“I am a slave to liberty”. / “Sono uno schiavo della libertà”.
Jean-Paul Sartre diceva che siamo condannati ad essere liberi: è una condanna atavica e impressa nella nostra pelle, antica e sempre presente come il peccato originale. Nessuno di noi può fare a meno della libertà, si lega ad essa a doppio mandato con un sottile filo rosso e si incatena come elemento imprescindibile della vita, in una prigionia che si esplica nella nostra esistenza. L’umanità nasce libera e schiava al tempo stesso del proprio concetto di libertà e mantiene intatta tale natura, anche se sembra perdere formalmente la libertà fisica ed è costretta ad agire diversamente. La libertà di essere umani.
(Continua da Attack on Titan: The Final Chapters Part 1)
Abbiamo lasciato gli sguardi di Armin, Mikasa, Jean, Connie, Reiner e Levi attoniti a guardare impotenti il boato della terra e la marcia letale dei giganti colossali pronti a sterminare l’umanità e abbiamo lasciato Eren privo di se stesso, eppure onnipresente in ogni cosa, una voce nella mente di tutti gli Eldiani, unica connessione con i sentieri del loro destino.
=The Battle of Heaven and Earth=
Esiste una sottile linea di confine che separa beatitudine e dannazione, una lingua di terra invisibile tra terra e cielo, ed è lì che si combatte per la salvezza dell’umanità e di se stessi. Lì tentano l’assalto Mikasa, Jean, Connie, Reiner, Pieck e Levi (bendato e guercio da un occhio, ma lui c’è ed è sempre in prima fila). Lì Armin approda, sulle ossa gigantesche del suo vecchio amico Eren o, meglio, sulle ossa del Gigante Fondatore che lo ha inglobato e assorbito, con l’intenzione di trasformarsi in Gigante Colossale e, quindi, provocare l’esplosione che può liberare Eren dalla sua condanna. Ma la creatura che sta affrontando non è più né Eren, né la Fondatrice, quanto il ricordo atavico di tutti i giganti che hanno rappresentato il popolo di Ymir, le memorie di tutte quelle persone costrette, per qualche ragione, a vestire il potere dei giganti e a cedere il proprio corpo alla trasformazione e la propria vita alla sventura. Dalle ossa di Eren emergono tutti i giganti speciali che abbiamo visto per anni e anche quelli dei secoli precedenti, tutti coloro che sono stati giganti e che sono morti tali, come degli ectoplasmi che lasciano impronta di sé e del proprio doloroso passato in un riflesso di presente, ancora una volta, come in vita, privi di libertà e di volontà decisionale, condannati ad agire secondo le decisioni altrui, senza opporsi. Rivediamo il Gigante Colossale di Berthold che fa riesumare negli occhi di Armin i ricordi del suo senso di colpa, il Gigante Mascella di Ymir e quello di Pokko, il Gigante d’Attacco del padre di Eren e il Gigante Martello di Lara Tybur (che si conferma essere uno dei più potenti di sempre), all’infinito, senza limiti di riproduzione. Armin viene inglobato dalla massa delle memorie dei giganti e viene imprigionato nella dimensione della Coordinata, là dove i sentieri di tutti gli Eldiani si congiungono e si ritrovano.
Gli Eldiani in fuga e il popolo di Marley si confrontano e si temono l’un l’altro. Da una parte, percepiscono che potrebbero allearsi in nome di un comune sentire e per la salvezza dell’umanità; dall’altra parte, mentre gli Eldiani rabbrividiscono alla vista dei Marleyani per le torture subite per secoli, i Marleyani temono l’oscuro potere della maledizione che ha colpito il popolo eldiano. E, così, a un passo dal momento fatale per gli altri, come tutti gli esseri umani accecati dalla paura che diventa odio, diffidano senza trovare coesione.
Annie ritrova il coraggio e se stessa, comprende che la sua vita non potrà mai essere tranquilla se non riconquista quella libertà che le è sempre stata negata come parte del popolo di Ymir e torna indietro (con Gabi e Falco). Cerca immediatamente Armin, l’unica voce che ha sempre ascoltato durante il coma, e ritrova, poi, i suoi amici, compagni di sofferenze di un’infanzia negata dietro le mura del ghetto (Reiner e Pieck) e di un’adolescenza vissuta nel sangue e nella guerra (Mikasa, Jean e Connie).
Tutti sanno che stanno per andare a morire, eppure continuano ad avanzare, come faceva un tempo il Gigante di Eren. “Perché noi siamo il corpo di ricerca. E il corpo di ricerca non sa mai quando deve smettere” (Jean Kitschstein).
=A Long Dream=
Si tratta di un lungo vorticoso sogno che ci avvolge dalla più tenera età oppure è tutto reale? Siamo condannati a dormire e a vivere nel sonno con i nostri mostri interiori? E se, in realtà, tutti i nostri sentieri, tutti i nostri percorsi di vita fossero legati fra loro, pronti a congiungersi e separarsi in un frammento di esistenza?
Armin apre gli occhi nella dimensione della Coordinata, dove il tempo non esiste perché è la dimensione stessa a diventarne il tempo, e scorge Zeke, stanco e invecchiato, atto a costruire castelli di sabbia che si sfaldano come le vite stesse degli Eldiani che ha manipolato. Zeke spiega la sua prigionia, la sua visione di mondo, il motivo del suo piano estremo per l’eutanasia, perché, talvolta, si crede che non nascere sia il compenso più bello a cui possa aspirare l’essere umano, negando le sofferenze della vita, e si ritiene che sopprimere l’esistenza sia un dono pari a quello di sopprimere il dolore. Si ricrede Zeke, nell’incontro con le anime dei suoi ricordi, impresse nei sentieri incrociati degli umani, rivedendo il padre e il suo mentore, lanciando ancora una volta quella pallina da baseball, che era diventata così importante, come un contatto con l’umanità. Le carcasse svuotate d’anima dei giganti sembrano obbedirgli ancora per l’ultima volta e si rivoltano contro il piano apocalittico per concedere tregua ad Armin e ai suoi compagni, ma per lui è troppo tardi: la vita si ribella sempre contro chi ha tentato di estirparla e lo punisce in estremo con la vendetta di Levi.
Armin apre gli occhi e ritrova Eren, ma non il ragazzo accigliato e taciturno, che aveva lasciato a Paradis, l’anima sofferente, schiacciata dalla responsabilità di un destino che gli è caduto addosso, bensì il bambino litigioso e ribelle dei primi anni di amicizia, quello che voleva andare oltre le mura, vedere il mare ed esplorare il mondo, liberandolo dai giganti. Eren bambino ha la consapevolezza dell’adulto e narra ad Armin il suo destino, prima di cancellargli la memoria, tornare a trovarlo il giorno in cui hanno scoperto insieme il mare e cancellargli nuovamente la memoria. Il Gigante d’Attacco è il Gigante che avanza, ovvero può muoversi nel tempo attraverso i propri ricordi e quelli dei giganti prima o dopo di lui. Solo che Eren sa di essere l’ultimo gigante della cronologia e di essere destinato a caricarsi il Male dell’umanità per liberare il suo popolo dal “peccato originale” (in una visione quasi messianica): il suo sacrificio è dovuto, eppure così doloroso per l’umano Eren, qui non più quel gigante trasfigurato dei capitoli finali, ma un ragazzo come tanti, che vorrebbe vivere il suo amore per Mikasa, ma che non può evitare l’atto finale della sua tragedia umana, che, poi, è tragedia mondiale.
Chiudono gli occhi gli Eldiani, che vedono la creatura vermiforme che ha determinato secoli delle proprie vite e vengono trasformati in giganti puri, cedendo alla natura la propria umanità (N.B.: non proprio tutti, perché gli Ackermann sono immuni al potere dei giganti). Chiudono gli occhi Connie e Jean, aspettando insieme l’epilogo, la madre di Reiner e il padre di Annie, sempre in cerca dei propri figli. Chiudono gli occhi i Marleyani, soggetti ad un potere che non credevano così terribile.
Mikasa mette la sciarpa rossa. Si è preparata al finale estremo, spera ancora di poter salvare Eren, ma sa che il tempo che scorre la fa avvicinare sempre di più al suo tragico destino, investita di un compito più gravoso di qualsiasi essere umano. Nella sua mente, continuano a risuonare le parole di Eren, la sua raccomandazione a “gettare via quella vecchia sciarpa rossa” per non tenerla legata ad un passato di sofferenza. Tuttavia, è solo quel passato che la rende più forte e consapevole. Mikasa ora sa e ricorda gli incubi che tormentavano Eren e la sua disperazione degli ultimi anni, celata dietro nubi di feroce emicrania (dovuta ai tentativi di Eren di cancellarle la memoria). Comprende il lungo sonno mostruoso della fondatrice Ymir, una bambina imprigionata nell’angoscia e nella paura di un amore malsano verso il suo aguzzino, rimasta impressa in una natura violata e tormentata, che ha scelto lei, scrutando nella sua mente, perché l’unica in grado di capire l’amore. Tocca a Mikasa completare il sacrificio estremo di Eren, perché “Coloro che non riescono ad abbandonare nulla, non possono cambiare nulla” (Armin Arlert).
=Toward the Tree on That Hill=
Gli Eldiani sono liberi dal potere dei giganti, ovvero dal Male che li ha oppressi e li ha mutati nei secoli. Gli eroi cha hanno offerto il proprio cuore si materializzano per salutare i liberatori. Levi offre il suo cuore al Capitano Erwin Smith, ad Hanji Zoe e ai suoi compagni del Corpo di Ricerca. Il ricordo di Sasha saluta Jean e Connie.
Passano gli anni e nonostante Eldia non sia più il paradiso infernale di un tempo, le guerre non sono finite (non finiranno mai, purtroppo). Armin, Annie, Pieck, Reiner, Connie e Jean sono ora ambasciatori della pace e della vittoria nell’anniversario della liberazione e ricevono un encomio da parte della regina Historia, mentre Levi ha deciso di devolvere la sua vita a fare del bene al prossimo. Mikasa è seduta sotto l’albero presso cui giocava da bambina con Eren, ora diventato la sua sepoltura, e, avvolta nella sciarpa rossa, attende i segnali della sua anima lontana.
Trascorrono altri anni. Mikasa rimane devota a vegliare sulla tomba di Eren. Eldia si espande, diventa moderna e tecnologica. Trascorrono i secoli. Le guerre riprendono, più forti e gravose di prima, ed Eldia viene rasa al suolo. In mezzo alle carcasse di vecchi edifici bruciati, sopravvive solo l’albero di Eren, più contorto e aggrovigliato di un tempo, quasi più saggio e simile a quello che aveva incantato la giovane Ymir. Un bambino girovago col cane si avvicina all’enorme tronco e ne rimane attratto come da una potenza indescrivibile: è il potere della Vita e della Conoscenza.
“I don’t want to just live. The world is cruel, but I still love you. No matter what I sacrifice, I’ll still protect you, the shadow of the person I chose, the corpse of the one I threw away“.
Al termine di questo viaggio durato dieci anni e con le lacrime agli occhi, grazie per averci avvolto nella tua sciarpa. Ci rivedremo presto, Eren.
Captain-in-Freckles
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