“If you win, you live. If you lose, you die. If you don’t fight, you can’t win”.
Se siete qui, non solo il titolo Attack on Titan (in Italia noto come L’attacco dei Giganti, in Giappone – e non solo – come Shingeki no kyojin, originale 進撃の巨人) non vi è nuovo, ma in un certo momento della vostra vita siete entrati nel gorgo degli 89 episodi (e oltre) di questa meravigliosa e immaginifica opera visiva di Hajime Isayama, valutata in modo quasi unanime come uno dei manga/anime migliori degli ultimi tempi. E, una volta entrati nel gorgo, non siete più riusciti ad uscirne indenni. Perché Attack on Titan è così: una prova di sopravvivenza, claustrofobica e vertiginosa come saltare sui tetti con i dispositivi di manovra dei protagonisti, inebriante e cupa, sofferente e intima nel suo fracasso interiore. Insieme ad Eren avete promesso che avreste sterminato tutti i giganti, insieme ad Armin avete tentato di esplorare il mondo in mezzo ai libri, insieme a Mikasa vi siete legati alla nostalgia del passato con una sciarpa rossa, insieme ad Erwin e al Corpo di Ricerca avete offerto i vostri cuori. Siete caduti e vi siete rialzati, avete pianto amici e stimato nemici, avete provato forti dolori, ma avete puntato su un futuro meraviglioso, quella ricerca del mondo fuori le mura, nella convinzione che esista qualcosa al di fuori di quell’instabile e infernale Paradiso, avete cercato il mare, come la promessa di una speranza, dove acqua e cielo di congiungono sulla linea dell’orizzonte.
Avete pianto per le prime tre stagioni, di cui abbiamo già parlato nell’articolo Attack on Titan – recensione senza spoiler, e adesso siete andati oltre il mare per affrontare la quarta stagione e avvicinarvi all’epilogo finale. Se avete già letto il manga e per voi il mondo di Isayama non ha più segreti, allora date un’occhiata al nostro commento finale nell’articolo Attack on Titan – recensione con spoiler. Se, invece, state guardando o avete appena guardato la quarta stagione, ma state attendendo ancora il gran finale, allora prendete un respiro di sollievo e preparatevi con il teaser giusto:
La quarta stagione è concettualmente divisa in 4 parti, di cui solo le prime tre sono state trasmesse dal 2021 al 2023 in streaming in tutto il mondo (la quarta parte, probabilmente costituita da un film, andrà in onda per la fine del 2023 e ci troverà pronti a commentarla). Quello che accomuna tutti gli episodi della quarta stagione è il salto temporale: sono passati esattamente 4 anni da quando Eren è entrato nella cantina del padre e ha letto tutti i suoi appunti, da quando Hanji e Levi hanno comandato lo sterminio di tutti i giganti sull’isola e i nostri eroi sono riusciti a raggiungere il mare. Quattro anni dallo sguardo di Eren che guarda l’orizzonte in modo triste e malinconico, quasi prefigurazione degli eventi che accadranno, mentre i suoi amici si divertono a vedere il mare per la prima volta. Un gap temporale che viene colmato con flashback disseminati all’interno di tutta la quarta stagione per farci capire cosa è accaduta nell’animo di Eren, tanto da farlo trasformare.
La prima parte si apre anche in un luogo ignoto per lo spettatore, anche se sempre citato come incubo per i protagonisti. Si tratta del famigerato Stato di Marley, che, dopo aver subito una brutta sconfitta da parte dell’esercito di Erwin (finale della terza stagione), è stato costretto alla ritirata, ma si è trovato in guerra con tutti gli Stati confinanti che hanno messo in dubbio la sua supremazia militare e hanno sperimentato armi anti-gigante. Qui conosciamo le giovani leve eldiane dell’esercito marleyano: la riservata Zofia, l’intelligente Udo, il sensibile Falco e la temeraria Gabi (personaggio che, volente o nolente, amore od odio, ci rimarrà impresso fino alla fine). Qui ritroviamo anche Zeke Jaeger, lo stratega dell’esercito marleyano, possessore del Gigante Bestia, e Reiner Braun con il suo Gigante Corazzato, che, per la verità, è sempre turbato e quasi sull’orlo del suicidio. Qui conosciamo anche la signorina Pieck, possessore del Gigante Carro (ve lo dico, in una manciata di episodi, è diventata immediatamente uno dei miei personaggi preferiti, con la sua grazia e la sua pragmaticità) e Pokko, il nuovo possessore del Gigante Mascella (Ymir, ci mancherai). Solo che nel centro di Marley, camuffato tra i soldati che hanno subito ferite e danni psicologici, privo di una gamba e guercio da un occhio, con i capelli lunghi e la barba, quasi come un barbone, ritroviamo anche un Eren Yaeger irriconoscibile e in missione volontaria, deciso ad iniziare una guerra tutta sua contro chi ha sempre oppresso il suo popolo. Solo che Eren non è più il ragazzino privo di esperienza e con tanto entusiasmo di anni prima: è diventato saggio, cupo, quasi ieratico, introverso e crudele. Non capiamo da subito la sua trasformazione, ma iniziamo ad essere trasportati nella sua mente, quando, ferito e pronto a trasformarsi in gigante, stringe la mano ad un terrorizzato Reiner, sussurrando, come se fosse una preghiera imperdonabile: “Vedi, Reiner? Io sono proprio come te”. Sappiamo che è iniziata la guerra di Eren, come ci anticipa My War, l’opening marziale e quasi caotica, con immagini che ci richiamano momenti tristi della storia mondiale, con un bianco e nero documentaristico, spezzato dai colori delle bombe.
In 16 episodi, che vanno dall’introduzione Al di là del mare, che ci porta per la prima volta a Marley tra le trincee di guerra e nel ghetto in cui vivono gli Eldiani (con tanto di fascia identificativa sul braccio), fino a Cielo e Terra, che ci fa temere per tutto, compresa la vita di Levi Ackerman (ma lui resiste o sarei andata da Isayama a fare un bel discorsetto in merito e, se non conoscete la mia passione per questo personaggio, potete recuperare il suo elogio in Levi’s Supremacy), si concentrano tantissimi avvenimenti che portano avanti e indietro nel tempo per destabilizzare completamente lo spettatore. Tanti momenti esaltanti (come l’arrivo a Marley dei Demoni di Paradise guidati da Mikasa Ackerman, bellissima nel suo nuovo taglio di capelli e la divisa total black, letale contro uomini e giganti con la sua sciarpa rossa avvolta intorno al collo, profondamente sofferente per il cambiamento di Eren, che non riesce a capire o, meglio, che teme di capire troppo). Tante le lacrime (da Armin che piange perché, complice la guerra, ha dovuto sterminare persone innocenti, alle ultime parole di Sasha, l’amica che tutti avremmo voluto sempre al nostro fianco, a Niccolò che non è un guerriero, ma supera qualsiasi divisione etnica e razziale con il suo amore e, personalmente, è diventato il mio eroe dal punto di vista umano). Tante le rabbie (la piccola Gabi, cresciuta nell’odio, l’infame Floch – trovatemi un personaggio anime più odioso di lui e del suo ciuffo rosso -, Zeke, che raggiunge sempre vertici di altissimo e personale odio, fino alla sua spilungona ancella). Tanti i timori e i dubbi, che non ci fanno più distinguere i buoni dai cattivi e si riflettono nell’ending Shock…
La seconda parte è ancora più concentrata, ma ancora più destabilizzante. Mentre lo scenario è tornato ad essere quello dell’isola di Paradis, dove Eren sta mettendo in atto il suo ultimo atto, aiutando (o forse no) il fratello maggiore Zeke, e la linea del tempo sembra quasi continuativa, luogo e tempo, improvvisamente, si annullano per farci conoscere quello che è sembra stato il personaggio principale della storia di Eldia, sebbene rimasto quasi muto: la fondatrice Ymir, schiava condannata alla morte e salvatasi con la sua trasfigurazione in gigante, anima incastrata in vita dall’obbedienza ad un re che non l’amava e in morte dal suo ignoto peccato originale, progenitrice del popolo di Eldia e unica abitante della dimensione della Coordinata. Il suo urlo di dolore si riflette nella caduta consapevole di Eren, anche lui trasfigurato nella sua missione e nella sua dannazione salvifica, un corpo inumano sulla terra con un’anima che risiede ormai in un’altra dimensione, come ci dimostra l’opening quasi urlata Rumbling, uno dei pezzi più drammatici che ci ha regalato questa serie.
Al di fuori della dimensione della Coordinata, dove i due fratelli si confrontano e viaggiano nei ricordi di un “futuro passato” per decifrare i pensieri del padre, ma soprattutto per decifrare se stessi (“Io sono sempre stato così, Zeke“, dice Eren al fratello maggiore, lasciandolo di stucco per il suo piano), nel mondo reale: Hanji recupera (letteralmente) i pezzi di Levi, che nessuno sa come possa essere sopravvissuto dall’esplosione, ma, ricucito, bendato e infermo, non ha ancora perso la voglia di lottare e di riprendersi la vita in mano (per la cronaca, voi due siete sempre stati la mia ship preferita, nonostante ci abbiate impiegato vent’anni per NON dirvi nulla a vicenda, se non la vostra dimostrazione di stima reciproca e quel tentato “Ma perché non abbandoniamo tutti e rimaniamo a vivere nei boschi?“, ma non importa); Pieck (con un coraggio da vendere, mantenuto con compostezza ed eleganza), prima, inganna Eren e gli Yaegeristi per salvare i bambini e, poi, guida la guerra con un’intelligenza tattica da fare invidia a molti; Mikasa e Armin devono compiere una scelta, ovvero se stare con l’amico di sempre o se mettersi contro di lui e, ancor di più, se stare con il popolo eldiano contro l’umanità o salvare l’umanità e condannare il proprio popolo, e Connie deve capire se vale la pena uccidere un innocente per un’esigua possibilità di salvezza. Mentre tutti si preparano a morire con convinzione, ma anche a cambiare costantemente fazione, Annie improvvisamente si sveglia. Così, dopo decine di episodi e oltre quattro anni di coma, senza quasi preavviso e quando ormai avevamo perso le speranze, decide di “scongelarsi” letteralmente e di farci ricordare che grande personaggio è sempre stato, con la sua forza nel corpo minuto, la sua ostinazione e il suo costante affetto per il padre, introversa, eppure disponibile ad ammettere senza imbarazzo le sue paure, perché è umana e non riesce a contenere le proprie emozioni con la freddezza di Mikasa e, quando è costretta a combattere, afferma sempre che la sua vera indole sarebbe quella di fuggire. Questa umanità e questa grandezza nel delirio più atroce emergono e ci aiutano ad avvicinarci ai personaggi, anche a quelli minori, a vivere e a soffrire con loro: con Dot Pyxis, condannato dal vino avvelenato, ma guida della resistenza fino alla fine; con Magath e Shadis, due nemici che si stimano e si alleano per un bene più grande; con Nile del Corpo di Gendarmeria, che pensa alle sue bambine che renderà orfane fino alla fine; con la famiglia di Sasha, che conosce il valore della vita, anche se non ha mai combattuto sul campo. Umanità e grandezza, che emergono nei momenti più impensabili, in quelli in cui vorremo stare tranquilli a non pensare, senza essere costretti a prendere scelte, ma che, alla fine, costituisce il vero discrimine per l’eroismo: come dice Jean, che non a torto è uno dei miei personaggi preferiti in assoluto e anche uno dei personaggi con la migliore evoluzione in tutta la storia, “Avrei voluto stare seduto su quel letto con le mani sulle orecchie per non sentire… Invece, ho tolto le mani e non potevo più nascondermi“.
La scelta, l’umanità, il dolore. Mikasa si toglie la sua sciarpa rossa, affronta da sola anche gli ex compagni d’arme, uccide senza pietà per salvare i piani genocidi degli Yaegeristi, rinuncia al proprio amore terreno, per preservarne la sua purezza. Torna indietro nel tempo: i suoi ricordi coprono quel gap temporale di quei quattro anni che i flashback non ci avevano ancora mostrato. Nella nuova missione a cui sa di essere destinata (uccidere Eren), custodisce le sue memorie e inizia a comprenderlo. “Il mondo è un posto crudele, ma è anche un posto bellissimo“, aveva detto Mikasa già dalla prima stagione. “Il mondo è ancora crudele, ma io continuo ad amarti“, sembra farle eco Eren nelle sue memorie. L’ending Akuma no ko (A Child of Evil) è uno dei pezzi più struggenti che sentirete mai nella vostra vita.
Questa confluenza tra passato e futuro coincide con la chiusura della seconda parte e l’apertura della terza parte, due soli episodi lunghi (88 e 89), che è anche possibile unire insieme, come in un film sotto il titolo I capitoli finali. Mikasa ricorda quando un anno prima hanno partecipato alla Conferenza di Pace ed Eren, dopo che sembrava aver aperto il proprio cuore e aver offerto la propria amicizia, era sparito per nascondersi a Marley ed iniziare ad attivare il suo terribile piano. Ovvero: ricorda il turbamento di Eren, la sua angoscia in crescita giorno per giorno, come se recuperasse antichi e atavici ricordi che non sapeva di possedere, il suo incupirsi ed isolarsi, la sua consapevolezza di dover cambiare il mondo, il suo odio triste e cieco. Mikasa ricorda com’è cambiato Eren già anni prima, quando aveva dichiarato che non voleva che i suoi amici ereditassero il suo Gigante, perché li amava più di se stesso e perché non era giusto un sistema che costringe i figli a divorare i propri genitori. Ricorda la sua disperazione giorno per giorno, il suo tentativo di estirpare l’umanità dalla sua anima in un’aporia ascetica e inquietante, il suo viaggio di non ritorno per l’oscurità, la sua aspirazione per la libertà: “Se gli altri vogliono rubarmi la libertà, io ruberò, invece, la loro libertà“. Ma è possibile valutare in qualche modo la libertà? A cosa siamo disposti ad arrivare per preservare la nostra libertà? Qual è il valore della vita umana? Come può un popolo costretto ad una cattività fisica e morale riprendersi la propria libertà?
L’inarrestabile Boato della Terra, la marcia dei Giganti Colossali che miete vittime in modo indiscriminato, continua e, nella sua spiegazione sulla libertà, Eren lascia ai suoi compagni la facoltà di decidere di se stessi e del proprio destino, liberi di ucciderlo per fermarlo. E i suoi vecchi amici fanno una scelta e si elevano nella loro libertà di salvare il resto dell’umanità, anche coloro che avevano condannato il proprio popolo. La OST Under the Tree che segue tutto l’andamento del film finale mette i brividi in questa elevazione morale e spirituale degli ultimi combattenti per l’umanità.
In tutta questa drammaticità e dopo innumerevoli colpi di scena, c’è un momento in cui, se non ammettete di aver pianto, allora mentite: Hanji, magnifica e immensa comandante di fronte ai Giganti Colossali, pronta a raggiungere il paradiso degli eroi con il suo scherno e la sua vivacità; Levi, che per la prima volta per salutarla, offre il suo cuore alla causa (seguendo il famoso motto di Erwin, “Offrite i vostri cuori“). Se non avete pianto in questo momento, mentite spudoratamente.
Captain-in-Freckles




Una opinione su "Attack on Titan: The Final Chapters (Part 1)"