacciati e, nei tafferugli che seguono alla loro messa al bando, Yeong-tak, colpito fortemente alla testa e sanguinante, si mette ancora più in luce per il coraggio con cui affronta i ribelli solo dialetticamente e senza armi e per il carisma che emana intorno a sé. Vittima di questo suo fascino mefistofelico da leader è Min-seong, che, nella ri-organizzazione generale, viene ammesso nella squadra d’azione, proprio a fianco di Yeong-tak, preparato non solo per allontanare gli estranei che vogliono entrare, ma anche per esplorare i dintorni in cerca di cibo e approvvigionamenti di ogni tipo. La squadra marcia, dietro un vessillo creato da Yeong-tak e cantando un proprio inno, portando i nuovi valori e i nuovi principi del condominio: la ri-organizzazione, la speranza nel futuro, la stabilità, la sovranità su un proprio territorio (guadagnato solo per mera fortuna).
Visto che tutti i componenti della squadra, che sono giovani e abili al servizio militare e rischiano ogni giorno la vita, vengono adeguatamente ricompensati con degli extra di cibo e di altre risorse, Myeong-hwa, che già da subito non ha digerito il sovranismo di Yeong-tak, inizia a sentirsi in colpa per usufruire di guadagni che non solo non crede di meritare, ma che derivano da azioni squadriste e violente che non condivide, e fatica a riconoscere nel marito il ragazzo che aveva sempre amato. Un giorno, però, mentre è al suo turno di guardia medica, nota dei movimenti sospetti di Do-gyun e, seguendolo, scopre che il giovane, ritenuto debole e inetto da tutti, nasconde a casa diversi sfollati esterni, soprattutto bambini con madri, convinto dei propri principi al di là delle regole imposte del nuovo sistema governativo. Non è possibile affamare la gente e negare loro le condizioni più piccole di vita e, soprattutto, non è possibile vivere una ricostruzione della società senza umanità: è un atteggiamento che ci rende simili ai cannibali, perfetti nella felicità istantanea raggiunta e condivisa da tutti, ma empi nella morale che dovrebbe sovrastare come il cielo. Myeong-hwa decide di aiutare Do-gyun, recando proprio quelle provviste in più che aveva ottenuto per la lealtà del marito al nuovo regime, ma, col tempo, viene scoperta nella sua ribellione: gli sfollati accolti nella casa di Do-gyun vengono cacciati, la casa viene requisita come punizione esemplare e Do-gyun si suicida (dopo un bellissimo discorso in cui confuta tutte le idee folli di questa piccola utopia, il cui vero collante è la propria crudele sopravvivenza a scapito di quella altrui).
La morte di Do-gyun resta negli occhi come un grido di verità e di libertà, l’unico in grado di portare in sé i veri principi e di riuscire a distinguerli dalla massa della ricerca del benessere, e tutti gli abitanti del condominio incominciano a rimanerne sconvolti, analizzando sotto una luce diversa le azioni di Yeong-tak e quelle norme imposte e falsamente condivise. Ne rimane sconvolta Myeong-hwa, che evita la punizione solo per il ruolo ricoperto dal marito, ne rimane sconvolto Min-seong, che inizia a chiedersi cosa sta facendo e, nel terrore di perdere la moglie, vede finalmente Yeong-tak nella sua luce ferina, non più con il suo carisma sconvolgente, ma con la sua insensata follia e con il suo sproporzionato senso di eguaglianza, visto come un titolo connesso a quello cartolare della proprietà.
L’arrivo della giovane Hye-won (Park Ji-hu di All of Us Are Dead), un’adolescente che abitava nel condominio, ma che, durante il terremoto, si trovava al suo esterno e ha dovuto faticare da sola in mezzo alle macerie per ritrovare la sua vecchia casa, ridefinisce e sovverte le regole. Hye-won viene accolta proprio perché ultima di una famiglia proprietaria di un appartamento all’interno del condominio, il n. 903, ovvero quello accanto a Yeong-tak. Solo che Hye-won è a conoscenza di un terribile segreto relativo a Yeong-tak che può minare non solo il suo ruolo come rappresentante del condominio, ma anche le stesse regole su cui si fonda questo piccolo agglomerato umano, ovvero il principio dell’abitazione, della presenza, del possesso di una casa, pronto a deflagrare in un unico grande atto tragico finale, come gli attacchi esterni che rompono gli argini di un fiume in piena e il delirio in solitaria di Yeong-tak, lasciato solo a credere di aver creato un mondo e un sistema più giusto, un’utopia reale che ha salvato e dato speranza a tutti e che ha ristabilito in canoni di un’ingiustizia, di cui lui stesso, prima del terremoto, era rimasto vittima, perdendo ogni cosa.
Concrete Utopia è un film immane ed esemplare, non una visione semplice, ma che ti svuota completamente, portando a riflettere sulla ferocia e sulla spregiudicata esistenza del mondo umano e sull’iniquità di una società che si svolge a partire dall’apparenza, dal possesso di un’abitazione, dallo status con cui ci si presenta come un biglietto da visita. Si tratta di una società che, come quella tratteggiata in Parasite, ma anche in Happiness (che, non a caso, è ambientato ancora una volta in un condominio, simbolo dell’agglomerato umano urbanizzato per eccellenza e, con i suoi piani, della divisione in classi sociali), trascende e valuta la persona sulla regola del benessere economico e sociale, una società capitalista che tende ad annichilire le caratteristiche umane e la compassione per il prossimo. Ma in questa ricostruzione utopistica vige anche un’eguaglianza tra simili appiattita e priva di libertà, un collettivismo massificato dove le risorse sono distribuite sulla base della propria competenza, del proprio ruolo e del proprio lavoro offerto in favore della comunità. In questo senso, Concrete Utopia si trova ad essere un’opera di critica politica che analizza e denuncia negativamente sia il freddo capitalismo occidentale, che il massificante collettivismo socialista, entrambi giudicati responsabili di aver eliminato l’elemento umano dal sistema politico-giuridico. Entrambi i sistemi di vivere sociale, inoltre, si fondano su estremizzazioni di concetti come il sovranismo e la demagogia populista, dove la salvaguardia di se stessi annulla qualsiasi accoglienza e qualsiasi umanità, portando alla ferocia dell’homo homini lupus e facendo regredire nel progresso.
A questo punto, resta ferma solo la speranza, ma non la falsa speranza di un’utopia irrealizzabile perché viziata dai comportamenti umani e da norme di regime, quanto una speranza interiore, quella della fuga della giovane coppia di sposi dall’inferno del condominio per riprendere in mano se stessi e comprendere il mondo nei suoi più piccoli dettagli, nelle difficoltà, ma anche nella bellezza di condividere insieme le proprie paure e i propri sogni. Sperare o, meglio, tornare a sperare, dopo il baratro dell’animo umano perché è l’unica azione che non permette di fallire. O per tornare alle parole di Bloch:
“Anche se la speranza non fa altro che sormontare l’orizzonte, mentre solo la conoscenza del reale tramite la prassi lo sposta in avanti saldamente, è pur sempre essa e soltanto essa che fa conquistare l’incoraggiante e consolante comprensione del mondo, a cui essa conduce, come la più salda ed insieme la più tendenzialmente concreta. […] L’importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. […] Contro l’aspettare è d’aiuto lo sperare. Ma non ci si deve solo nutrire di speranza, bisogna anche trovare in essa qualcosa da cucinare”.
Laura
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