The Glory (ovvero degli equilibri e della gloriosa vendetta)

“Ciò di cui hai bisogno è di una punizione. Una punizione legale se Dio è dalla tua parte, una punizione divina se Dio è dalla mia parte”

L’opaca vita trascorsa nell’oscurità, la divina tensione verso una luminosa vendetta. Lo sguardo triste eppure ferreo, il sorriso freddo e forzato. Quel Memento Mori tatuato sulla pelle, come le cicatrici perenni della protagonista. L’iscrizione dantesca che apre il suo Inferno, “Lasciate ogni speranza speranza voi ch’entrate“, che ci introduce nelle male bolge dove il pentimento è un lusso che non viene mai concesso e le punizioni sono terribili nella loro gloriosa inumanità, con un’applicazione perfetta della legge del contrappasso (“Occhio per occhio. Dente per dente. Osso per osso. Chiunque ferisca qualcun altro deve essere punito con la stessa pena. Non lo so, ma quest’idea mi piace” declama la protagonista quando enuncia la sua teoria della vendetta). Non c’è misericordia, né gloria per l’umanità che ha perso la luce e si oscurata da sola nelle tenebre, non c’è compassione per chi ha sbagliato, né può essere concesso un perdono che, del resto, non viene nemmeno ricercato: è una lenta e tortuosa strada che scende verso l’abisso della perdizione e che, al tempo stesso, ascende verso la sinistra luce della gloria, in una mistica della dannazione consapevole che diventa logica e tattica: “Sai cos’è il bello di non avere una religione? Il fatto che sai dove finirai quando sarai morto. All’inferno! […] Ho brindato alla mia eventuale corruzione e alla tua eventuale perdizione“, afferma la protagonista in faccia alla sua eterna nemica che l’ha condizionata, con la sua malvagità e i suoi atti commessi durante l’adolescenza, per tutta la vita. Un frammento di vita può distruggere tutta l’esistenza, un momento di violenza può dannare completamente l’anima. The Glory è un viaggio in un’anima ferita e distrutta, compromessa e martoriata da un evento passato che ha determinato la formazione della personalità della protagonista e il suo corpo segnato dalle cicatrici dei maltrattamenti e delle violenze subite da giovane non è altro che la raffigurazione delle ferite che gravano nel suo intimo e che hanno cambiato per sempre la sua vita.

Signore e signori, siamo di fronte ad uno di quei rari prodotti che possono essere definiti un capolavoro, perfetto in ogni suo minimo dettaglio, dallo script di Kim Eun-sook (meravigliosa autrice delle sceneggiature di Goblin, The King – Eternal Monarch e Descendants of the Sun), alla regia asciutta – quasi eastwoodiana – di Ahn Gil-ho (quel genio registico di Memories of the Alhambra e di Happiness), al chiaroscuro fiammingo della luce e della fotografia, alle allegorie disseminate ovunque. Per non parlare dell’interpretazione perfetta e sopra qualsiasi livello medio da parte di tutti gli attori: Song Hye-kyo (Descendants of the Sun, Encounter, Now We Are Breaking Up), probabilmente nel ruolo della vita per eccellenza, un corpo fatto solo di nervi e ferite, che, quasi senza trucco, indossa fieramente le sue rughe di espressione; Lee Do-hyun (Sweet Home, Melancholia, 18 Again, Youth of May), intelligente, determinato e fragile, calorosamente sorridente nel suo freddo calcolo; Lim Ji-yeon (Money Heist Korea – II parte), perfida e mefistofelica villain con tacchi verde veleno; Yum Hye-ran (Chocolate, When the Camellia Blooms, Alchemy of Souls), sofferente e imperiosa nel suo perenne martirio fisico e interiore; Jung Sung-il (Bad and Crazy, Our Blues), autorevole nella sua dignità ferita; Park Sung-hoon (Jelously Incarnate, Rich Man), una belva fuori dalla gabbia; Kim Hieora (Bad and Crazy, Beyond Evil), nella sua mistica di perdizione; Cha Joo-young (Again My Life, Wok of Love) e Kim Gun-woo (Fight for My Way, Record of Youth) nell’atroce e gregaria mancanza di personalità dagli risvolti conclusivi.

I simbolismi e le allegorie non sono solo disseminati ovunque per tutto il drama, ma sono presenti a grandi dosi nelle locandine che hanno annunciato le due parti, in cui è stata divisa la storia (e, pertanto, seguiremo la medesima divisione anche per la recensione presente).

PARTE PRIMA

La protagonista, con un lungo e lugubre abito nero (peraltro mai indossato durante il drama), che la copre come un drappeggio, siede da sola sotto un albero (l’albero della vita o meglio l’albero del bene e del male). Appesi ai rami una serie di oggetti, come indizi disseminati per comprendere i misteri presenti all’interno del drama: le iconiche scarpe col tacco di colore verde della nemica, dello stesso colore dell’invidia e del veleno; le sneackers da ginnastica che appartengono ad un passato criminale; la piastra rossa con cui la protagonista veniva torturata; un bisturi medico, possibile arma del suo boia; un orologio d’oro, come quello che il suo ex preside aveva ricevuto in regalo per espellerla; una matita blu del suo antico sogno di diventare architetto; una borsa shopping blu… In alto, un sole e una luna stilizzati, a simboleggiare i due opposti, che sembrano cuciti in una trama a metà tra l’arazzo e la tela dipinta ad olio. In basso, accanto alla protagonista che quasi incrocia le sue braccia in segno di chiusura, il gioco del Do, gli scacchi cinesi, che diventerà importante per la realizzazione del suo piano di vendetta. Tutti intorno sui rami dell’albero, fioriscono delle ipomoree, pianta rampicante anche nota come campanula o campanella o Morning Glory (gloria del mattino), perché i suoi fiori sbocciano di notte e inebriano del loro odore le primissime ore del mattino. Il colore bianco, con tocchi di rosato, a simboleggiare la purezza dell’animo ferito.

Moon Dong-eun (Jung Ji-so di Parasite) è una ragazza povera, con una famiglia inesistente, ma con il sogno di realizzarsi grazie agli studi. La sua apparente fragilità nei confronti dei compagni di scuola ricchi e violenti la rende la vittima perfetta per il loro bullismo. In particolare, se la prende con lei la banda di bulli capitanata da Park Yeom-jin (Shin Ye-eun di Meow – Ragazzo Speciale), che la sottopongono ad una serie di abusi e di sevizie, bruciature con piastra compresa. Quando Dong-eun ha il coraggio di ribellarsi e di denunciare i fatti, insegnanti e personale scolastico la ignorano, mentre sua madre (interpretata da un’agghiacciante e bravissima Park Ji-a, attrice che proviene dal cinema d’autore di Kim Ki-duk e che raramente sceglie ruoli televisivi) accetta di buon grado dei soldi per far ritirare da scuola la figlia minorenne a causa di “incompatibilità ambientale”. Dong-eun si allontana dalla madre e giura che concentrerà la sua vita solo sulla sua vendetta nei confronti di chi l’ha fatta soffrire: “Non progetto di diventare una persona migliore. Divento una persona peggiore giorno dopo giorno“. Diventata adulta (e interpretata da Song Hye-kyo), dopo anni di privazioni e di lavori umili, riesce a diplomarsi e ad andare all’università per diventare insegnante elementare, ma s’imbatte casualmente in Joo Yeo-jeong (Lee Do-hyun), giovane studente di medicina ed erede di un’enorme fondazione ospedaliera, ma con problemi di adattamento e di depressione, dovuti a segreti sofferti di un passato violento. Yeo-jeong insegna a Dong-eun il gioco del Do, ovvero la strategia e la pianificazione, che la aiuteranno nel tempo a progettare la sua vendetta. Anni dopo, infatti, Dong-eun fa una serie di scelte oculate per avvicinarsi ai suoi ex carnefici, destinati a diventare le sue vittime: si trasferisce nella stessa città, ottiene un posto di insegnante nella scuola della figlia di Park Yeom-jin (ora interpretata da Lim Ji-yeon) e finisce per giocare a Do con suo marito, Ha Do-yeon (Jung Sung-il). Ma, soprattutto, diventa un incubo per tutti i suoi ex compagni di scuola: il ricco e prepotente Jeon Jae-joon (Park Sung-hoon), lo spacciatore Kim Gun-woo (Son Myeong-oh), l’hostess Choi Ye-jeong (Cha Joo-young), l’artista Lee Sa-ra (Kim Hieora). Nel suo piano, trova un’imprevedibile assistente, Kang Hyun-nam (Yeom Hye-ran), una domestica che subisce maltrattamenti da parte del marito e che ha deciso di dare un futuro migliore alla figlia grazie all’aiuto di questa misteriosa signora quasi vicina di casa: è lei che raccoglie materialmente tutte le informazioni di cui Dong-eun ha bisogno per invischiare nella sua trama di ricatti e di minacce i suoi nemici e per metterli, lentamente, gli uni contro gli altri. Hyun-nam, però, non è l’unico aiuto inaspettato che arriva dal cielo a Dong-eun. Sulla strada, ricompare di nuovo Joo Yeo-jeong, ora chirurgo estetico con una carriera ben avviata, che, nonostante sia stato abbandonato anni prima senza spiegazioni, le offre il suo supporto e la sua amicizia: “Non ho bisogno di un principe, ma di un boia che danzi con la spada insieme a me“, gli dice Dong-eun quasi per allontanarlo; “Sarò il tuo esecutore sotto il tuo comando reale. Ti mostrerò la mia danza selvaggia con la spada“, le risponde Yeo-jeong, mettendosi al suo servizio come un vassallo con un signore feudale.

PARTE II

Inferno dantesco come se fosse ritratto da un’acquaforte di Doré: la selva infernale in cui si smarrisce Dante ricopre tutta la parte destra della locandina, dove si infittisce la vegetazione, mentre sul fondo si intravedono un lago (l’Acheronte?) e una montagna (il Purgatorio che simboleggia il raggiungimento della salvezza?). Una luce di taglio che proviene dall’alto da sinistra sembra il giudizio divino che illumina appena i volti dei protagonisti. I personaggi sono quasi tutti ritratti in gruppi da due (forse per come si incroceranno i loro destini nel momento più estremo?), tranne Kang Hyun-nam, che è da sola in mezzo al folto dell’oscurità con le palme, simbolo del suo martirio continuo, che cingono la sua figura. Solo i tre esecutori della vendetta sono vestiti di chiaro (che diventa bianco per la protagonista, al contrario del nero della prima locandina). Gli sguardi di Hyun-nam e Yeo-jeong sono rivolti verso Dong-eun, che guarda fissa davanti a sé. Jae-joon e Gun-woo sbucano dal buio della selva come le belve che Dante incontra prima di imbattersi in Virgilio (tra l’altro, Jae-joon veste uno spolverino di pelle, mentre la giacca maculata di Gun-woo sembra ricordare il vello della lonza dantesca). Sa-ra e Ye-jeong, pur essendo vicine e vestite del medesimo blu, non si guardano nemmeno (prefigurazione di un’inimicizia tra i vecchi carnefici che si profilerà sempre di più con l’avanzare degli episodi), ma una tiene una mano sulla spalla dell’altra (influenza sul reciproco destino). Yeom-jin, unica vestita di un pallido arancione con un abito lungo, un colore associato alla nobiltà e alla regalità in Oriente, guarda frontalmente come Dong-eun, ma cerca il conforto della mano del marito Do-yeon, che sembra, però, sfuggirle, unico a vestire di nero e ad osservare con sguardo severo, come il giudice Minosse quando seleziona le anime per l’Inferno. In fondo, arrampicato sul tronco di un albero, un serpente come diabolico tentatore dell’Eden (serpente che farà la sua reale apparizione in una delle scene più forti e più inquietanti della seconda parte). I fiori Morning Glory sono disseminati ovunque, in macchie chiarissime di colore che vanno dal bianco all’azzurro pallido.

From now on, every single day will be a nightmare. They’ll be provocative and terrifying. You can’t stop me or make me disappear. I’m planning on becoming a very old rumor of yours. Ovvero: è iniziata la reale vendetta di Dong-eun, fredda, spietata, contorta, eppure così razionale e logica, implacabile nel non sporcarsi mai le mani del sangue nemico, ma nel prevedere sempre e costantemente le mosse altrui. Come un generale in battaglia, Dong-eun mette in atto i precetti di Sun Tzu e agisce contro i suoi avversari non tanto distruggendoli direttamente, ma portandoli all’autodistruzione e/o alla reciproca distruzione. E qui non posso rivelare altro, perché qualsiasi narrazione sarebbe spoiler e perché The Glory è un drama che va visto e divorato, episodio dopo episodio, con una tensione quasi inebriante. L’unico spoiler che posso fornire è l’immagine seguente (da capire solo dopo la visione):

Ma che cos’è, dunque, la Gloria? E, soprattutto, esiste veramente una Gloria? Una riflessione viene fornita dal personaggio di Park Sang-im (interpretata da Kim Jung-young, già vista in One Spring Night, Eve e Do You Like Brahms?), quando pensa alla morte violenta e senza motivo del marito, un uomo buono che aveva deciso di applicarsi a salvare il prossimo nella professione medica. Non esiste gloria nel preservare la bontà, non esiste riconoscimento su questa terra. Però, non esiste alcuna gloria nemmeno nell’affondare il coltello nel petto altrui, se non una profonda e convinta decadenza. L’unica gloria è nella ricerca delle proprie ragioni e della giustizia, nel ristabilite la bilancia e l’equilibrio dei torti (qui in un’etica del tutto confuciana) per cui non agisci, se non vuoi subire, ma il crimine commesso si ritorce contro, come una punizione divina e karmatica. La gloria sta nel ristabilire gli equilibri con la desistenza e la tattica, agendo senza agire, colpendo senza ferire, e nel capire appieno che ogni azione provoca reazioni incontrollabili. Ma la gloria sta anche e soprattutto in noi stessi.

La storia o, meglio, le storie narrate dal drama (perché al caso della protagonista se ne intrecciano altri di crudo e violento bullismo) possono sembrare esagerate, ma, nella realtà, il bullismo scolastico è diventato una problematica molto seria in Corea del Sud, tanto che le istituzioni hanno più volte ordinato l’instaurazione di commissioni ad hoc per studiare e prevenire il fenomeno, scrivendo tanti report che contengono casi e storie ancora più violente e terribili di ciò che viene narrato in questo drama. Le campagne per la prevenzione della violenza scolastica sono molte, ma non sono ancora sufficienti per contenere un atteggiamento fomentato da una società fortemente spaccata e con divari segnati tra ricchi e poveri o tra persone di famiglie storiche e persone di famiglie non altolocate. Lo strumento cybernetico pare aver incentivato la propagazione del fenomeno, fomentando il cd. cyberbullism e altri atteggiamenti negativi e abusivi della personalità psicologica altrui, spostandosi dalle scuole ad altri ambienti. Di cyberbullism sono stati vittime anche personaggi noti, come la cantante Sulli, che, anni fa, coinvolta in una spirale depressiva dopo aver subito attacchi in rete e critiche di ogni tipo, si è tolta la vita ancora giovanissima. Scuola ed esercito, però, sembrano gli ambienti dove spaccature sociali e prevaricazioni si sono insediate di più nelle dinamiche violente tra gli studenti e storie come quella ritratta in The Glory (o, nel caso dell’esercito, in D.P.) sono spesso dirompenti nel denunciare diversi casi e portarli alla cronaca per evitarne la ripetizione. Dal 1995, sul territorio sudcoreano opera la Foundation for Preventing Youth Violence, aperta da Kim Jong-ki, padre di un ragazzo vittima di bullismo che si è tolto la vita a soli 16 anni. Il 2 agosto 2019, la sua fondazione ha vinto il Ramon Magsaysay Award, l’equivalente del Nobel per la Pace in Asia (per la descrizione del suo operato e del suo riconoscimento, leggete qui). E noi ci auguriamo che il suo lavoro possa scuotere le fondamenta della società sudcoreana, sconfiggendo una piaga che nessuna società dovrebbe avere.

Curiosità 1: mentre le scene di nudo (un quasi full frontal dell’attrice Cha Joo-young) sono state ricostruite utilizzando la computer grafica e il green screen – perché in Corea del Sud è proibito mostrare ad orari televisivi scene allusive -, il serpente che appare nell’inquietante frammento già citato è stato reale e ha recitato con i protagonisti sul set; tuttavia, il drama ha ricevuto una censura per i minori di 16 anni su tutti i servizi streaming.

Curiosità 2: il daltonismo – di cui è affetto uno dei personaggi del drama e la figlia dell’antagonista – è una patologia congenita che porta alla confusione, all’insensibilità e alla scarsa sensibilità ai colori e, solitamente, colpisce gli uomini, ma in qualche raro caso può colpire anche le donne (solo l’1%); infatti, visto che il daltonismo si lega al cromosoma X (e mai al cromosoma Y), perché un uomo ne sia affetto, basta che il suo cromosoma X contenga l’allele del daltonismo, una donna con la medesima patologia deve avere entrambi i cromosomi X con l’allele del daltonismo, per cui è necessario che nasca da madre portatrice sana e padre daltonico. Questa rara condizione, praticamente, lo rende un test genetico valido quasi al 100% sulla paternità.

Consigliato: a chi non teme scene pulp e gore, né le storie di vendetta; a chi vuole fare una sacra discesa nel baratro per risalirne e liberarsi completamente; a chi, soprattutto, ha deciso di vedere una nuova immagine di Song Hye-kyo, bella nella sua naturalezza e nella sua sofferenza, ma anche una maschera drammatica nella sua immobilità.

Captain-in-Freckles