“Anche se non puoi più vedere qualcuno, non significa che non è più con te. Fino a quando rimane il ricordo, non se ne andrà mai veramente”.
Raramente si raggiunge una perfezione narrativa e una sensibilità come quelle mostrate da questo piccolo e conciso drama, un gioiello di 10 episodi, ognuno quasi un capitolo a sé stante, che diventano, insieme, tanti piccoli pezzi di puzzle per costituire un unico e autentico saggio sulle emozioni umane, sulla capacità di superare i propri traumi e le tristezze con la potenza salvifica del ricordo che entra nelle vite dei protagonisti come riscoperta di se stessi e della propria umanità, talvolta sopita, rinchiusa quasi nello scantinato del nostro inconscio, celata dietro una complessa facciata di fredda amarezza per timore di mostrare le proprie insicurezze e le proprie debolezze. Al contrario, come si impara in questa storia, non c’è nulla di più forte e di più bello dell’animo umano, che scende dalla sua posizione arroccata e mostra la propria splendida fragilità, nella sua compassione verso gli altri e nella capacità di emozionarsi, piangere, crollare e, poi, risollevarsi, ma anche nel suo potere di guarire gli altri e di auto-guarirsi, di fare tesoro delle proprie memorie e delle proprie tristezze per costruire un futuro luminoso, che non dà mai per scontato nulla.
Han Jeong-woo (un meraviglioso Ji Jin-hee, il presidente ad interim protagonista di Designated Survivor: 60 Days, che, già da solo, con un timido e melanconico sorriso e con un cenno di approvazione, riesce a farci piangere anche le lacrime che non sapevamo di avere) è un professionista della pulizia del trauma: la sua agenzia di pulizie, dal nome quasi metaforico “Move to Heaven”, interviene quando è morta una persona per guardare, catalogare e riordinare (“pulire”, appunto) i suoi ricordi materiali, al fine di custodire e conservare il ricordo inteso come la memoria stessa del defunto agli occhi dei suoi affetti, più o meno vicini o familiari. Il suo lavoro consiste in una “pulizia del trauma” che è anche superamento del lutto: con profondo rispetto, Han Jeong-woo entra in punta di piedi in una stanza, si inchina, prega e domanda all’anima del defunto il permesso di avvicinarsi e prendere in mano i suoi ricordi, con la missione non solo di aiutare nel trauma i suoi cari, ma anche e soprattutto di alleggerire la sua anima (leggasi: la sua memoria) ad andare oltre. Nel suo particolare lavoro, Jeong-woo è coadiuvato dal figlio ventenne Geu-ru, che si trova nello spettro autistico (bravissimo Tang Jun-sang, il soldato nordcoreano diciassettenne in Crash Landing on You, anche protagonista di Badminton Club) e con cui è spesso solito comunicare nella lingua dei segni. Un giorno, Han Jeong-woo, già malato di cuore, muore improvvisamente e lascia la tutela provvisoria del figlio (sei mesi con valutazione finale) al fratellastro Cho Sang-gu (Lee Je-hoon, l’incredibile protagonista di Taxi Driver), con cui in passato ha avuto delle incomprensioni non risolte. Cho Sang-gu è esattamente l’antitesi del fratello: è un ex pugile da bisca clandestina abituato a scommettere contro se stesso, beve, fuma, è sarcastico e irriverente e, soprattutto, è appena uscito dalla prigione. Le condizioni del testamento di Jeong-woo sono numerose e prevedono che Cho Sang-gu lavori presso la “Move to Heaven” sotto la direzione di Geu-ru, che viva con lui e si adatti ad ogni sua più piccola azione, compreso dormire in una tenda da campeggio in sala o non potersi sedere al tavolo per mangiare, perché Geu-ru rispetta ancora tutte le ritualità che aveva con il padre e, ogni giorno, prepara per lui il letto, la divisa da lavoro e la colazione, ma soprattutto segue tutte le azioni del padre nella “pulizia del trauma”. La convivenza zio-nipote inizialmente non è idilliaca, anche perché Sang-gu è abituato a nascondere se stesso dietro una maschera di falsa arroganza e di spavalda durezza, mentre Geu-ru accetta controvoglia una figura che pare distante dal modello di comprensione emotiva del padre. Del resto, però, si ricorda che “papà diceva che una persona è buona solo se ha la capacità di comprendere gli altri” e, poco per volta, inizia ad affezionarsi a quello zio strambo e un po’ irascibile, che, nel profondo, non sopporta le ingiustizie e si spende in prima persona per gli altri, ma che non riesce a sopportare l’onere dei ringraziamenti.
Tanti i personaggi che ruotano intorno a questa piccola famiglia e al suo progetto di liberare i ricordi e le anime, su cui aleggia sempre la presenza di Jeong-woo (che appare in flashback per tutto il drama): la vicina di casa e migliore amica Yoon Na-mu (Hong Seung-hee, la nipote del protagonista di Navillera), che si chiama come un albero, “la seconda cosa più bella e gentile del mondo” secondo Geu-ru, iperprotettiva, ipersensibile e anche ipersuscettibile (il suo “caratteraccio” ci regala dei siparietti impagabili con Sang-gu); l’avvocato e azionista della “Move to Heaven” Oh Yoon-chang (Im Won-hee, caratterista d’eccezione della TV coreana, già visto in Chief of Staff, You’re All Surrounded, Strong Girl Bong Soon, Wok of Love, Crazy Love e tanti altri drama), che sorveglia Sang-gu perché diffida del suo comportamento esemplare e che, alla fine, è il primo a commuoversi di fronte al sincero attaccamento che si costruisce tra zio e nipote; il camionista Park Joo-taek (Lee Moon-sik, uno dei veterani del cinema coreano, abituato ad impreziosire di recente diversi drama con un suo cameo, in primis in Healer), profugo nordcoreano aiutato dal Jeong-woo e collaboratore della “Move to Heaven”; e tanti altri.
Come anticipato, ogni episodio presenta una storia a sé, un incontro della “Move to Heaven” con la pulizia del ricordo di un defunto, un’immersione completa per conoscere l’anima della persona da aiutare e di coloro che stavano/stanno attorno, un piccolo caso da ricostruire e da eviscerare: quasi con il metodo dell’investigazione giallistica, Geu-ru mette in pratica i metodi di suo padre per cercare di “sentire” le anime dei defunti e i loro sentimenti e per metterli in contatto, anche solo per un frammento di ricordo, con coloro che possono conservarne la memoria, facendosi portavoce di messaggi che vanno dritti al cuore. Ogni episodio è una vera e propria catarsi sia per lo spettatore che per i protagonisti e, nella comprensione del prossimo e dei suoi traumi, aiuta a comprendere se stessi e a superare il proprio trauma interiore. Tutti gli episodi, infatti, tessono finemente una tela che porta dritti al cuore di Sang-gu, che non ha mai superato l’incomprensione con un fratello avvertito come distante e troppo perfetto, da cui si è sentito rifiutato, ma che ha sempre vissuto anche nell’auto-punizione di sé per l’incidente accaduto al suo ex allievo di pugilato (interpretato dal Lee Jae-wook di Alchemy of Souls, Alchemy of Souls: Light and Shadow e Do Do Sol Sol La La Sol, che riuscirà a farvi piangere per almeno 60 minuti di fila). Tutti gli episodi costruiscono anche il percorso formativo di Geu-ru, perché quei mesi di convivenza con suo zio sono stati concepiti dal padre come il suo personale processo di auto-guarigione e di superamento del lutto, l’impressione di una memoria che non svanirà mai, ma che aiuterà a proseguire la propria vita. “Ognuno è responsabile della propria vita” è l’insegnamento finale che lascia il padre e che Geu-ru comprende piano piano, aiutando i clienti della “Move to Heaven” e lo zio e scoprendo che la sua responsabilità consiste in un’umanità e una sensibilità che il mondo sembra negare.
“Move to Heaven” o, meglio, “Move to Heaven: I am a Keepsake Organizer” (무브 투 헤븐: 나는 유품정리사입니다; Mubeu tu hebeun: Naneun Yupumjeongnisaimnida) è un drama del 2021 prodotto da Netflix e ispirato al saggio “Things Left Behind” di Kim Sae-byul, ex professionista della “pulizia del trauma” appunto, che, in qualche modo, ha raccontato le sue esperienze nella rimozione del lutto e nella preservazione del ricordo dei defunti. Il libro, così come l’adattamento televisivo, in patria sono stati un successo unanime di pubblico e critica e hanno regalato ai protagonisti (su tutti Lee Je-hoon), allo sceneggiatore (Yoon Ji-ryeon) e al regista (Kim Sung-ho) diversi prestigiosi premi (tra cui gli Asian Content Awards, gli Asian Academy Creative Awards, i Blue Dragon Awards, i Director’s Cut Awards). Tang Jun-sang ha vinto l’APAN Award nel 2022 come migliore attore esordiente e siamo convinti che sia il primo di una lunga serie di successi per questo giovanissimo interprete.
Consigliato: a tutti coloro che sanno dare importanza ai ricordi e alle persone che non ci sono più, perché sanno che la potenza delle memorie del passato dà una nuova vita nel futuro e perché solo il ricordo può aiutare a guarire noi stessi e a riscoprire la nostra forza d’animo.
Captain-in-Freckles

7 pensieri riguardo “Move to Heaven (ovvero della dolce melancolia dei ricordi per riscoprire se stessi)”