“Provo profondo disprezzo per i giovani criminali”
Laconica e algida, la protagonista di questo drama si presenta così, guardando fisso in camera dall’alto verso il basso e gelando con una sola apodittica frase non solo chi condivide la scena con lei, ma anche lo spettatore, che, come me, aveva pensato di iniziare un legal drama semplice e scorrevole, composto da diversi casi quasi da risolvere come un detective, e che, invece, si trova di fronte una protagonista che non ha alcuna intenzione di accattivarsi qualcuno con la simpatia e la buona parola e una riflessione ardua ed eticamente complessa sulla giustizia e sulla sua applicazione nella riabilitazione dei minori (non a caso il titolo internazionale è proprio Juvenile Justice, ovvero Giustizia Minorile). Proprio per questo motivo, la visione di questo drama è una lenta e profonda immersione nel mondo contemporaneo, che, nonostante e malgrado gli applauditi sviluppi e le aperture moderne, si presenta moralmente rozzo nei confronti di un’età infantile e adolescenziale, che tende a comprimere, a modellare, a coercere e ad accelerare allo stesso tempo, come in una combustione termodinamica, senza preoccuparsi minimamente di affrontare un dialogo rieducativo e umano e, pertanto, senza dare identità e dignità vera ai volti dei minori, giovani sull’orlo del fallimento, della sfida e dell’autodistruzione, ma anche esseri umani sospesi tra un bene e un male che oggi non riescono più a discernere.
Shim Eun-seok (un’immensa Kim Hye-soo di Tazza, Hyena e Under the Queen’s Umbrella, una di quelle veterane attrici coreane, che non avrebbero nemmeno bisogno di comprimari per sostenere la scena), brillante giudice priva di sorriso con la fama di inflessibile applicatrice della legge (per cui i colleghi la chiamano “Giudice Massimo”), ha chiesto da poco trasferimento presso il Tribunale dei Minori. Dimostra da subito, dietro la sua maschera integerrima, la sua avversione per i crimini compiuti dai minori, la cui efferatezza e i cui futili motivi spesso superano l’inimmaginabile, non nega mai la sua profonda antipatia per i giovani criminali e spesso anche per le loro famiglie, che, con la loro assenza, il loro falso permissivismo e il loro disinteresse, hanno fallito nella missione basilare di fornire quei precetti educativi minimi per integrare nella civiltà i propri figli. Tuttavia, senza mai farsi interferire dalla sua opinione (nonostante certi rimproveri che elargisce dallo scranno e con cui riesce a far pentire tutta l’umanità presente di qualsiasi cosa) e senza farsi influenzare da un’esperienza traumatica del suo passato (che ha segnato la morte del figlio), non solo cerca di applicare onestamente e correttamente la legge ad ogni singolo caso, ma decide anche di comprendere l’eziologia del fatto criminoso, ovvero di scandagliare, caso per caso, l’animo e la mente di tutte le persone coinvolte, vittime e carnefici compresi. In questo non semplice lavoro di ricostruzione dell’evento e del fattore psicologico presente dietro di esso, è coadiuvata, in particolare, dal collega più giovane, il giudice a latere Cha Tae-joo (Kim Mu-yeol, il co-protagonista del film thriller Forgotten), che, al contrario, le esperienze traumatiche di un’infanzia difficile hanno trasformato in un giudice compassionevole e fortemente empatico, che crede fortemente nella bontà di fondo dei giovani criminali e nel ruolo rieducativo e riabilitativo della giustizia per reintegrarli in società. “Perché il giudice deve essere coinvolto anche quando il processo è finito? Credo che lo scopo della Giustizia Minorile sia di fornire una struttura adeguata dove i ragazzi problematici possano riformare se stessi e diventare dei cittadini migliori“, afferma già al primo episodio Shim Eun-seok; “Nessuno si occupa di questi ragazzi. Per cui è compito di noi giudici dare loro una seconda possibilità“, le risponde come suo naturale contraltare Cha Tae-joo.
Le discussioni etiche tra i due giudici e gli scontri a cui vanno incontro sia nei confronti del mondo esterno che riguardo il sistema della giustizia sono il vero fulcro intorno a cui ruota la dialettica di tutto il drama, con l’intento non solo di ricostruire ogni singolo caso, ma anche di fornire una giusta misura di valutazione per affrontare l’impatto psicologico, emotivo e morale di tutti coloro che ne sono coinvolti. Shim Eun-seok e Cha Tae-joo si troveranno non solo davanti a casi di minori abbandonati e abusati dalle proprie famiglie o da parte degli adulti che li avevano in carico, ma anche davanti a casi di un abbruttimento morale dei minori stessi, violenti carnefici che la società ha prodotto e ha fomentato: l’omicidio di un bambino, compiuto da minori al di sotto dell’età imputabile per pura curiosità e quasi per divertimento; lo stupro di gruppo di adolescenti nei confronti di una compagna di scuola; la rivolta delle ragazze di una casa-famiglia, che reagiscono contro la propria benefattrice perché non sono in grado di reagire contro chi le ha trasformate in questo modo; la prostituzione dilagante, vista come una fonte di sostentamento normale da parte di molti minori abbandonati, quasi in spregio alla propria dignità personale; il bullismo violento e arcigno che direziona un gruppo nei confronti di un soggetto avvertito come più debole.
In dieci episodi, apparentemente brevi (poco meno di un’ora ad episodio), il drama La giudice (소년 심판, Sonyeon simpan) indaga sul mondo della criminalità minorile della Corea del Sud, fornendo una riflessione attuale che può essere applicata ovunque, in una società che corre disperatamente, ma che non ha il tempo per vedere e curare i propri figli. Minori abbandonati a se stessi e alle proprie pulsioni, non in grado di prendere decisioni sane, tendenti al male, che credono essere l’unica via possibile, corrotti moralmente, perché la stessa società, dopo averli voluti in questo modo, affonda il coltello in una ferita dell’anima che diventa irreparabile, quasi un punto di non ritorno. E la giustizia, in questa diatriba, si trova impotente nei mezzi e nelle decisioni: meccanica applicazione di norme, ma quasi non in grado di correggere l’abisso morale che si è creato e, di conseguenza, pericolosamente incapace di riabilitare e reintegrare i propri giovani, spingendoli in un vortice nero. Ogniqualvolta un giovane si trova di fronte alla decisione di compiere il bene o il male e sceglie, senza indugio, il male, magari reiterandolo e giustificandone la scelta, è un fallimento di tutta la società, che si è eclissata nel suo compito di educare: “I bambini non crescono da soli. Oggi sono stati puniti i bambini, ma il peso di questo crimine deve essere sentito allo stesso modo dai loro genitori e dai loro tutori. (…) Se i genitori non fanno un minimo sforzo, i figli non saranno mai in grado di cambiare“, ammonisce dal suo scranno la severa giudice protagonista, a cui due minori sbandati hanno ucciso in passato il figlio, solo per il gusto di vederne l’effetto, e scava nel profondo una riflessione che ci fa rabbrividire. Come fanno dei ragazzi così giovani a delinquere e a scegliere il male? Come possono, una volta intrapresa la strada della malvagità, perseverare in tal modo? E come è possibile che, improvvisamente, tutta la società, tutti gli adulti che avevano il compito di insegnare loro come agire nel mondo si sono dimenticati della loro presenza, si sono addormentati, come se non li conoscessero, lasciandoli soli nelle decisioni più importanti, in una falsa e ipocrita libertà, che ne è disinteresse morale? “Più a lungo vivono per strada, più soldi avranno bisogno. E più soccomberanno alla tentazione. I crimini giovanili non sono solo crimini che vengono commessi. Sono crimini che penetrano nella società“.
Postilla finale: l’attrice protagonista, Kim Hye-soo, è un vero monumento vivente al teatro in Corea del Sud, risultando una delle attrici più premiate di sempre (con ben 108 nominations e 56 premi collezionati, praticamente è la Meryl Streep di Seoul), ed è stata anche la mentore e il modello di diverse attrici più giovani che sono state alla sua scuola, tra cui Son Ye-jin e Han Ji-min.
Consigliato: con una certa parsimonia, perché è una visione che mette in crisi e svuota completamente, ma che fa riflettere, distruggendo quelle fittizie certezze con cui appaghiamo e nascondiamo la bassezza morale presente nella società, ma che, tuttavia, dovrebbe essere somministrata in dosi massicce in cineforum per studenti e anche per adulti.
Captain-in-Freckles

5 pensieri riguardo “Juvenile Justice – La Giudice (ovvero delle possibilità e dei limiti di giustizia e riabilitazione)”