Si Alza il Vento – Il sogno di volare, il desiderio di vivere

“Le vent se lève! / Il faut tenter de vivre” – ” Si alza il vento! / Bisogna tentare di vivere”.

Due famosi versi tratti dal poemetto Il cimitero marino, scritto e pubblicato dal poeta francese Paul Valéry nel 1920, hanno dato il titolo a questo film d’animazione prodotto dalla Studio Ghibli, che sembra quasi un manifesto d’autore delle idee di Hayao Miyazaki per tutte le future generazioni, di animatori e anche di semplici spettatori, diventandone il vero leit motiv delle sue storie. Il vento come gli eventi della vita, che dobbiamo affrontare con raffiche più o meno forti, tempeste, ma anche brezze leggere, che si alzano e si elevano sui nostri capi. Il vento del cambiamento e della trasformazione, come quella che rincorre il protagonista con le sue idee originali e innovative, cercando di perseguire il sogno di librarsi in aria e di spiccare il volo. Il desiderio di volare come il desiderio stesso di vivere.

Si alza il vento è un progetto ambizioso, ragionato e fortemente voluto dallo stesso Miyazaki, con il preciso obiettivo di costruire, da figlio ed erede del periodo della Seconda Guerra Mondiale, un comune linguaggio di pace e di negazione della guerra. Per farlo, l’animatore giapponese si è parzialmente ispirato al romanzo Si alza il vento di Tatsuo Hori, ambientato in un sanatorio di Nagano tra il 1936 e il 1937, che ha portato sullo schermo, in modo da incastrarlo con la narrazione biografica di Jiro Horikoshi, il celeberrimo ingegnere aeronautico giapponese, progettista di numerosi caccia utilizzati dall’esercito nipponico durante la Seconda Guerra Mondiale, tra cui il famoso (e temibile) Mitsubishi A6M Zero, rinominato anche “caccia tipo Zero”, che vide la luce nell’anno imperiale 2600 (ovvero il 1940) e divenne protagonista – nel bene e nel male – dell’azione bellica aggressiva da parte dell’Impero giapponese. Tutto ciò nonostante le idee pacifiste e gli scopi meramente scientifici del loro creatore, come si desume dal diario che tenne segretamente durante gli anni del conflitto mondiale (da lui definito una guerra futile e gravosa).

Il film inizia nel 1918, quando Jiro Horikoshi, un bambino di provincia con un enorme paio di occhiali e il desiderio di volare, inizia a sognare il suo mito, l’ingegnere e progettista italiano Giovanni Battista Caproni che, in una dimensione onirica dove tutto è possibile, lo porta a visitare le sue creazioni e gli fa capire che costruire aerei è come solcare i cieli o, forse, anche di più (“Di uomini atti a fare i piloti ce ne sono tanti. Io sono un uomo che gli aeroplani li crea. Sono un progettista“). Caproni diventerà da questo momento il suo nume tutelare che gli appare sempre in sogno per supportarlo durante gli studi e nei suoi primi progetti di lavoro, ma anche per fargli comprendere negli anni l’importanza della missione degli aerei, che non deve essere relegata ad un uso bellico, ma dovrebbe comunicare pace, proprio perché porta l’essere umano a contatto con il cielo e, quindi, rende possibile il sogno di Icaro: volare e sentirsi parte del creato, ma anche ricorrere alla scienza e alla tecnologia per migliorare e per migliorarsi, in un’ottica per cui il progresso dovrebbe diventare uno sviluppo ai fini del benessere e non un’autodistruzione (“Quello di volersi librare nel cielo è il sogno dell’umanità, ma è anche un sogno maledetto. Gli aeroplani portano il peso del destino di divenire strumenti di massacro e distruzione“). Nonostante i suoi sogni, Horikoshi, dopo la laurea in ingegneria, finisce a lavorare con la Mitsubishi, che, di fatto, rifornisce l’arsenale dell’esercito imperiale e che prende accordi con il regime nazista in Germania. Horikoshi, costretto a sostenere orari e tempistiche lavorative improponibili, vede sfumare sempre di più tutti i suoi sogni, fino a quando non crolla in una crisi nervosa. Per riprendersi, va in villeggiatura in montagna e qui incontra Nahoko, una ragazza che aveva conosciuto in modo fortunoso in treno anni fa durante un terribile terremoto: è lei che, piena di sogni e di voglia di vivere, nonostante la sua malattia, pronuncia i versi di Valéry e che, letteralmente, cambia la vita ad Horikoshi, facendogli scoprire sentimenti ed emozioni che non credeva di provare. Con Nahoko, Horikoshi viene in contatto anche con il misterioso signore tedesco Hans Castorp, in realtà un ebreo oppositore al regime nazista, che insegna ai protagonisti che cos’è il vero valore della pace e cambia completamente la visione politica di Horikoshi, il quale, da questo momento, dovrà lavorare facendo sempre attenzione alla polizia politica imperiale, che lo ferma e lo intercetta più volte, a causa della fuga di Castorp dall’arresto. Quasi recluso a casa del suo supervisore, che lo protegge da un’eventuale indagine della polizia, Horikoshi si sposa in segreto con la sua Nahoko, la sua brezza leggera che non lo abbandonerà mai, rimanendo per sempre nei suoi sogni, anche dopo che gli eventi della vita lo colpiranno in modo drammatico, fino alla bellissima immagine finale che lo esorta a vivere, perché “essere in vita è una cosa stupenda“.

La vita, anzitutto. Nonostante il vento della sconfitta personale ed interiore, le tristezze, le delusioni, le infelicità e i lutti. Vivere come un sogno da portare avanti, come un aereo che Caproni lo ha spinto a costruire per percorrere il cielo in un’eterna festa con la sua famiglia. Vivere che diventa volare (e viceversa), perché il desiderio di vivere e il sogno di volare sono legati in modo indissolubile l’uno all’altro per affrontare il vento (o, meglio, i venti) della quotidianità e delle sue amarezze.

E, poi, ci sono gli aeroplani che, come dice più volte Caproni, “sono un sogno bellissimo, ma maledetto“, perché, progettati per portare benessere alla società, sono usati dagli uomini per fare del male ad altri uomini. Gli aeroplani sono un sogno, che diventa, suo malgrado, simbolo della guerra, una catastrofe che ha coinvolto controvoglia tante popolazioni e tanti esseri umani e che ha creato vittime e distruzioni, come le carcasse dei famosi Zero, partiti per sparare sulla gente e mai più tornati a casa, forse proprio perché partiti per una missione distorta rispetto al proprio obiettivo. Alla fine, usando ancora le parole di Caproni, “il cielo azzurro finisce per inghiottirli tutti“, perché la stupidità degli esseri umani non ha ancora compreso che non solo il loro utilizzo per la guerra è improprio, ma che è impropria la guerra stessa, un vento malevolo e vorticoso creato unicamente dalla violenza umana e privo di scopo, ma che va a strappare il vero e unico valore fondamentale della vita, ovvero la meraviglia della vita stessa. La guerra è uno spergiuro che uccide non solo fisicamente, ma anche moralmente gli esseri umani e li devia dall’ammirare la bellezza di essere in vita, di sentirsi parte del vento che soffia intorno a noi.

Curiosità: al Parco e Museo del Volo di Volandia (che si trova a Somma Lombardo, in provincia di Varese, ed è uno dei più grandi musei aeronautici a livello europeo, nonché il più grande in Italia), è possibile ammirare alcuni dei velivoli più iconici della storia, tra cui il Caproni Ca. 1, il Caproni Ca. 18 e il Caproni Ca. 113, tutte creazioni dell’ingegner Caproni, che potete trovare anche nel film.

Consigliato: a tutti, senza eccezioni e senza dubbi, perché è un film che va recuperato, visionato e amato, lacrime incluse, perché ha una sceneggiatura coinvolgente che non solo mostra la guerra con un messaggio di pace e di speranza, ma analizza in modo dettagliato e delicato i sentimenti umani e, infine, perché ha una colonna sonora, creata da quel genio di Joe Hisaishi, che già da sola sarebbe valsa un Oscar.

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