“There is no limit to what we, as women, can accomplish”. (Michelle Obama)
Sì, lo so, straordinariamente non ho iniziato con una frase tratta dal drama che devo recensire qui. Anche perché, per una volta, volevo parlare di ben due drama, considerati non tanto come l’uno il seguito dell’altro, ma quanto l’uno l’ispirazione dell’altro. Nel non lontano 2017, quando ancora l’Europa non era pervasa dall’onda coreana, che iniziava timidamente ad affacciarsi nel Nord America (al contrario dell’America latina e del resto dell’Asia dove il 2016, detto “l’anno dei k-drama perfetti” aveva dettato le regole per una nuova serialità), venne prodotto il drama Strong Woman Do Bong-soon (힘쎈여자 도봉순, anche conosciuto come Strong Girl Do Bong-soon), un mix inaspettato di umorismo, commedia romantica, thriller e azione da supereroi: quasi un azzardo in salsa kimchi, visto che in quegli anni ricevevano grande eco i film della Marvel, considerati in tutto e per tutto i nuovi kolossal del cinema. Un azzardo che si rivelò vincente, tanto che ad oggi Strong Woman è uno dei drama più seguiti di sempre (in Corea del Sud e non solo) e ha uno dei più alti rating mai associati per un prodotto televisivo, contribuendo a diffondere i prodotti coreani in tutto il mondo, ma anche a scardinare la visione della fanciulla in difficoltà che deve essere salvata da un principe di tanti altri k-drama.
Il successo ha portato la produzione a voler ricreare le stesse atmosfere e la stessa magia in chiave comico-thriller-romantico-supereroistica con uno spin off, che potrebbe anche definirsi sidequel, Strong Girl Nam-soon (힘쎈여자 강남순), dove i personaggi originari non compaiono, se non di sfuggita in un piccolo cameo che impreziosisce la serie, ma con una storia incentrata nuovamente su una piccola e casuale eroina dotata di super forza.
Ma quanti gradi di separazione esistono tra le due serie? Andiamo a trattare separatamente le loro trame.
STRONG WOMAN DO BONG-SOON (ovvero da grandi poteri derivano grandi responsabilità)
Era così la frase che lascia lo zio di Peter Parker al nipote e che gli dà la forza e il coraggio di diventare Spiderman o sbaglio?
Nella famiglia di Do Bong-soon (meravigliosa Park Bo-young di Daily Dose of Sunshine, Concrete Utopia e Doom at Your Service), tutte le donne nascono con un potere leggendario: una super-forza che viaggia solo nel DNA femminile, ma che può essere persa se usata a fin di male. Ma la super-forza per Bong-soon è anche un peso e una caratteristica da nascondere, visto che il suo sogno più grande sarebbe quello di vivere una vita normale, trovando un lavoro normale, senza rompere tavoli e pavimenti per un’azione non controllata, e magari sposando l’uomo dei suoi sogni, il poliziotto In Gook-do (Ji Soo, già 14esimo principe di Moon Lovers), suo vecchio amico di infanzia e sua eterna cotta non corrisposta. Un giorno, però, la super-forza di Bong-soon torna utile per salvare i bambini dell’asilo di un bus bloccato da alcuni gangster (su tutti Kim Kwang-bok, interpretato dal caratterista d’eccezione Kim Won-hae). Solo che al suo intervento assiste anche An Min-hyuk (adorabile in questo ruolo Park Hyung-sik di Hwarang, Relumino, Happiness, Soundtrack #1 e Our Blooming Youth), giovane CEO di una compagnia di videogiochi, nella quale Bong-soon sognerebbe di lavorare. Min-hyuk salva il suo desiderio di anonimato, ma, poi, insiste per assumerla come sua guardia del corpo personale, anche perché si trova al centro di una serie di minacce che impediscono la sua attività economica. Bong-soon accetta dietro la promessa di entrare nel Dipartimento di strategia per sviluppare il suo videogioco, una volta preso il ricattatore, e, ovviamente, con la pretesa di non diffondere voci sulla sua super-forza, soprattutto con Gook-do. Da qui partono una serie di scenette esilaranti tra un CEO folle e su di giri, che finge pure di essere gay per avvicinare a sé Bong-soon, e una ragazza che non sa controllare la propria forza, con cui può stendere tutti al tappeto, ma che ha un cuoricino soffice, in attesa di ricevere amore.
E Min-hyuk non solo ha tanto amore da dare, celato dietro una maschera di falsa leggerezza per simulare il suo senso di solitudine, ma ama Bong-soon al di là di qualsiasi sua caratteristica particolare: lei è adorabile sia con la super-forza che senza, perché, quando l’uno/a guarda negli occhi dell’altro/a, rivede se stesso/a. Min-hyuk supporta sempre e costantemente Bong-soon, aiutandola nel suo percorso di riscoperta di sé, capendo come gestire e controllare la sua forza (quando ridurla e quando usarla e con quale intensità) e, soprattutto, non limitandola mai, in alcun modo e in nessun momento, in una parità perfetta e in una stima reciproca che, mano a mano, cresce per avvolgerli completamente in un unicum. Perché “diventare innamorati partendo dall’essere amici è semplice: basta che uno faccia un passo in avanti verso l’altro” (semicit.).
Anche Bong-soon fa un passo avanti e, andando avanti, inizia a liberarsi da tutte le insicurezze che la tenevano legata e che non le permettevano di crescere: la sua forza non è una maledizione di famiglia, né una condanna, ma un premio per proteggere e salvaguardare i più deboli, un quid in più che le può permettere di agire, ma anche un’estensione del superpotere con cui sono nate le donne e che il mondo violento vorrebbe tacciare e soggiogare.
Perché dobbiamo vivere nell’insicurezza? Perché una donna non può permettersi di uscire da sola di notte? Si chiede Bong-soon (e con lei ce lo chiediamo sempre anche noi, ogni qual volta sentiamo una notizia di ordinaria violenza contro le donne e contiamo, giorno dopo giorno, tutti quei delitti che vengono commessi contro vittime proprio perché donne). Il Male è qui rappresentato da un uomo che usa la propria forza per fare del male alle donne, un novello Barbablù che ha l’obiettivo di rapire e mettere alla fame sette ragazze, come le sette mogli del cattivo da fiaba, semplicemente perché gode nel sentirsi potente su di loro e nel sentirle implorare per la propria vita. Un uomo tossico e terribile, un villain da film dell’orrore, che rappresenta anche la paura ancestrale insita in tutte le donne: quella del maniaco, del sequestratore, del violentatore, della violenza maschile irrefrenabile e sadica che non permette la libertà e l’emancipazione femminile.
Il cast è completato da: Shim Hye-jin (Green Fish, Acacia, Goodbye Franceska) e Yoo Jae-myung (Vincenzo, Itaewon Class, Song of the Bandits) nei ruoli dei genitori di Bong-soon; Ahn Woo-yeon (King the Land, Mad for Each Other) nel ruolo del fratello di Bong-soon; Jeon Seok-ho (Kingdom) nel ruolo del segretario Gong; Im Won-hee (Move to Heaven, Chief of Staff) nel ruolo del gangster Baek Soo-tak); e, poi, naturalmente, Kim Won-hae, che ha un doppio ruolo, di cui non rivelo nulla.
PUNTI DI FORZA: tanti, tantissimi, ma soprattutto gli spunti di riflessione che oggi, come sempre, dovrebbero portarci a pensare sull’aumento spropositato di atti di violenza nei confronti delle donne e sulla ferocia di una società che ha solo apparentemente accettato la parità, ma che tende a relegare la dimensione femminile in una nicchia accessoria. Uno dei grandi meriti di questa serie è narrare di crimini aberranti e di formazione femminile in modo delicato, leggero e mai banale, facendoci sorridere e senza mai perdere il perfetto discernimento tra bene e male.
PUNTI DEBOLI: per chi non è abituato ai k-drama di quel periodo, potrebbe rimanere un po’ allibito da alcuni cliché usati o da alcune battute, che forse da noi sarebbero un po’ rudi o quasi anni ’80-’90 (così le macchiette stereotipate sugli omosessuali). Nonostante tutto, sono punti trascurabili, vista la perfezione di tutto il prodotto.
PLUS: Ragazze, trovate un ragazzo come Park Hyung-sik e badate bene a tutti coloro che vi urlano in faccia, vi sgridano per qualsiasi cosa, vi criticano per come vi vestite e vi mostrano diverse volte tante asprezze, perché l’amore è stima, non cieca gelosia. Meritate (meritiamo) questo e altro, la dolcezza – anche se troppa – e la sincerità, la libertà di piangere e di sorridere a proprio piacere, il sostegno reciproco in qualsiasi emozione e in qualsiasi particolarità, anzi a prescindere da queste, qualcuno che vi entri nel cuore e che vi custodisca sempre nel proprio.
Come suona la recensione?
STRONG GIRL NAM-SOON (ovvero è iniziato il matriarcato)
Era così la frase che Nairobi, nella serie La casa di carta, annuncia al Professore, dopo aver legato Berlino o sbaglio?
Nella famiglia di Gang Nam-soon (la piccola Lee Yoo-mi, che era riuscita a farci piangere tutte le lacrime di questo mondo in Squid Game e All of us are dead), tutte le donne nascono con un potere leggendario: una super-forza che viaggia solo nel DNA femminile, ma che può essere persa se usata a fin di male. Solo che un padre sbadato (Lee Seung-joon di Behind Your Touch), forse anche un po’ troppo soggiogato da una moglie-drago, la perde in mezzo alla steppa mongola, mentre fotografa le stelle. La bambina cresce così, selvaggia e felice, con i suoi genitori adottivi in Mongolia, fino a quando non si ricorda di essere coreana. Decide, allora, di imparare la lingua, mettere di lato i soldi che guadagna con la pastorizia e recarsi in Corea per conoscere i suoi genitori naturali e sposare un ragazzo coreano, bello, simpatico e da proteggere. Già appena arriva, si fa notare subito, visto che usa la sua super-forza (e anche gli altri super poteri, perché stavolta la fanciulla è anche dotata di levitazione e super-velocità) per bloccare l’aereo su cui viaggia e desta l’attenzione del poliziotto Gang Hee-sik (Ong Seong-wu di Would You Like a Cup of Coffee? e More Than Friends) e del narcotrafficante Ryu Si-oh (Byeon Woo-seok di Soulmate e 20th Century Girl). Quante probabilità ci sono di arrivare come turista dalla Mongolia, parlare scorrettamente il coreano usando solo il linguaggio informale, farsi perquisire per droga, farsi truffare su Air BnB, costruire una tenda tipica mongola sul fiume Han, diventare capo dei clochard di Seoul e, al tempo stesso, affascinare un criminale, senza minimamente preoccuparsi di nascondere la propria super-forza, ma trovando, in ogni caso, la propria famiglia d’origine, composta da tante supereroine? Più o meno, le stesse probabilità di un fumetto supereroistico alla Marvel, che sembra essere la vera ispirazione di questo spin-off. Così come la famiglia di Nam-soon sembra lo Shield.
Per casi non ben spiegati, infatti, nel ricco quartiere di Gangnam, le donne della famiglia di Nam-soon vivono da decenni come delle vere e proprie vigilanti, a vegliare dai tetti la città, punire i criminali per le loro malefatte e usare la propria super-forza per ripristinare la giustizia. Ma, in più, sono ricche e in possesso di un caveau segreto con tutti i gadget del caso, come Batman, e hanno una perfetta e fulva chioma fluente, come la Vedova Nera. La madre di Nam-soon (Kim Jung-eun di Peninsula e Lovers in Paris) ha fatto fortuna con un ristorante di ossa di manzo e adesso gestisce un banco dei pegni più grande di una banca, senza dimenticare la sua vena supereroistica. Per cui, una volta riparato senza grandi stravolgimenti il dolore per la scomparsa della figlia e accolta in casa Nam-soon, la educa subito a diventare come lei, usando le sue capacità a fin di bene.
Solo che Nam-soon ha anche il compito di preservare la sua unicità, che, in questo caso, vuol dire trovare l’uomo ideale, sposarlo e concepire figlie femmine, le uniche in grado di ereditare il potere e di continuare il matriarcato (visto che gli uomini della famiglia sono inutili, deboli e pure piuttosto ipocondriaci). Ma Nam-soon si mette al servizio del prossimo nell’indagine di polizia condotta da Hee-sik e si finge Khang Tsetseng, magazziniera presso l’azienda di Si-oh.
Qui dovrei aprire un capitolo a parte su questo super cattivo, che è il vero frutto degli sbagli e delle oscurità della società. Si-oh è nato senza famiglia e senza amore, cresciuto nell’odio e nella paura, affidato a famiglie che erano in realtà gruppi criminali e, come tale, espatriato in Russia con il nome di Anton, affiliato ad una cosca che ha soppresso la sua infanzia e la sua purezza (in una presentazione che sembra Educazione siberiana). Si-oh è un criminale che fa di se stesso un’aberrazione naturale: non limitandosi ad esportare e vendere la droga e il medicinale antidoto che l’organizzazione criminale gli impone, sperimenta su di sé l’effetto delle droghe per trasformare gradualmente il suo corpo, acquisire la super-forza e diventare un mostro, come la società lo ha sempre condannato sin da bambino. Si tratta di un personaggio gigantesco e drammatico, che, ad un certo punto, oscura quel sorriso forzato e perbenista dei supereroi di Gangnam.
Il cast è completato da: Joo Woo-jae (Beat Coin, Love Catchers in Bali) nel ruolo di un imprenditore rovinato dai bit-coin e finito sul lastrico; Kim Hae-suk (Tomorrow, Start Up) nel ruolo della nonna di Nam-soon; Kim Ki-doo nel ruolo dello zio pigro e malaticcio e Harrison Xu nel ruolo del fratello obeso che si mette a dieta; Jeong Bo-seok nei panni del fidanzato/amante della nonna (in una delle storyline più imbarazzanti e inutili di sempre); Choi Hee-jin (Snowdrop) come falsa sorella.
PUNTI DI FORZA: la simpatia, il coraggio, la brillantezza di Lee Yoo-mi e la volontà di Ong Seung-wu, la bravura sopra tutti di Byeon Woo-seok, gli effetti speciali ben curati, l’ingenuità in stile Pippi Calzelughe della protagonista che fa sorridere e avvicina gli spettatori a lei, il cameo dei due protagonisti della prima serie (perché sì, Park Hyung-sik, attendevo proprio te mentre aprivi con disinvoltura le sliding doors e i tornelli a tempo di musica), la riflessione sulla droga, sul bullismo e sulla cattiveria sociale. Ma…
PUNTI DEBOLI: dovrei aprire un capitolo a sé, perché questa seconda serie è un grande ed enorme fumettone (per prendere in prestito le parole di un’amica), che mi ha lasciato a tratti basita e sconfortata e, per lunghi momenti, pure imbarazzata dalla presenza di personaggi troppo esagerati, quasi plastificati, che rovinano la bellezza delle caratteristiche dei k-drama e lo avvicinano al mondo seriale USA (solo che questo non è un complimento) e, per farlo, degradano quell’elemento umano fondamentale nelle serie coreane. Il problema è che è mancato anche il messaggio di base della prima serie, quella forza tacita e costante delle donne, quei super-poteri che non abbiamo bisogno di dichiarare per scoprire noi stesse e la risposta alla violenza che ci insegue. In poche parole, è stata un’occasione mancata, a tratti ancora poco comprensibile, con storyline che hanno banalizzato la profondità del messaggio proveniente dalle infanzie violate di Si-oh e di altri ex bambini, destinati a trasformarsi in mostri.
Come suona la recensione?
Captain-in-Freckles

Non ho visto la serie originale ma ho visto la seconda, che inizialmente mi stava piacendo ma che poi ha enormemente deluso le mie aspettative. Concordo con la tua critica e aggiungo che, alla fine, sono riusciti a farmi dispiacere per la fine del cattivo e a trovare odiosa lei per la sua falsità. Per come la vedo io, hanno rovinato il personaggio che doveva restare spontaneo e sincero e soprattutto umano fino alla fine. Non lo rivedrei.
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Se, per caso, vedrai mai la serie originale, la tua delusione per la seconda versione sarà ancora più grande. Veramente basita per la come hanno preso piega gli eventi e come si siano sviluppati i personaggi. Alla fine, il personaggio più umano, pur nella sua sofferenza, è proprio il cattivo. Mi spiace dirlo, ma i buoni hanno fallito.
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concordo! rincuorata dalla tua recensione, vedrò sicuramente l’originale, grazie
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