Money Heist: Korea – Joint Economic Area

In tutto il mondo La Casa di Carta è stato un fenomeno che ha diviso e ha destabilizzato, da una parte, perché ha cambiato i canoni della serialità e, dall’altra, perché in una serie apparentemente action ha inserito la tematica sociale e politica, oltre che ha portato all’attenzione un universo seriale non USA-centrico. Così, è stata il modello principale per il remake coreano Money Heist: Korea – Joint Economic Area. Ma quanto è stata veramente valida questa visione, divisa in due parti e caricata da Netflix in due momenti diversi? Con molta probabilità il pubblico lo ha accettato in modo diverso a seconda che abbia visto o meno la versione spagnola che lo ha ispirato (e a seconda anche delle critiche a seguito). Da ex spettatrice dell’originale iberico, ho cercato di scindere perfettamente a metà la mia visione e il mio giudizio e mi sono trovata davanti a diversi punti critici e non apprezzati nella prima parte, forse troppo tributaria al suo modello spagnolo, e di fronte a spunti interessanti e molto apprezzati nella seconda parte, che finalmente prende il volo da sé, creando una narrativa completamente diversa e ristrutturando le dinamiche tra i personaggi sulla base della particolare situazione coreana, con la divisione tra le due Coree e il tentativo dell’unione monetaria.

Pertanto, ecco una recensione comparato o, ancora meglio, le mie impressioni a caldo, buttate giù quasi in crudo post visione. Pronti ad entrare alla Zecca sul confine tra le due Coree?

Part 1

Part 2

Riassumi Money Heist con una frase: Parcere subiectis et debellare superbos

Prima impressione: Inizio la visione e.. un attimo. Dov’è finito il recap, il dove eravamo rimasti negli episodi precedenti, etc? Con la quantità di drama che vedo, sei mesi di attesa tra la prima e la seconda parte equivalgono a circa una cinquantina di recuperi. Poi, dopo la prima destabilizzazione, mi riprendo: il professore, travisato, scappava dalla polizia e il capitano Cha, nel frattempo, con il suo background da spia nordcoreana, si è mangiato la foglia e ha capito la sua identità. Belli questi flashback inseriti all’interno sulla vecchia vita di Cha (Lost, hai fatto scuola), solo che un personaggio che mi era piaciuto molto nella prima parte è stata lasciato un po’ così, senza altro approfondimento e a metà tra la vita, il coma e la ripresa repentina (i coreani hanno i tempi di ripresa dal coma più veloci del mondo). Ma non importa, perché, intanto, ingrana, ingrana molto bene e, finalmente, sento l’hype che aleggiava solo nel sesto episodio.

Ma cosa diavolo sta succedendo alla Zecca? La situazione non si è solo scaldata, ma è diventata incendiaria, con un infiltrato delle forze armate (uno di quelli abituati nelle missioni di esfiltrazione, ma anche senza scrupoli a fare carneficine), gli ostaggi sobillati e pronti alla rivolta e all’evasione, il dubbio di un traditore all’interno del gruppo dei rapinatori, le ansie e le paure dei rapinatori stessi (grazie, Rio, per aver reso umano un personaggio e averci fatto capire che non c’è nulla di sbagliato ad avere paura), gli imprevisti e le crisi, il taglio netto di elettricità e comunicazioni… Insomma, succede di tutto, ma adrenalina e progettualità sono calibrate con un equilibrio incredibile e, soprattutto, con l’originalità che mancava alla prima parte, rimescolando tutte le carte in gioco, tutte le azioni e le peculiarità prima disseminate un po’ ovunque e, soprattutto, alzando l’asticella del pregio di questa serie.

I PERSONAGGI

Tra gli ostaggi, si nota (e molto, direi) Anne, la figlia dell’ambasciatore, quasi pretesto per un salvacondotto nella prima parte e destinata a rimanere un personaggio appannato e abbozzato, se avessero seguito la linea spagnola. Invece, questa Anne è colei che intenta la ribellione, ma che capisce anche su di sé cosa voglia dire la discriminazione (quel sentirsi rifiutata e relegata dagli altri ostaggi in quanto ricca) e, infine, è l’unica a comprendere veramente il messaggio che i rapinatori vogliono dare al mondo (Stoccolma non conta, perché, più che comprendere il messaggio, agisce solo per amore di Denver) e all’establishment politico coreano, in particolare, con una maturità che la candiderebbe già a seguire le orme del padre.

Stoccolma ha avuto il suo momento già nella prima parte, per cui qui è un personaggio un po’ più in secondo piano (tranne quando imbraccia il fucile per salvare senza esitazione Denver e quando fa quel discorso sulle cose che non ha mai potuto scegliere nella propria vita e, finalmente, fa venire fuori un po’ di carattere).

Sul Direttore non voglio infierire (bravissimo l’attore, per carità), ma guardate fino a dopo i titoli di coda, come nei film della Marvel.

Non avevo promosso Rio nella prima parte, perché un ragazzino indeciso e poco maturo, né carne né pesce, non convinto nemmeno di se stesso. Invece, lo promuovo a pieni voti in questa seconda parte proprio per aver rappresentato l’umanità e la crescita di un giovane uomo, la scarica di adrenalina, lo spirito di sacrificio, il primo innamoramento, ma anche le paure, i timori e, perché no, i pregiudizi (sudcoreani vs. nordcoreani).

Denver, stavolta, lo si vede di meno rispetto alla prima parte, ma non importa, perché avevo già apprezzato il suo personaggio prima. Solo che in questa seconda parte manca la sua risata sonora e cristallina, sostituita dalla sua commozione e dal suo piano. E vi avverto: quando piange Denver, piangete anche voi dietro.

Mosca ha bisogno di poche battute per darci un pezzo teatrale e, come nel suo omologo spagnolo, si fa amare anche per questo suo fare da minatore uscito da un romanzo.

Tokyo non è la Tokyo iberica, vi avviso. Anche in questa seconda parte, non c’è la Tokyo dal fascino ribelle e selvaggio della versione spagnola, sparatutto, irriverente e pronta a fare baldoria. Manca la Tokyo che si rifiuta di comprendere se non col cuore e con la passione e che, talvolta, manderesti a quel paese, perché questa Tokyo, con il suo passato militare nordcoreano e i precedenti criminali, è una Tokyo compassata, fredda, metodica, una macchina da guerra in perfetta sintonia con Berlino (non fatevi ingannare dalle apparenze, perché loro due sono i due alfieri sulla scacchiera del Professore). Quando incontra Seoul, personaggio di pura invenzione della versione coreana e che ringrazio tanto per quest’idea, diventa una vera bomba atomica (la steadycam da videogioco di Tokyo e Seoul durante la liberazione del bambino già da sola è uno dei momenti più belli di tutto il drama).

Berlino!!! Non c’è bisogno che dica oltre su di lui, perché avevo già adorato il suo personaggio e la sua interpretazione nella prima parte. In questa seconda parte, raggiunge vertici di altissimo splendore, giganteggia come una fiera feroce a caccia del pasto e, soprattutto, non dà mai punti di riferimento, destabilizzando completamente lo spettatore. Ma attenzione! Non è il Berlino spagnolo: la sua freddezza qui è una lama di coltello ben affilata, non una pennellata compiaciuta di tempera, e usa a suo favore anche tutti i propri punti deboli, a cominciare dalla malattia e dai traumi del suo passato. Inoltre, questo Berlino manca del narcisismo egocentrico del suo omologo e, pur nella sua freddezza calcolatrice, rimane istrionico.

Nairobi non è male, ma è tuttora il personaggio rimasto un po’ in ombra. Non si mette a capo di nessun matriarcato e le manca l’allegria che la fa cantare mentre lavorano le presse, però, al tempo stesso, è una madre sofferente ed empatica che si autogiudica e si autocondanna (forse, più somigliante alla Nairobi spagnola delle ultime stagioni e della seconda rapina). Prevedo un ipotetico sviluppo più avanti.

Oslo ed Helsinki, pur rimanendo personaggi minori, si sono rivelati due orsi buoni e col cuore di marzapane (soprattutto Oslo, nonostante la sua piccola mole di 200 Kg).

Il Professore? Posso dire che, a mio parere, è più freddo e più cinico del suo omologo spagnolo? Un paio di volte, stava pure per tradire i suoi ferrei principi di non uccidere e stavo storcendo il naso. Meno male che, alla fine, il suo piano è andato in porto, anche grazie all’enorme lealtà della sua squadra. Dal punto di vista emotivo, mi ha ancora lasciata in dubbio se davvero provi affetto o meno per l’ispettrice (che qui migliora rispetto alla prima parte, anche se, ancora una volta, non mi ha fatto impazzire). Però, quell’incontro tra loro non somiglia un po’ ad una scena di Crash Landing on You?

Cosa ti è piaciuto? Ok; non cantano mai Bella Ciao (ve lo devo dire), ma non per questo il messaggio rivoluzionario non rimane intatto. Anzi, politicamente, l’ho trovato di una portata maggiore rispetto all’omologo spagnolo, che, dopo la prima verve anti-capitalista e di critica alla società, si è andato a perdere in una deriva anarcoide piuttosto infruttuosa e destrutturante (che mi ha portato a chiedere il motivo della seconda deleteria rapina). Qui, invece, già il fatto che la Zecca si trovi in una zona di nessuno, a metà tra le due Coree, che è quasi una promessa di riunificazione, gestita, però, da politici corrotti pone l’accento su tante altre tematiche su cui riflettere. Si sente intatta la sofferenza di un popolo diviso, ma anche di un popolo (quello nordcoreano) condannato ad una feroce dittatura e di un altro (quello sudcoreano) che ha assaggiato in passato l’amarezza di un regime non democratico e che ogni giorno deve fare i conti con una classe burocratica troppo invischiata nel passato.

In conclusione: serie promossa. Non è la mia preferita, ma, dalla prima parte, si fa un salto di qualità in avanti e si va a superare in originalità il precedente spagnolo. Per cui vale la pena sorbirsi i primi sei episodi per arrivare alla bellezza di questi ultimi.