Se siete qui, è perché probabilmente avete iniziato a divorare drama asiatici in modo inspiegabile e volete conoscerne il motivo. O, forse, li divorate già da tempo e non sapete definirne l’attrazione. O, con ancora più probabilità siete incuriositi da un mondo che vi affascina e che quasi temete, come aprire al buio un vecchio atlante per esserne risucchiati dalle sue pagine e portati in mezzo a luoghi misteriosi e a colori e sapori ignoti. Non c’è nulla da temere. Vi guideremo per mano in giro per l’Estremo Oriente come si fa con un piccolo breviario turistico tascabile. Iniziamo dalla prima lezione: che cosa sono i drama?
Che ci crediate o meno, se vi siete avvicinati al mondo dei prodotti seriali asiatici e avete apprezzato la loro particolarità rispetto al mondo seriale occidentale, dovete ringraziare un misterioso e mascherato motociclista in bianco che si muoveva come giustiziere solitario per le strade di una spettrale Tokyo. Tutto, infatti, ha avuto origine con Gekko Kamen (正義を愛する者 – 月光仮面 Seigi wo Ai Suru Mono – Gekkō Kamen), anime del 1972 che noi abbiamo conosciuto anche come Moon Mask Rider e che, tuttora, rimane un prodotto di nicchia tra gli appassionati della serialità orientale. O, meglio, tutto ha avuto origine quattordici anni prima, nel 1958, quando sull’onda del successo del cinema d’autore giapponese (con in testa il grande Akira Kurosawa, che aveva avuto il coraggio di rivoluzionare i canoni portando sugli schermi una drammaticità più fisica e una mimica prorompente nella sua fissità teatrale, ma anche di parlare per la prima volta di storie così tipicamente ed emotivamente orientali, per cui vi rimandiamo al nostro articolo Komorebi – Luce tra le foglie), e sul desiderio di imitare la serialità made in USA (che, all’epoca, spopolava con i supereroi dei fumetti), la TV giapponese propose un film ridotto in tanti piccoli episodi (per l’esattezza, 130) con uno spirito vigilante che avrebbe potuto concorrere contro Batman e Superman insieme, ma con un’etica e un senso del dovere e della sconfitta da Rashomon. Nacque, così, l’eroe Gekko Kamen, che, da una parte, diede vita al genere fantascientifico del tokusatsu (特撮), ovvero quella fantascienza nipponica costituita da una trama semplice ed effetti speciali elementari (un po’ come i film di kaiju in stile Godzilla che, proprio in quegli anni, si diffondevano in tutto il mondo, per cui vi consigliamo di recuperare il nostro articolo su Godzilla – La trilogia anime sci-fi), mentre, dall’altra parte, sancì l’inizio della serialità televisiva giapponese. Per distinguere la peculiarità nipponica dalla serialità occidentale (statunitense e britannica, in particolare), si fece ricorso al termine traslato dall’inglese drama, che in giapponese diventava dorama (ドラマ) o terebi dorama (テレビドラマ), nella sua accezione più pura, più teatrale e più greca della parola, derivante dal verbo greco drao (δράω), ovvero “fare”, “mettere in azione”. Si trattava, quindi, di una messa in scena di una storia, ovvero un intreccio narrativo con interazioni tra i diversi personaggi, che si dispiega in una lunghezza diversa rispetto a quella di un film, che può assumere la forma di una vera e propria serie televisiva, anche lunga, o di una miniserie di poche puntate. Col tempo e con il successo della cultura giapponese nel mondo, dovuto anche all’esportazione di manga e anime, il format del dorama ha iniziato ad assumere dei connotati sempre più particolareggiati e distinti e a fornire una linea-guida per tutto il panorama asiatico. Pur essendoci una diversità di generi nelle storie messe in scena nei dorama, generalmente è stato possibile distinguere il renzoku, che ha avuto più successo in tutto l’Estremo Oriente, come un format seriale di 11/12 episodi di circa 45 minuti (massimo un’ora) l’uno, trasmessi di sera, dall’asadora, un mini-format di massimo 15 minuti ad episodio, ma di molte puntate (anche più di 100), da guardare generalmente al mattino, magari come una breve pausa: mentre il secondo tendeva ad essere più scanzonato, divertente e brioso, tipicamente caratterizzato da argomenti leggeri e comici (avete presente i programmi e i mini-episodes che interpretava Rossana nell’anime omonimo?), il renzoku narrava, invece, una storia più complessa, con una tematica storica, familiare, d’azione o di fantasia (talvolta, rifacimento di un manga e/o di un anime e, per questo motivo, chiamata anche live action), oppure una tematica sobria sulla storia delle relazioni umane tra due o più personaggi, amori compresi (slice-of-life).
Quest’ultima tendenza divenne fondamentale in Corea del Sud già negli anni ’80 – per incrementare in modo incredibile negli anni ’90 e negli anni 2000 – , costituendo la vera fonte di ispirazione dei drama coreani (한국드라마), oramai internazionalmente noti come K-dramas. La storia della passione coreana per le narrazioni, in realtà, è antica e ha trovato la prima drammatizzazione verbale con l’avvento della radio tra gli anni ’20 e gli anni ’30 del XX secolo. Tuttavia, la scoperta della narrazione televisiva sudcoreana e l’inizio del suo enorme successo, che oggi ha compromesso il predominio statunitense, ha una data storica: si tratta del 1997, anno in cui la moneta nazionale coreana (il won) si svalutò in modo gravissimo, sulla base della crisi del Fondo Monetario Internazionale (una crisi ben tratteggiata anche nel film Peppermint Candy e che aleggia pure nel capolavoro cinematografico Parasite), mentre il governo della giovane democrazia sudcoreana ricorse al potenziamento di arti e cultura di massa, costruendo il cosiddetto Hallyu (한류), l’onda coreana che ha diffuso in tutta l’Asia e nel resto del mondo canzoni, film e prodotti seriali. Questi ultimi – i drama, appunto – iniziarono a distinguersi dalla loro fonte d’ispirazione giapponese per una costruzione più vertente sulle dinamiche dei personaggi e sulle loro storie d’amore, per una periodizzazione e una lunghezza differenti degli episodi (16, 20, 24 o 30 episodi di più di un’ora l’uno), per il ricorso alla coralità tipica della tradizione coreana e per una certa ripetizione di alcuni canoni prefissati (tra cui, un certo pudore nella narrazione della storia d’amore). Secondo uno studio dell’Università di Vienna, il successo dei drama coreani si deve in parte anche alla trasmissione dei cosiddetti valori confuciani o, meglio, di valori tradizionali, che – ahimé – in Occidente hanno perso quota negli ultimi decenni, ma di cui probabilmente si sente l’esigenza come di un ossigeno vitale: il rispetto per gli anziani, per i genitori e per la famiglia, la pietà filiale e la dimensione emotiva e intima degli affetti, la moralità dei comportamenti senza che sia eccessiva rigidità, la timidezza calorosa dei sentimenti. Nonostante i generi diversi delle storie trattate e la differente catalogazione tra drama lunghi e giornalieri (molto più simili alle telenovelas di tradizione latino-americana) e drama brevi e serali (il classico format orientale tanto amato), tutti i prodotti seriali sudcoreani hanno in comune un inghippo narrativo di partenza che metterebbe in ansia anche gli sceneggiatori più bravi: le riprese devono avvenire in un tempo piuttosto esiguo e molto a ridosso delle trasmissioni o, meglio, quasi in contemporanea. Solitamente, infatti, solo i primi episodi vengono girati prima della messa in onda e non esiste una sceneggiatura definitiva, perché i copioni in terra di Seoul sono come le scale di Hogwarts, possono variare a seconda delle opinioni degli spettatori e a seconda dello share delle reti. Per questo motivo, troviamo drama di inaspettati 12 episodi e drama di lunghezza eccessiva che supera i 20 episodi (e, che, guardate un po’ il caso di Alchemy of Souls e Alchemy of Souls: Light and Shadow, sono spesso i drama più amati e di maggior successo). Se si pensa a quali ritmi serrati e a quali pressioni possono essere sottoposti gli attori anche nello studio a memoria delle proprie parti, il nostro apprezzamento per questo genere di serialità made in South Korea e per la bravura dei suoi interpreti dovrà innalzarsi ancora di più.
Quel 1997 della crisi economica e dell’inizio dell’Hallyu, però, è coinciso anche con la trasmissione in Cina del drama coreano What is Love? (사랑이 뭐길래), una serie “brevissima” datata 1991 e composta da 55 episodi, che ebbe un successo notevole in tutto l’Estremo Oriente, tanto da dare origine ad un remake a Taiwan con lo stesso titolo nel 2012. Vista dopo molto tempo, What is Love? soffre di una prolissità narrativa e di una lentenzza incredibili, ma ha il merito di essere diventato il punto di partenza per la produzione seriale del resto dell’Asia (Giappone compreso, che, di recente, ha rimodellato il suo format seriale, ispirandosi molto al drama coreano, senza perdere la sua veste tipica del manga). E, così, arriviamo alla diffusione dello stesso format (o quasi) in altri paesi asiatici.
Cina e Taiwan sono stati forse i primi Stati dove non solo il k-drama e il dorama ebbero un successo notevole, ma dove iniziarono immediatamente ad imitare il format, pur infarcendolo di caratteristiche proprie. In Cina, sin dagli anni ’90 (ma con maggior decisione dagli anni 2000), ha preso piede il C-drama (中国电视连续剧), che, a differenza del drama coreano e del dorama giapponese, conta di molti più episodi, di una trama tipicamente fantasy-romance che strizza l’occhio al period drama e all’ambientazione della dinastia Qing, di effetti speciali e azione che rimandano al genere wuxia (per intenderci, quello del noto film da Oscar La tigre e il dragone) e di un certo controllo da parte della censura governativa sulla celebrazione dei valori del socialismo cinese (perché, in presenza di una propaganda fredda o anche assente, si rischia la riduzione o la cancellazione dalle reti, come è accaduto alla serie storica Yanxi Palace). Taiwan, al contrario, ha preferito virare su trame più brillanti e più moderne, producendo T-drama o TW-drama (台灣電視劇) molto più simili al prototipo giapponese e coreano, con una grande attenzione alla storia d’amore e alla crescita dei personaggi, pur senza toccare troppo tematiche sociali e/o politiche (tipicamente tratteggiate e affrontate, invece, dagli omologhi giapponesi e coreani) e con una cura nei confronti del pubblico molto giovane (motivo per cui i drama prodotti da Taiwan privilegiano spesso tematiche adolescenziali e scolastiche e fanno ricorso ad attori molto giovani e ad idol in voga tra gli adolescenti). Risentendo in parte dell’influenza di Hong Kong, diversi drama di Taiwan prodotti per un pubblico più adulto preferiscono una tematica crime e thriller.
Hong Kong, in questa panoramica, rappresenta un caso a sé, anche per la situazione geo-politica che ha sempre vissuto e che le ha permesso di godere, per un certo tempo, di una libertà espressiva piuttosto illimitata, ma anche di una posizione quasi di congiungimento tra influenze asiatiche diverse e tra influenze occidentali (americane, ma anche europee). Per questi motivi, l’HK-drama (香港電視劇) è rimasto più legato alla narrazione cinematografica e a trame sociali, politiche, economiche, melo o crime (un po’ nello stile del film Infernal Affairs, che tanto ha ispirato The Departed di Martin Scorsese) e, soprattutto, si distingue sia dalla narrazione più naif di Taiwan che da quella più epica della Cina, senza dimenticare la passione di fondo per le arti marziali. La produzione televisiva di Hong Kong è di tutto rispetto e ha piattaforme proprie dove è possibile trovare una ricchezza unica a partire dagli anni ’80 e, guarda caso, anche una serie di fonti d’ispirazione – più o meno dichiarate – per diversi film o serie statunitensi. Una particolarità: mentre i C-drama e i T-drama sono prevalementemente recitati in cinese mandarino, tutti i programmi televisivi prodotti ad Hong Kong sono girati in cinese cantonese con l’intenzione di inviare un messaggio di cultura unica con una precisa regione della Cina.
Negli altri Stati asiatici, ormai la passione per il drama e il dorama è diventata tale da produrne delle fotocopie (in Vietnam, ad esempio, esiste l’abitudine di guardare ogni singolo k-drama per rifarlo in modo più o meno identico con propri attori e con risultati variabili). Tuttavia, è il caso di segnalare due Stati dove la narrazione dei drama è entrata in modo prepotente, tanto da scardinare e rivoluzionare le attitudini seriali pregresse, che eppure avevano una storia e una tradizione a sé. Un caso è quello delle Filippine, dove esisteva già una narrazione seriale propria, le cosiddette teleseryes, nate già negli anni ’40 e somiglianti alle telenovelas latino-americane e alle soap operas statunitensi ed europee per il carico di pathos e di melodrammaticità e per la tendenza ad andare avanti all’infinito nella narrazione, costruendo pure delle vere e proprie genealogie. Tra gli anni ’80 e gli anni ’90, sull’onda del successo delle telenovelas latino-americane, le serie filippine hanno avuto un certo incremento di popolarità, venendo esportate negli Stati Uniti e, in qualche caso, anche in Europa. In Oriente, inoltre, riuscirono a ritagliarsi un ruolo da tramite e da ponte con la serialità sudamericana, fornendo dei veri e propri remake di serie argentine, messicane, colombiane e brasiliane da portare in tutta l’Asia (famosa è stata la versione filippina della serie colombiana Yo soy Betty la fea, che, negli Stati Uniti, ha dato vita ad Ugly Betty). Negli ultimi anni, però, il successo di una serialità differente proveniente dal continente asiatico e l’abbassamento di popolarità del genere soap, ha portato le produzioni televisive filippine ad invertire rotta per dedicarsi, stavolta, a remake di serie sudcoreane e giapponesi o alla stesura di nuove sceneggiature che si ispirano proprio al genere del drama, tanto da far sorgere il cosiddetto P-drama.
Il secondo caso è quello della Thailandia, da sempre patria di un genere seriale tutto suo, detto lakorn (ละคร), di fatto delle serie che sono quasi a metà strada tra la narrazione orientale, la serialità occidentale e le soap latino-americane. I lakorn, nati già negli anni ’50, si sono caratterizzati per una serie di tematiche passionali e melodrammatiche e per una certa lentezza narrativa e recitativa, come le soap latino-americane, ma per una dimensione compiuta della storia con un finale ben definito in una manciata di episodi, come i drama orientali. Al contrario, però, delle produzioni giapponesi e coreane, ogni episodio di un lakorn thailandese può arrivare anche ad una durata superiore alle due ore, rendendo, di fatto, la serie un composto di diversi film, mentre il controllo da parte della censura è ancora più forte e stigmatizzante, soprattutto in riferimento ad alcune tematiche e all’uso della nudità. Tuttavia, il successo del format dramoso ha in parte ridefinito i parametri del lakorn tradizionale, che tende oggi ad avere una narrazione più brillante e scattante, anche con tematiche e storie molto attuali, e ha influito notevolmente sul genere BL (Boys’ Love), di cui la Thailandia è oggi il più grande produttore ed esportatore. Si tratta di un sottogenere dramoso da sempre presente in manga, webtoon e lightnovel orientali (e non solo), creato solitamente da una penna femminile e destinato ad un pubblico femminile, ma narrante la storia d’amore tra una o più coppie esclusivamente maschili (senza, tuttavia, che siano necessariamente tratteggiate scene cariche di omoerotismo). Giacché la Thailandia è da sempre il paese delle contraddizioni, la stretta censura che colpisce lakorn e prodotti cinematografici non sembra introdursi nei meandri dei BL, che, invece, hanno prosperato più liberamente e che hanno potuto introdurre tutti quei parametri caratteristici di drama e dorama e amati proprio da tutti i dramisti del mondo. Grazie a questa ridefinizione dei canoni, entrata attraverso la porta dei BL, oggi è possibile trovare anche dei veri e propri THAI-drama che si ispirano ai prototipi giapponesi e coreani, pur mantenendo caratteristiche proprie, che, in qualche modo, li collegano agli storici lakorn.
Possiamo affermare che dal lontano 1958 ad oggi il drama ha rivoluzionato e cambiato notevolmente tutto il panorama seriale asiatico. Sembra, infatti, che il successo del format abbia invaso tutto il continente, trovando solo una certa opposizione in India, ma, di recente, il principio di emulazione e imitazione del remake pare aver colpito anche le sponde indiane. Ma questa è un’altra storia.
Captain-in-Freckles

2 pensieri riguardo “Piccolo breviario per orientarsi nel mondo seriale asiatico: che cosa sono i drama?”