“Se è destino, non ci sono coincidenze. Il nostro destino è la somma delle nostre scelte, ma certe volte… È il destino a scegliere per noi”.
Diciamo la verità: da bambine siamo state rovinate dalle fiabe o dai film Disney o, comunque, da tutti quei racconti fantastici in cui, così improvvisamente quasi dal nulla, compariva un bel principe azzurro vestito impeccabilmente e sul cavallo bianco, pronto in soccorso dell’eroina (in cui tendevamo a identificarci). Poi, siamo cresciute e abbiamo capito che, se andava bene, il nostro principe azzurro restava fermo in tangenziale e, con ogni probabilità, aveva pure lasciato a casa il suo cavallo bianco e anche parte della sua smagliante bellezza, della sua folta chioma e della sua incredibile eleganza. In definitiva, aveva lasciato a casa anche l’appellativo di principe azzurro ed era già tanto se era riuscito a liberarsi dal traffico in tangenziale. Ci siamo disilluse, abbiamo capito che le fiabe ci avevano nutrito di aspettative irrealistiche e siamo diventate grandi. Un giorno, però, abbiamo acceso la televisione e, nel mezzo di una metropoli notturna e fumosa, abbiamo visto apparire dal nulla Lee Min-ho, serio e regale sul suo cavallo bianco a guidare l’armata di cavalieri per soccorrere la donna amata, urlando forte: “Salvatela: è la futura regina di Corea!“.
Allora, abbiamo capito che le aspettative irrealistiche non sarebbero mai finite, ma che, anzi, avevano trovato alloggio e ormeggio in quella porta di congiunzione tra due mondi e in un tempo sospeso. E va bene anche così, perché è la terra ideale dove vengono costruiti i sogni e nessuno ha il diritto di scardinarla.
The King: Eternal Monarch (더 킹: 영원의 군주, Deo King: Yeong-won-ui gunju, che letteralmente vuol dire “Il monarca dell’eternità”) si colloca lì dove iniziano e si alimentano i sogni, in mezzo ad una foresta di bamboo fatata, sotto la prima neve che rende immobili tutte le cose, nelle luci soffuse della città addormentata di notte, in una lunga e sottile striscia di terra che travalica il mare per perdersi nell’orizzonte del tempo e dello spazio, perché il sogno costruisce sempre un’altra dimensione, che, per quanto onirica, forse è più reale di quanto si possa immaginare.
In un’altra dimensione parallela a quella a noi nota, la Corea ha vinto il Giappone all’inizio delle sue mire espansionistiche, reggendo il confronto durante la Seconda Guerra Mondiale e conservando la monarchia con tre capitali: Pyongyang è la capitale economica, dove hanno sede tutte le maggiori famiglie di chabeol; Seoul è la capitale politica, dove vive il primo ministro e si trovano il parlamento e il governo; Busan è la capitale culturale, dove è collocata anche la reggia del re, con l’istmo dominato dalla statua colossale dell’ammiraglio Yi Sun-sin a guardia del porto e di vedetta verso il vicino Giappone (chi è stato in Corea o conosce i più grandi monumenti, però, sa che la statua menzionata si trova a Seoul presso la Piazza Gwanghwamun). Tuttavia, la vita a corte non è delle più semplici: negli anni ’90, nonostante il potere sia stato ereditato in modo legittimo dal re Lee Ho (prezioso cameo di Kwon Se-in), il fratellastro Lee Rim (Lee Jung-jin, The K2, Pietà) muove contro una congiura di palazzo per prendere il potere. In una notte di sangue, riesce a uccidere il fratello e parte del suo seguito e a lasciare agonizzante il nipote, Lee Gon, un bambino di sei anni, fino a quando una figura misteriosa e vestita di nero non irrompe all’improvviso, salvando il giovane erede al trono e mettendo in fuga i congiurati. Lee Rim, però, riesce ad impadronirsi di una parte di un flauto magico di bamboo, che dà a coloro che lo possiedono il potere particolare di piegare il tempo e lo spazio. Vicino a Lee Gon, viene rinvenuto il tesserino di una detective della polizia di Seoul di nome Jeong Tae-ul, datato 11 novembre 2019 (11-11, data palindroma e speculare, che raffigura il doppio).
Passano gli anni, volge il 2019. Dalla sua traumatica infanzia, Lee Gon, ora divenuto re (e, tra l’altro, anche diventato Lee Min-ho, Pachinko, The Heirs, Boys Over Flowers), si è convinto che la sua misteriosa salvatrice proveniente dal futuro non sia altro che la sua donna ideale. Solo che trovarla nel suo regno è impossibile. Nel frattempo, continua a condurre ricerche sulla misteriosa scomparsa dello zio assassino e della metà del flauto magico, convinto che ci sia una spiegazione legata al suo potere e a variazioni infinitesimali nel tempo e nello spazio, variazioni che frangono il continuum e bloccano il mondo, seppure per attimi impercettibili a chiunque. I suoi studi matematici e scientifici lo conducono ad indagare in una misteriosa foresta di bamboo, la stessa che aveva fornito il materiale al flauto magico, cavalcando il suo destriero bianco e recando con sé la sua parte di flauto. E lì avviene la magia: improvvisamente, dal nulla, si apre un portale, che sembra uno specchio e che lo conduce in un’altra dimensione.
Autunno 2019. La detective Jeong Tae-ul (interpretata da Kim Go-eun di Goblin e Little Sisters) è bloccata nel traffico di una caotica Seoul serale, dopo una giornata pesante, impensierita da un’indagine complessa e dalla strana scomparsa e ricomparsa di persone dalla capitale. Giacché il traffico non accenna a muoversi, scende arrabbiata dall’auto per sincerarsi dell’impedimento per strada e trova Lee Gon sul suo cavallo bianco.
“Il tempo si è fermato per un momento. Però, grazie a questo, tutto è diventato più bello”.
Vorrei scrivere che il primo incontro è così idilliaco e poetico, come le immagini di una fotografia stupenda sembrano fare intuire, o che la logica del cavallo bianco abbia sortito effetto in una ragazza moderna, cresciuta a suon di fiabe e principi azzurri, ma non è così. Mentre Lee Gon rimane incantato da Tae-ul, anche perché riconosce la fisionomia della proprietaria del tesserino, Tae-ul scambia per pazzo un tale vestito di velluto, che si autodefinisce re di Corea e va a cavallo in mezzo alle automobili, e lo arresta immediatamente. Lee Gon si rende conto che i suoi sospetti sono fondati e che le antiche leggende sul flauto avevano ragione, giacché esistono tante e innumerevoli dimensioni parallele, che si inseriscono nello spazio infinitesimale tra gli oggetti reali e nel tempo di un fruscio d’ali di farfalla. Si rende anche conto che deve esserci un motivo se il portale ha aperto quel varco con una Repubblica della Corea del Sud, dove è presente la detective del suo salvataggio e dove tante tracce lo portano alla fuga dello zio, e che nessun elemento è a caso, ma sono tutti incastonati in una fitta tela di eventi concatenanti, di cui è necessario sbrogliare la matassa e che l’unica vera alleata può essere solo questa strana e determinata detective che, per qualche ignota ragione, è collegata al suo destino.
Perché le coincidenze non esistono, ma sono variabili ammesse in quell’enorme equazione matematica che è il tempo umano.
Le indagini di Lee Gon e Tae-ul si uniscono e si trovano ad essere speculari, facendo sorgere tra loro un’amicizia e una stima reciproca, che, col tempo, diventa un amore intenso, che travalica i confini dello spazio, del tempo e di qualsiasi dimensione, visto che i due iniziano a viaggiare tranquillamente tra le due dimensioni per aiutarsi e supportarsi a vicenda, ma anche perché non possono più fare a meno l’una dell’altro: “Ho atteso per 25 anni per incontrarti… Ho realizzato che non ti ho mai regalato un fiore. Ed è questa la ragione per cui ho attraversato l’universo per te. Ho realizzato anche che non ti ho mai detto di amarti. Ma io sono profondamente innamorato di te“.
Solo che Lee Gon e Tae-ul non sono gli unici viaggiatori nello spazio-tempo, visto che Lee Rim non solo è vivo e vegeto, ma, avendo scoperto che i due mondi sono perfettamente identici nelle persone che li costituiscono (per cui esiste una versione di ognuno di noi in ogni dimensione parallela), sfrutta la sua gestione del portale per operare una serie di delitti, che vanno da uccisioni, alla sostituzione di persone da un mondo all’altro, e mettere a compimento il suo piano di congiura, così bruscamente interrotto anni prima. Queste azioni non fanno altro che generare fratture a catena nel continuum spazio-temporale e a provocare un evento dietro l’altro, che, come un effetto farfalla, rischia di compromettere il genere umano e l’esistenza di entrambe le dimensioni, di riscrivere la storia, ma anche di far collassare il mondo, in un fragile e precario equilibrio matematico dove, come ne La Storia Infinita, il nulla può eliminare qualsiasi elemento numerico.
Intorno ai due protagonisti e ad un antagonista enorme e arcigno, un pletora di personaggi secondari e di tante storie ad incastro, che, talvolta, vanno a rubare la scena – meritatamente – alla storyline principale: c’è il Capitano Jo Yeong, la Spada Assoluta del re nella Corea monarchica, duro, ferreo e irreprensibile, che scopre di avere nel semplice e svagato Jo Eun-seob il suo doppio della Corea repubblicana e i siparietti tra i due doppi, ma anche gli assoli di ognuno di loro e gli improvvisi atti di coraggio sono una parte a sé in questo drama, che cementificano la bravura e la padronanza sulla scena di Woo Do-hwan (Bloodhounds), interprete di entrambi i ruoli; c’è il detective Kang Shin-jae (interpretato da un sofferente e melanconico Kim Kyung-nam di The One and Only e About Time), un personaggio che è chiave, ma anche effetto e vittima della congiunzione tra i due mondi e che reca su di sé le cicatrici delle flessioni spazio-tempo e delle decisioni umane; c’è la prima ministra della Corea monarchica Goo Sae-ryung (interpretata da Jung Eun-chae di Anna), una donna cinica e opportunista che unisce in sé tutte le caratteristiche del machiavellismo politico e qualcosa di più; c’è Myeong Na-ri (interpretata da Kim Yong-ji di Tale of the Nine-Tailed), la proprietaria di una caffetteria, che, in qualche modo, si trova più coinvolta di quanto possa pensare con le vicende dei due mondi; infine, c’è la mia preferita, la dama di corte Noh Ok-nam (interpretata da Kim Young-ok, anche definita la “nonna di Corea”, vista e amata in Hometown Cha-Cha-Cha, King The Land, Jirisan, Miss Hammurabi, Mouse, e molto altro), che, senza fare troppi spoiler, è unica nel suo genere, ma anche unica nei mondi.
A quest’ultima è demandata la lettura di diverse poesie di Kim Sowol, forse uno dei più grandi poeti coreani di sempre, morto prematuramente durante l’occupazione giapponese e creatore di una lirica malinconica e trasognata, che narra di decisioni umane e di altrettanto umane profonde rassegnazioni, di destini che si incrociano come fili intrecciati e che sono determinati da eventi più grandi, di coincidenze che nascono dal cuore e di emozioni che trascendono il tempo e lo spazio. E con i suoi versi vorrei terminare questa mia disamina di un drama fantasy romance, che non è perfetto e forse non raggiunge il livello di Goblin (degli stessi creatori), ma che ci apre un portale unico nella nostra anima poetica, perché il destino è la lirica del tempo incrociato i cui fili continuiamo a tirare ogni giorno con le nostre decisioni, seduti sul canale del tempo che scorre, custodendo i nostri ricordi.
“Per quale ragione facevi così? / Ti sedevi da sola presso il canale, / l’erba verde cresceva intorno / e l’acqua zampillava dalla sorgente. / Hai promesso che, anche se fossi andata via, / non saresti stata via per sempre, / questa era la tua promessa. / Io siedo ogni giorno presso il canale, / penso a qualcosa che non avrà mai fine. / Quando hai promesso che, anche se fossi andata via, / non saresti stata via per sempre, / mi stavi chiedendo di non dimenticarti?” . (traduzione mia)
Laura
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12 pensieri riguardo “The King: Eternal Monarch (ovvero del destino delle scelte, della lirica del tempo incrociato e di un cavallo bianco)”