“Ti sei svegliato anche tu al mattino con la febbre alta? Ti sei sentito come se stessi per morire per il troppo lavoro? Dimmi: quando sei morto per davvero? Nessuno se ne andrà via finché non avremo finito”.
Questo è l’incipit del manga seinen ZOM 100: Bucket List of the Dead (ゾン100 -ゾンビになるまでにしたい100のこと, Zon 100 ~ Zonbi ni naru made ni shitai 100 no koto, traducibile letteralmente come “Zom 100 – Cento cose che voglio fare prima di diventare uno zombie“), scritto da Haro Aso e disegnato da Kotaro Takata, serializzato e, poi, pubblicato in volumi tankobon in Giappone dal 2018 al 2023, fino all’arrivo del successo internazionale che ha interessato la sua trasformazione in una serie anime (prodotta da e trasmessa da Crunchyroll) e, in contemporanea, in un film live-action (con il patrocinio di Netflix), entrambi con il nome di Zombie 100 – Cento cose da fare prima di non-morire, e destinata a continuare fino ad esaurimento di tutte le storie contenute nel manga (e forse anche oltre). Perché, per parafrasare Douglas Adams, ZOM 100 nasce come una Guida galattica per emarginati sociali di ogni tipo che intendono sopravvivere ad un’apocalisse zombie, o, meglio ancora, alla degenerazione e all’alienazione della nostra umanità, ma con la leggerezza e il sorriso di un colorato video pop.
Akira Tendo (nel film interpretato da Eiji Akaso, Pending Train, Turn To Me Mukai-kun) è un giovane entusiasta che crede di aver trovato il lavoro dei suoi sogni, ma che presto si rende conto di affrontare l’amara realtà del mondo lavorativo e del suo sfruttamento: orari improponibili, mansioni da sfruttamento, sovraccarico emotivo, bullismo da parte dei capi coadiuvati dagli altri colleghi come co-mobber, gaslighting e senso di inadeguatezza che sminuisce la dignità dei lavoratori. Ogni giorno Akira si sveglia con le sue occhiaie che si fanno sempre più profonde e, come un automa, si reca al lavoro, pronto a ricevere umiliazioni non richieste, come se fossero il suo normale tributo da pagare al mondo, e mantiene il suo sorriso ebete e privo di vita sul volto; poi, torna a casa ad orari tardissimi e si chiude nel suo cubicolo abitativo ad attendere il passare della notte e la ripresa della prossima giornata lavorativa. Così, giorno dopo giorno, senza un’apparente fine. Una sera, Akira, che è arrivato al culmine della sopportazione e vorrebbe solo sparire dalla faccia della terra, va a dormire esprimendo il desiderio di non dover andare al lavoro il giorno dopo e, magari, anche quello dopo ancora, senza più preoccuparsi nemmeno del sostentamento quotidiano (“Per favore, lasciamo dormire e non farmi svegliare più“). Quando, il mattino dopo, si sveglia e si prepara per la giornata lavorativa, sente intorno a sé uno strano e spettrale silenzio: esce sulle scale del palazzo e nello spazio antistante, ma è come se ci fosse qualcosa di strano, quasi di elettrico nell’aria. Le persone camminano come in preda ad un incantesimo, senza parlare fra loro e ciondolando con gli arti; poi, si urtano e fanno versi strani, animaleschi, come in procinto di aggredirsi. Akira si rende conto di essere circondato da zombie o, meglio, si rende conto che l’ordine delle cose è stato sorprendentemente sovvertito e che è rimasto l’unico umano in zona con intorno un mare di zombie. E, tutto ad un tratto, come nessuno potrebbe mai immaginare, all’iniziale sorpresa, seguita da disgusto e da una punta di terrore, si sostituisce quell’irrazionale e grandioso senso di inaspettata libertà.
“Non devo più andare al lavoro! YATTAAAA!”.
Onestamente, non sentivo uno YATTA! urlato in modo così deciso e così convincente al cento di Tokyo dai tempi di Hiro Nakamura in Heroes (e, se non sapete di cosa parlo, pentitevi subito e andate a recuperare). Non solo Akira non si spaventa a trovarsi in mezzo agli zombie, ma, finalmente, esce fiducioso di affrontare il mondo e il futuro, o, meglio, il suo non-futuro, perché, in effetti, non sa nemmeno se e come sopravviverà all’apocalisse zombie, ma sa che non poteva più continuare a vivere in quel modo alienante con la sindrome da burn-out: “Non so nemmeno più perché lavoro. Adesso è arrivato il momento di riprendere il controllo sulla mia vita“. Ed è così che inizia a scrivere una lista di 100 cose da fare assolutamente prima di (non-)morire o di farsi trasformare in zombie, lista destinata ad allungarsi e a superare quota 100 perché i desideri umani sono infiniti e il desiderio di non morire li supera tutti: “Possiamo morire oggi o possiamo morire fra 60 anni. In ogni caso, non c’è mai abbastanza tempo per fare tutte le cose che si vogliono fare. Per cui scriverò una lista delle cose da fare per non-morire“. Anche perché, nella morte generale, Akira riesce finalmente a trovare una ragione di vita nelle proprie azioni: inizia a vivere e a diventare un supereroe (punto, peraltro, presente nella sua lista) e a salvare tutti dalla distruzione, che non è soltanto l’epidemia zombie che imperversa per le strade del Giappone, ma è la devastazione interiore, la perdita dell’anima, a cui tutti, di volta in volta, abbiamo rinunciato in nome di un’ignota obbedienza ad un macchinario onnisciente.
Nella sua lotta per riconquistare l’umanità interiore persa e per aprire gli occhi agli altri, si troverà a fianco l’amico di sempre Kenichiro Ryuzaki (Shuntaro Yanagi, che era Last Boss, il tizio tatuato con la lunga katana, in Alice in Borderland) e l’introversa e diffidente Shizuka Mikazuki (Mai Shiraisi, ex idol e componente della band femminile Nogizaka46 e apparsa nelle due stagioni di Stolen Identity e in Don’t Call It Mystery), ma troverà anche il suo ex capo che lo bullizzava al lavoro, Gonzo Kosugi (Kazuki Kitamura di Samurai Cat e Galileo), pronto a rivelarsi come la sua nemesi e a schiacciare la sua dignità, ma ad instaurare le regole della spietata gerarchia e della violenza lavorativa anche nel nuovo ordine post-apocalisse zombie. Per cui la missione da supereroe di Akira diventerà quella di aprire le coscienze degli altri e di non farli cadere nel baratro della disperazione, come viveva lui: “Sapete? Un tempo, anch’io ero come voi. Le lunghe e pesanti ore al lavoro mi avevano devastato e mi avevano fatto dimenticare come significasse vivere come un essere umano“.
Tutti viviamo come zombie, devoti a dire di sì e ad accettare le imposizioni che ci arrivano dalla società e dai contesti in cui vogliamo essere integrati, in primis dal piccolo mondo sociale che frequentiamo più spesso, il lavoro. Tutti viviamo di cieca e vuota routine quotidiana, sottostando a regole che crediamo di gestire e a ritagliando sempre di più il nostro mondo, la nostra fantasia e la nostra anima. Tutti ci copriamo il volto di un falso sorriso, per il buon vivere civile, senza mai palesare i nostri pensieri, ma siamo accondiscendenti con i cosiddetti capi, anche quando si tratta di uccidere noi stessi e la nostra umanità e, magari, pure di annichilire la dignità di un amico/conoscente/collega. Sragioniamo, credendo di essere nel giusto, seguiamo la corrente e ci divoriamo tra noi in un modo in cui non riusciamo nemmeno a distinguere i colori.
“Fino a ieri, vedevo il mondo con un unico colore, offuscato in una nube nera. I cieli azzurri, gli alberi verdi e il sangue rosso vivo! Avevo dimenticato che il mondo fosse così pieno di colori! Sono così felice da aver preso un giorno di riposo dal lavoro!“: afferma Akira in una verità che tutti conosciamo e che quasi ci imbarazza ammettere, quando cerchiamo quel riposo o quelle famigerate “ferie” per ritrovare noi stessi.
Divertente, allucinante e sopra le righe, nel suo mix di action. horror e comicità grottesca, Zombie 100 nasconde, in realtà, una forte critica alla società moderna e al mondo del lavoro, una società feroce e disumanizzata che porta all’annichilimento delle persone e a far perdere loro la salute fisica e mentale, senza un briciolo di compassione e senza mai fermarsi per dare spazio al fattore umano. In Giappone, Zombie 100 è calato come una vera e propria mannaia per colpire un mondo lavorativo degradante e da esaurimento, che pretende lavoratori sempre iper-efficienti e privi di orari, ma con una presenza e una disponibilità flessibile. Si calcola che, dal 2021 e dopo una parvenza di riduzione per 11 anni, il tasso di suicidi sia tornato a crescere in Giappone e gran parte di essi sono correlati allo stress e all’alienazione in ambito lavorativo (circa 30.000 suicidi l’anno, ovvero 80 al giorno e, quindi, uno ogni 15 minuti). Tuttavia, anche gli altri paesi della società capitalista stanno contando numeri e statistiche che dovrebbero portarsi a riflettere seriamente a quali soluzioni trovare per riparare una degenerazione che, per riprendere le parole di T.S. Elliott, ci rende degli “hollow-men”, dei gusci svuotati, in apparenza umani, ma privi di umanità e pronti ad annullarsi nel mondo.
Note sparse finali: a scena dello squalo zombie è sicuramente la più assurda in assoluto, ma per i fan di un certo tipo di genere e di splatter non è del tutto una novità, visto che appartiene agli elementi caratteristici e cita pure la saga di horror b-movie Sharkanado, un piccolo cult in rete; serie anime e film live-action ci mostrano che Akira, al momento, ha scritto solo 33 punti nella sua lista, per cui c’è ragione di credere che debba realizzare ancora molti desideri nel mezzo dell’epidemia zombie (consultare il manga per controllare).
Captain-in-Freckles
Come suona la nostra recensione?
Ma anche…

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