“Vorrei riuscire ad esprimermi e a mostrare quello che provo. Vorrei che tutti questi sentimenti che ho dentro possano arrivare da me a te”.
Se dovessi descrivere in qualche modo la narrativa di Kimi ni Todoke (君に届け) – Arrivare a Te o From Me To You, che è, anzitutto, manga shojo, scritto e disegnato da Karuho Shiina e pubblicato dal 2006 al 2017, ed è diventato successivamente, anime (in due stagioni dal 2009 al 2011), film in live action (2010) e drama tv (2023), potrei dire che è delicato e lieve, come la discesa della prima neve in inverno, il turbinio delle foglie secche in autunno, l’immota brezza marina di una mattina estiva o i petali di ciliegio che, cadendo, annunciano la primavera. Oppure come un haiku, dimenticato tra vecchie pagine ingiallite e tornato alla memoria, come una fotografia dell’adolescenza con i suoi timori e i suoi sogni, la crescita e la scoperta dell’amore. Potrei anche dire che i personaggi (proprio tutti, anche quelli che, a prima vista, possono sembrare più antipatici) sono una parte di ognuno di noi, una sfaccettatura del lungo e travagliato percorso di formazione e che la storia non è altro che un diario di tutti i giorni, una registrazione di eventi, come quelli che possono essere accaduti ad ognuno di noi durante la scuola, ma filtrati attraverso la sensibilità di un’adolescente in crescita, gli occhi della solitaria e falsamente fragile Sawako.
“Il mio nome è Kuronowa Sawako, ma tutti mi chiamano Sadako per quella di The Ring“.
In questo modo, si presenta la protagonista e voce narrante della storia, una ragazza magra e longilinea, con lunghi capelli neri e frangia fino agli occhi. Sawako è timida, riservata e introversa: va molto bene a scuola e cerca di aiutare tutti, compresi i professori, che la caricano di attività extra scolastiche, quali la cura delle aiuole dei fiori del giardino durante le vacanze estive. Tuttavia, Sawako non ha amici e, anzi, viene evitata continuamente da tutti (“Non so perché, ma tutti mi chiedono scusa quando mi vedono apparire improvvisamente“). Questo suo isolamento è dovuto in parte ad un vecchio fatto, quando un suo compagno di scuola elementare, sbagliando a pronunciare il suo nome, la chiamò Sadako, proprio come la fanciulla con i lunghi capelli corvini buttati sugli occhi che terrorizzava tutti nella saga horror di The Ring. Giacché anche Sawako porta un’acconciatura simile e non è brava a socializzare, questo episodio casuale è stato presto dimenticato per farla coincidere direttamente con la personalità di Sadako. Ed è così che a scuola credono tutti che parli con gli spiriti e con i morti, che pratichi la magia nera e mandi maledizioni con un semplice sguardo e porti sfortuna già solo nominarla. Sawako/Sadako cerca di fare il suo meglio per integrarsi con il gruppo scolastico e, nonostante tutti gli scherni, si mostra sempre disponibile e senza alcun risentimento nei confronti dei suoi compagni, convinta che una parte del suo isolamento è dovuta al suo carattere introverso: “E’ difficile interagire con le persone e non sono per niente brava in questo, ma, nonostante ciò, un giorno, spero di abbattere il muro che mi circonda“.
Quando il ragazzo più popolare e ammirato della classe, Shota Kazehaya, uno dei pochi che ha sempre rivolto la parola a Sawako senza prenderla mai in giro, organizza una prova di coraggio per l’intera classe (con tanto di missione notturna al cimitero e camminata in mezzo ai boschi e alle colline), Sawako si iscrive per tentare di socializzare con gli altri e di smussare la sua riservatezza: solo che, convinta da due compagne, si traveste da evanescente figurina bianca con chioma arruffata (proprio come in The Ring), comparendo improvvisamente tra le siepi e generando in ciascuno quei cinque minuti da fine del mondo. Tuttavia, la prova di coraggio diventa un successo per tutta la classe proprio grazie a lei, facendole guadagnare un certo riconoscimento da parte di tutti gli altri ragazzi e una stima sicura da parte delle sue compagne di classe, la bella e cinica Ayane Yano e la solare e maschiaccio Chizuru Yoshida detta Chizu, ma anche qualche prezioso minuto di dialogo da sola con Shota Kazehaya, che era rimasto nascosto con lei durante la serata e aveva avuto occasione di parlare liberamente di sé con qualcuno.
Tuttavia, quando inizia il nuovo anno scolastico e vengono estratti a sorte i numeri associati ai banchi per capire la nuova disposizione della classe, la leggenda horror continua e nessuno vuole stare vicino a Sawako: nella confusione generale dei soliti bulletti che cercano di evitare il numero affiancato a quello della famosa e malefica Sadako, Shota fa scambio con il suo posto e si siede al suo fianco, seguito subito dopo da Ayane e Chizu, oltre che dal migliore amico di Shota, il taciturno Ryu Sanada, che declinano l’offerta d qualsiasi numero per stare vicino alla nuova amica Sawako in una delle scene più delicate e toccanti: “Hai visto che bello? Quest’anno siamo seduti vicini, Kuronowa!“, le dice Shota con un sorriso raggiante, facendo rimanere allibiti tutti i compagni di classe e dando inizio ad un nuovo corso nella vita di Sawako. Non so da che mondo venite, ma da queste parti sul pianeta terra, sedersi vicino alla persona a cui si è interessati a scuola è uno dei più alti vertici di felicità che si possano raggiungere.
A Sawako, infatti, è sempre interessato Shota, anche se non lo ha mai capito o, forse, ha confuso questa sensazione con una forma di gratitudine perché Shota l’ha sempre trattata con gentilezza e umanità e non ha mai fatto differenze tra lei e gli altri o perché, quando lo ha incontrato per la prima volta, il primo giorno di scuola dell’anno precedente, lui le ha sorriso spontaneamente e l’ha ringraziata per l’informazione data senza fuggire impaurito: “La prima volta che ci siamo visti tu mi hai sorriso e ringraziato. Ero felice. Era come se tutto improvvisamente fosse diventato colorato“. Quello che Sawako ignora e che interpreta come estrema educazione e gentilezza di Shota è che il ragazzo, in effetti, è sempre stato attratto da lei, sin dal primo momento, l’anno precedente, in cui l’ha vista con i capelli scompigliati dal vento sotto i ciliegi in fiore e si è inventato la scusa di chiederle un’informazione solo per rivolgerle la parola: “Quella volta ho avvertito questa sensazione. Questo sentimento ora è diventato grande. Un giorno ti raggiungerà?“.
Sawako scopre la meravigliosa sensazione di non sentirsi più sola, ma di essere parte di un piccolo e coeso gruppo di amici, conosce la sorellanza con le altre ragazze e il sostegno reciproco nei momenti di sconforto e di tristezza, impara ad apprezzare i silenzi carichi di parole di Ryu (che, per la cronaca, è anche uno dei miei personaggi preferiti) e la sua profondità nello stare sempre vicino agli altri, capisce che ci sono persone di cui si può fidare ed altre da evitare nonostante la falsa mellifluità (sì, Ume Kurumizawa, sto parlando con te) e si avvicina, passo dopo passo, all’anima di Shota, quel ragazzo gentile e solare, che “con una sola parola, con un semplice sorriso, riesce sempre a dare la forza per agire“. Ed è così che, stagione dopo stagione, foglia dopo foglia, neve dopo neve, scopre che non può più fare a meno di lui (“Perché, senza cercarti, ti incontro ovunque, soprattutto quando chiudo gli occhi“), che è diventato una parte importante di lei, e analizza i suoi sentimenti e le sue emozioni, in un dialogo continuo con se stessa, costruito come le pagine di un diario, fino a comprendere la parola “amore”.
“Mi chiedo quando sia nato questo sentimento, più forte della stima e del rispetto, un sentimento molto più grande, un sentimento d’amore. […] Dato che per me era la prima volta, non riuscivo proprio a capire se fosse davvero diverso per me. Però, se provo a dare ascolto al mio cuore, questi sentimenti potrebbero essere amore. Anzi, vorrei che fosse amore. Tanto, tanto, io lo desidero. […] All’improvviso, non riesco più a parlare, non so più che fare: è come se il mio cuore fosse nel caos, è come se fossi rinata… Provo sensazioni sempre nuove. […] Nell’istante in cui mi ha chiamato per nome, io ero già innamorata”.
Come il crescendo di una sinfonia musicale, così crescono i sentimenti di Sawako e la consapevolezza che lei stessa ha di essi, e, di pari passo, arriva a comprendere se stessa, il suo tentativo di annullarsi di fronte alla società e di negare l’evidenza, la sua persistenza e il suo coraggio, la fermezza dei suoi principi e la sua empatia. Conosce se stessa attraverso il sentimento che prova per Shota, si innamora e cresce, fino a comprendere quanto sia Shota, con il suo perenne sorriso gentile che nasconde un’enorme sofferenza nell’animo e una fragilità mai esposta, ad avere bisogno di lei, dandogli quella dolce sicurezza che da solo non riuscirebbe ad avere e salvandolo dal baratro della depressione e della tristezza in cui rischia di cadere.
Cresce anche Chizu, che ha sempre costruito la sua immagine di donna forte e spavalda, contraria alla bellezza e alle convenzioni femminili, ma che nasconde una tenerezza e una emotività uniche e che comprende solo col tempo di chi è davvero innamorata. Cresce Ryu, il cui motto è sempre stato quello di “lavorare in silenzio” e che trova se stesso nell’uso delle parole (N.d.R.: è sua la dichiarazione d’amore più bella che potrete vedere nella storia) e nella capacità di empatizzare con gli altri. Cresce, infine, Ayane, che si libera del cinismo e della maschera da cattiva e da mangiauomini che le ha affibbiato la società, per raggiungere la sua indipendenza personale e le sue aspirazioni future, senza il bisogno di appoggiarsi ad un uomo.
Esistono piccole minuscole differenze tra anime, film e dorama, ma sono talmente esigue da non confliggere minimamente tra di loro e da non creare scompensi o storture: da appassionata del genere anime, infatti, sono sempre molto attenta alle trasposizioni in live action e, talvolta, anche molto critica, convinta che non riescano a raggiungere il livello del fumetto, anche da un punto di vista narrativo. In questo caso, però, devo ammettere che non ho nulla da recriminare su alcuna versione. L’anime segue fedelmente il manga di Kuroho Shiina, che ha vinto anche il premio Kodansha, ed è, naturalmente, un piccolo capolavoro nel genere shojo, mai sopra le righe, delicato e sensibile in ogni singolo momento, attento a dare voce ai monologhi di Sawako, ma anche degli altri personaggi, per far esprimere loro le proprie emozioni. Sembra quasi di avere a che fare con un romanzo, per la profondità con cui sono narrati gli argomenti, mai banalizzati e mai lasciati ad un approccio teen.
Nella stessa maniera, il drama prodotto recentemente ha seguito in modo pedissequo il testo del manga e ha saputo costruire dei personaggi che sembrano proprio essersi staccati dalle sue pagine: Sawako è interpretata dalla giovanissima Sara Minami, mentre Shota è interpretato da Oji Suzuka (già visto in un ruolo minore in Silent, ma anche in Rappongi Class, la trasposizione giapponese di Itaewon Class); il cast è completato da Kaito Sakurai (Ryu), Rinka Kumada (Ayane) e Riho Nakamura (Chizu).
Il film si distacca un tantino da anime e drama (e, forse per questo motivo, ha avuto il destino di essere o amato oppure odiato), perché, per ragioni di tempistica, deve condensare più episodi e più anni di vita in meno tempo, preferendo soffermarsi sulla prima parte (l’adolescenza dei protagonisti), che sulla seconda (il momento di scegliere l’università e di entrare nel mondo degli adulti). Tuttavia, a mio avviso, è un altro prodotto di grande pregio e di cui consiglio il recupero. Devo ammettere, anzi, che la Sawako del film, interpretata da Mikako Tabe (interprete anche di Midnight Dinner e doppiatrice di Rilakkuma e Kaoru), è la mia preferita per la bravura recitativa che si esplica anche solo dagli occhi, che cambiano gradualmente a seconda delle emozioni e della crescita del suo personaggio (N.d.R.: inoltre, è la Sawako più Sadako che si possa trovare, vedere per credere). Nel cast, anche: nel ruolo di Shota, Haruma Miura (che ha interpretato Eren Yaeger nel live action di Attack on Titan), nel ruolo di Ayane, Natsuna Watanabe, nel ruolo di Chizu, Misaku Renbutsu e nel ruolo di Ryu, Daisuke Sasaki.
Piccola curiosità: nel drama il personaggio dello sfasato e simpatico professore Kazuichi Arai, detto Pin, un po’ insegnante e un po’ fratello maggiore su cui tutti possono contare e trovare sostegno, è interpretato da Shohei Miura, attore famosissimo in Giappone per la partecipazione a diversi drama e film e che è stato un investimento sicuro anche per la visione di questo drama; al di là di questo particolare, però, forse si ignora che Shohei Miura ha accettato la parte quasi in modo amichevole, come suo tributo personale nei confronti della moglie Mirei Kiritani (protagonista di A Girl and Three Sweethearts), che nel film aveva interpretato il ruolo della perfida rivale Ume.
Non è l’unico richiamo incrociato. Infatti, l’opening della prima stagione dell’anime, dal titolo Kimi ni Todoke, è stata composta e interpretata da Tomofumi Tanizawa (qui il videoclip). La stessa canzone si sente come title song nel film omonimo e, infine, nel drama. Sorte simile ha avuto l’ending della prima stagione, Kataomoi, interpretata da Chara (qui il videoclip), una cantante che in patria è considerata quasi un’inventrice del J-Pop. La colonna sonora principale del film, tuttavia, è A Spring Breath, cantata dalla band rock flumpool (qui il videoclip), che hanno composto anche l’opening di Ajin, e che si sente anche del drama. L’opening del drama, invece, è Ai no Uta, cantatata da Takaya Kawasaki (qui il videoclip). Tuttavia, il titolo in inglese, From Me To You, s’ispira all’omonima canzone dei Beatles (e, se non l’avete mai ascoltata, dovete rimediare assolutamente qui). Un sottile legame di sentimenti, che percorrono tutti e tre i prodotti.
Consigliato per rivivere la propria adolescenza e la propria crescita, per riscoprire le proprie emozioni e la bellezza del primo amore, rivisto come se fosse la lirica di un haiku giapponese.
Captain-in-Freckles
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