“Al mondo esistono tre categorie di uomini: quelli che pensano giusto, quelli che pensano sbagliato e quelli che pensano come me”.
Esiste una serie talmente longeva che conta i primi episodi nel 1968 e gli ultimi nel 2003. Esiste una storia gialla talmente fresca e frizzante, che lo spettatore non si rende quasi conto dell’efferatezza dei crimini commessi durante la visione. Esiste una trama talmente lineare e schematica, che è impossibile non seguire con apparente semplicità per farsi sbalordire sul finale. E, infine, esiste un detective talmente buffo e goffo, che quasi non sembra nemmeno un detective, ma così ingenuo e quasi innocuo che è rimasto nella mente e nel cuore di tutti. Perché, seriamente, sfido a ignorare l’esistenza del tenente Colombo e del suo impermeabile stropicciato e allacciato male, con il colletto per metà rovesciato, le macchie di caffè versate inconsapevolmente e quella falsa e gentile sfrontatezza, a tratti imbarazzante, delle sue domande insistenti.
Il tenente Colombo, magistralmente interpretato da Peter Falk, è così: gli si potrebbe applicare l’etichetta “L’abito non fa il monaco” per come la sua prima apparenza riesca ad ingannare tutti. Di primo acchito, sembra quasi un clochard o, perlomeno, uno che ha passato la notte a riposare su una panchina del parco, con gli abiti non stirati trovati in un pacco di beneficienza, e tutti i criminali lo sottovalutano. E, persino, la seconda impressione non sortisce un buon effetto: Colombo se va in giro per la stanza senza nemmeno capire quello che è successo, guarda tutto senza far capire che sta indagando, parla a vanvera delle cose più piccole e disparate, che non sembrano avere nulla in comune con il caso da risolvere, si mostra solo e privo di una squadra e, soprattutto, pone un sacco di domande. Insistente, con un occhio chiuso e uno semi-aperto, con il viso leggermente storto e la postura un po’ ingobbita, con le mani dietro la schiena o a fargli da poggiamento e quasi sorpreso, come di una meraviglia innocente e infantile, nell’ascoltare il suo interlocutore, che sembra canzonarlo, convinto della sua poca intelligenza. Colombo non sembra coraggioso, odia le armi e non ne porta con sé, soffre di claustrofobia, di vertigini e di mal di mare, non ama mettersi in pericolo, si rifiuta di prendere l’aereo e ama la buona tavola, fatta di cibi semplici e genuini, come le sue uova sode o un panino da poco conto, preparato con cura dalla moglie come pranzo al sacco. Colombo afferma di essere un fumatore incallito, ma ha sempre in mano un vecchio sigaro smozzicato di infima qualità (e che, probabilmente, non fumerà mai). Colombo parla solo di musica lirica, delle sue origini italiane e di sua moglie (“Devo ricordarlo di dirlo a mia moglie” è uno dei suoi tormentoni storici, perché la signora Colombo sembra depositaria di tutti i racconti del detective). Colombo sembra accettare qualsiasi cosa gli venga propinata, qualsiasi alibi, qualsiasi ricostruzione con un candore pari a quello dell’angelo Clarence nel film “La vita è meravigliosa” e sorride inerme al criminale di turno che lo vuole beffare. Poi, mentre se ne sta per andare dopo le sue investigazioni poco accurate, gira sui tacchi e con lo stesso innocente sguardo di prima esclama: “Ah, un’ultima cosa…“.
Il criminale ancora non lo sa, ma quella frase corrisponde alla fine del suo mondo. Perché Colombo è il detective più anti-detective che esista solo in apparenza: dietro il suo aspetto trasandato, grigio e sgualcito, si nasconde un abile e acuto giocatore di scacchi con un elevato quoziente intellettivo, un ragno mortale che tesse la sua tela invisibile e fa crollare la sua preda in contraddizione. Mentre va in giro a toccare oggetti a caso, riesce a cogliere tutti gli indizi con un solo sguardo; mentre il criminale crede di beffarlo, è lui a prendersene gioco per vedere fino a che punto arriva la sua bugia. Colombo è il falso mediocre, che, sotto mentite spoglie, cela uno stratega in assetto di guerra, uno a cui nessuno può sfuggire (anche perché, come afferma spesso, “non esiste il delitto perfetto, è un’illusione“) e che dipana ogni matassa muovendosi a passi lenti e poco fermi, come in un ragtime, vincendo due volte: la prima, come detective nel risolvere il caso; la seconda, come umile contro i superbi che amano le prevaricazioni, nel rovesciare completamente qualsiasi apparenza.
Forse è proprio per questo motivo che Colombo, quando ero piccola, era il mio eroe personale. Quando quella serata la televisione programmava le avventure del piccolo e buffo detective in impermeabile, mio nonno mi chiamava per tempo o, meglio, me lo ricordava già nel pomeriggio ed io facevo di tutto per guardarlo, affrontando le immani pubblicità che falcidiavano il programma e rimanendo sveglia fino a tardi. Mi divertivo, spremevo le meningi, ripetevo le frasi e le camminate di ispezione per la stanza del detective e, con lui o come lui, cercavo di risolvere il caso. Colombo è stato una delle prime menti investigative, insieme alla signora Jessica Fletcher (protagonista de “La signora in giallo“), di cui mi sono intellettivamente innamorata. Molto prima di fare la conoscenza letteraria di Sherlock Holmes, Hercule Poirot e Miss Marple, esistevano quelle serate che una bambina con le trecce passava a fingere di incastrare criminali e prepotenti, come faceva il detective Colombo. Come diceva sempre mio nonno, mentre si appassionava alla visione, “Colombo è uno che non te lo mangi mica così”, perché “quando chiude l’occhio, sa cosa farà del suo nemico”.
O, forse, Colombo era il mio eroe personale perché ammiravo le sue avventure in compagnia di mio nonno, così come guardavo con lui i film western e l’accoppiata vincente Bud Spencer e Terence Hill. Ma questa è un’altra storia.
La serie di Colombo (in originale Columbo) conta 11 stagioni per un totale di 69 episodi (comprensivi degli episodi speciali fuori stagione), una marea di guest star famose (Leslie Nielsen, Ben Gazzara, Johnny Cash, Ray Milland, Eddie Albert, Leonard Nimoy, Vincent Price, Martin Landau, Faye Dunaway, Dick Van Dyke, Rod Steiger, José Ferrer, Anne Baxter e persino il Ricardo Montalban dell’Ira di Khan), innumerevoli registi di prestigio (Steven Spielberg, Leo Penn, John Cassavetes e, persino, lo stesso Peter Falk), doppiatori speciali (come Ferruccio Amendola, voce italiana del detective nel film per la televisione Riscatto per un uomo morto) e persino un monumento dedicato (a Budapest, per omaggiare le origini ungheresi – e non italiane, nonostante quello che si possa pensare – di Peter Falk). Inoltre, Colombo conta pure una serie spin-off dedicata a Mrs. Colombo, la moglie del tenente, mai apparsa nella serie principale e interpretata per questa chicca rimasta inedita in Italia da Kate Mulgrew, diventata nota, anni dopo, per aver impersonato il Capitano Kathryn Janeway in Star Trek Voyager.
Piccola postilla: si ignora il vero nome di battesimo del tenente Colombo (che, quando gli viene posta la domanda, afferma solo di chiamarsi Tenente), così come si ignora il nome del suo cane (che il detective chiama semplicemente Cane); secondo una ricostruzione più o meno attenta ad un suo vecchio documento sbiadito, alcuni credono che si possa chiamare Frank.
Consigliato: a tutti, perché, se non avete mai visto un singolo frammento di questa storica serie, mi dispiace molto per la vostra infanzia, per cui urge un recupero, anche per sapere che non sono gli uomini grandiosi e apparentemente forti a reggere il mondo, ma un piccolo omino medio in impermeabile che si fischietta da solo la sigla iniziale e che insegna con saggezza che la prevaricazione e la prepotenza pagano sempre.
Captain-in-Freckles
