One Piece – All’arrembaggio!

È un veliero di pirati
Veramente scatenati
Una ciurma irresistibile

Arrivavo a casa da scuola, affamata per il dispendio di energie che implica lo studio, come tutti i ragazzini che si applicano molto sui libri e quasi recalcitranti a tornare nel mondo reale. Mi apprestavo a pranzare e accendevo la TV (perché la televisione quando si mangiava era un must sempre, non c’erano all’epoca troppe paturnie e limitazioni sulle ore da trascorrere davanti alla TV o, perlomeno, per me non ce ne erano). Partiva prima il suono delle immagini per uno strano principio delle televisioni d’inizio anni 2000 che hanno vissuto quel meraviglioso passaggio dall’analogico al satellitare e che ignoravano anche il cosiddetto digitale terrestre. Partiva la voce di Cristina D’Avena. Poi, le immagini arrivavano di colpo, assolate e coloratissime, in netto contrasto con le televisioni anni ’80 e ’90.

C’è un ragazzo capitano
Che nel cuore è un veterano
Il pirata più temibile

Ecco che appariva il pirata più temibile, secondo la sigla, ma meno temuto di sempre: un tizio lungo e molleggiato, i cui arti si tiravano da soli come elastici o come quel giocattolo che, almeno una volta, a tutti sarà capitato di comprare in cartoleria per portarlo come regalo di compleanno dell’ultimo minuto. Giravo il mio piatto per non dare le spalle alla TV. I miei occhi si fissavano sul cappello di paglia di Monkey D Rufy e il suo sorriso sghembo mentre guardava l’orizzonte. La musica continuava con l’attacco di Giorgio Vanni.

L’equipaggio è già sul ponte
E il vascello leva l’ancora
Salpa verso l’avventura
Senza un’onda di paura
E non perde mai la bussola

“Ma non sei troppo grande per guardare cartoni e film con i pirati, Laura?”, chiedeva mia madre, sempre, più o meno, la stessa domanda, perché l’età mi aveva rovinato i gusti, secondo lei, e da principesse e pollyanne ero passata inspiegabilmente ad una ciurma sghangherata e riottosa, un gruppo colorato e strambo, che non ce ne era nemmeno uno normale. Ma, diciamo la verità, esiste davvero un’età in cui ci si può stancare di pirati? Sono eterni come i cowboy dei film western, crescono e non crescono con noi; combinano rivolte, vengono alle mani, sono difficilmente gestibili, eppure ci piacciono; si uccidono ripetutamente tra loro, eppure non muoiono.

Ciurma! Andiamo tutti all’arrembaggio, forza
Vediamo adesso chi ha coraggio
Niente, è più importante del tesoro ma
Chissà dove sarà
Un solo grido
Ciurma! C’è un bastimento di corsari
Forza! Noi siamo i re dei sette mari
Niente potrà fermarci, adesso siamo qua
Avanti che si va
Un solo grido

Ancora adesso, quando sento questo ritornello, ricordo a voce alta quei momenti, forse gli ultimi di un prolungato senso infantile per l’avventura, che mi portavano a solcare i sette mari con il re dei pirati e la sua nave. E canto. Canto a squarciagola dentro di me, ripensando sempre che sono diventata grande perché non mi sono arruolata insieme all’aspirante Re dei Pirati e alla sua ciurma del Cappello di Paglia in cerca di un tesoro. Perché Monkey D. Rufy, il nostro pirata protagonista, non è nemmeno un vero e proprio pirata, ma, più che altro, uno che crede di esserlo e si impegna con tutto se stesso per dimostrarlo. Quasi una figura donchischiottesca di sognatore, Monkey D. Rufy ha due caratteristiche che lo rendono unico: la prima è meramente fisica e riguarda la sua capacità di allungarsi e modellarsi come la gomma per aver ingerito, ancora giovane, il cosiddetto Frutto del Diavolo; l’altra, molto più connaturata alla sua mente e al suo spettro emotivo, è quella di non rendersi assolutamente conto di quello che fa, né del pericolo in cui può andare ad incorrere, esuberante come un bambino alla sua prima ginkana. Forte del suo corpo di gomma e della sua incoscienza, decide di andare a cercare il leggendario tesoro One Piece, bottino di una vita del pirata Gol D. Roger, che lo farebbe diventare il Re dei Pirati. Per questo motivo, recluta un equipaggio che nessun sano di mente avrebbe mai reclutato (perlomeno, mai tutti in una volta): c’è la ladra scaltra e agile, Nami, con il suo tatuaggio e la sua chioma rossa; ci sono il forte spadaccino Roronoa Zoro, con la sua cicatrice all’occhio e una spada a tre lame che sembra un’ascia, e il cecchino-inventore dalla mira infallibile, ma dalle variegate fobie, Usop; c’è l’elegante Sanji, con la sigaretta in bocca e il ciuffo biondo, che deriva da una famiglia di killer, ma aspira a diventare cuoco sulle navi (e che è anche la cotta più o meno segreta praticamente di tutti i personaggi femminili); c’è Nico Robin, la misteriosa archeologa assassina, con caschetto nero da femme fatale anni ’20; ci sono il carpentiere Franky, un cyborg colossale, il mezzo uomo/mezzo scheletro Brook, che vorrebbe diventare un musicista, e il mezzo uomo /mezzo pesce Jinbae, che fa da timoniere proprio perché è l’unico ad avere senso dell’orientamento; e, infine, c’è Tony Tony Chopper (nella versione anime italiana ribattezzato Renny Renny Chopper), una minuscola renna antropomorfa e parlante (a causa di ingestione da Frutto del Diavolo), che fa da medico di bordo e che non ci stupisce pensare sia anche l’essere più razionale di questa nave. Perché di razionalità in Monkey D. Rufy, il cui personaggio è basato sempre sull’archetipo orientale del Re Scimmia (o Scimmiotto), ce ne è proprio poca; in compenso, di follia ce ne è parecchia ed è forse uno dei motivi per cui, alla fine, tutti riescono ad affezionarsi al suo progetto e a rischiare letteralmente la vita per il tesoro One Piece, in un mondo che pullula non solo di pirati, corsari e criminali di ogni sorta, ma anche di politici corrotti, famiglie detentrici di ogni potere, cartelli di creature aliene e sanguinarie e dominato dal cosiddetto Governo Mondiale, una sorta di ordine generale che controlla, in una vera e propria distopia, i governi e le menti di tutte le popolazioni.

Per parafrasare le parole del più famoso pirata cinematografico di sempre, Jack Sparrow, che cos’è una nave, se non un sinonimo di libertà? Ed è qui che si inserisce, quasi inconsapevolmente, il lavoro rivoluzionario e libertario di Monkey D. Rufy, che vuole a tutti i costi quel tesoro, tanto da non percepire un minimo di rispetto per le gerarchie e da mettersi contro ai governi di circa 180 Stati, diventando, così, in modo quasi del tutto consapevole, il paladino della libertà e della lotta contro la dittatura mondiale, tanto da assurgere ad emblema della lotta clandestina per la liberazione portata avanti dall’Armata Rivoluzionaria.

Più il viaggio dei nostri va avanti, più aumentano le avventure, più si destabilizza l’ordine mondiale, più le persone iniziano a credere nella propria libertà, mentre la taglia sulla testa di Monkey D. Rufy sale vertiginosamente, rendendolo, effettivamente, una leggenda. Ma attenzione: perché non si tratta, comunque, di una semplice sommatoria di avventure marinaresche con cui trovare una piacevole mezzora di distacco dagli impegni. Mokey D. Rufy, infatti, è, anzitutto, una persona a cui il frutto misterioso ha conferito alcuni poteri che deve ancora scoprire ed è, soprattutto, un ragazzo che medita di crescere e di divertirsi in modo spensierato, ma che lungo il cammino conoscerà la gloria, l’angoscia e l’ambizione. Quest’ultima acquisisce un concetto a sé, in quanto forza misteriosa ed eclettica, latente in ciascun essere umano e disponibile a mettersi in gioco nei momenti più critici. Nel momento in cui Monkey D Rufy scopre di avere ambizioni e di poterle usare solo crescendo interiormente e mettendosi alla prova non solo per se stesso e i suoi amici, ma anche per l’umanità.

Sarà questo carattere così genuino e spensierato e il suo romanzo di continua formazione in viaggio che hanno portato la maggior parte degli spettatori ad adorare il personaggio di Monkey D. Rufy, tuttora uno dei più amati di sempre, quasi alla pari di Goku in Dragonball. Pensare che, all’epoca del lancio, il suo creatore, Eiichirō Oda, credeva solo di divertirsi, ispirandosi in parte alla serie a fumetti Vicky Il Vichingo e, invece, ha messo in discussione per intero tutto il mondo anime, creando personaggi deboli e forti al tempo stesso, con una leggerissima linea di confine tracciata tra bene e male. Ad oggi è il quarto mangaka preferito dai giapponesi (e non solo) e, praticamente, può vivere di rendita grazie ai suoi pirati dei sette mari.

One Piece (ワンピース Wan Pīsu), che in Italia ha preso inizialmente il nome di One Piece – All’arrembaggio! (dall’urlo famoso dei pirati sulla nave), ha visto la luce come manga nel 1997, pubblicato sulla rivista Weekly Shonen Jump, diventando, col tempo, il manga ad aver venduto di più in tutto il mondo (ben 500 milioni di copie fino al 2022), sorprendendo qualsiasi statistica da guinness dei primati. La versione anime è stata creata due anni dopo il lancio, nel 1999, ed è approdata in Italia nel 2001 insieme ai tankobon del manga. Oggi conta 20 stagioni (per un totale di 1068 episodi, ma la produzione è ancora in corso e gli ultimi episodi di cui abbiamo il conteggio sono dell’estate 2023), 2 OAV, 15 film d’animazione, 2 cortometraggi in 3D, 13 special, uno spin-off, videogiochi, oltre ad un innumerevole e variegato merchandising. Il successo è stato talmente tanto che diversi marchi internazionali hanno usato l’immagine di Monkey D Rufy nei proprio prodotti (dalla Mattel alla Fanta, da Gucci alla Nissan, da Mc Donald’s alla Seiko), mentre nella Tokyo Tower è stato allestito un parco a tema One Piece, con tanto di pubblicità disseminata per tutta la città, compresi i mezzi pubblici. Oggi siamo in attesa della serie live action prodotta da Netflix per la fine del 2023.

Il successo ha portato Monkey D Rufy ad incontrare Goku in un epico episodio crossover One Piece – Dragon Ball, che non si può perdere. Ma questa è un’altra storia.

Consigliato: per chi vuole viaggiare per i sette mari delle fantasia e dell’immaginazione, aspirando alla libertà, perché una nave è sicuramente una chiglia con una prua, una poppa e delle vele, ma è soprattutto la libertà e non si mai piccoli né grandi per assaporare il vento della libertà.

Captain-in-Freckles

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