The Silent Sea (ovvero lo spettro del nostro futuro)

Potrebbe trattarsi di uno dei rari casi in cui le nostre rubriche DramaReview e The SciFiCorner si uniscono per una recensione e non volevo assolutamente perdermelo.

“The Silent Sea” è una breve produzione coreana marcata Netflix (solo 8 episodi, di circa 45 minuti l’uno), che strizza l’occhio alle mega produzioni sci-fi americane, ma che rimanda anche alle esperienze distopiche e fantascientifiche provenienti da Seoul e dintorni (vedi la serie “Snowpiercer”, ispirata al fumetto coreano), con un cast di primo piano, in cui spiccano Bae Doona (“Sense 8”, “Cloud Atlas” e “Kingdom”) e Gong Yoo (“Train to Busan”, “Coffee Prince”, ma soprattutto “Guardian: The Great and Lonely God”, anche noto – e amato da tutti i dramisti – come “Goblin”).

In un ipotetico e molto probabile futuro, una crisi climatica ha fatto sparire i mari e gli oceani, rendendo l’acqua una risorsa tanto scarsa e preziosa, da divenire anche parametro per le differenze sociali: si riceve acqua in base al proprio status socio-economico e/o all’importanza del proprio ruolo (il tema tanto caro ai drama coreani delle divisioni sociali che è stato uno dei fulcri di “Parasite” e “Squid Game” qui torna, adombrato sullo sfondo), senza alcun riguardo per famiglie numerose e povere (la mortalità infantile è un dato di fatto endemico). La siccità, inoltre, ha provocato la diffusione di malattie ed epidemie (non vi sembra di vedere un copione che temiamo tutti quanti?) e la scienza tenta di trovare nuove prospettive per risolvere la situazione. Con un simile scenario, l’agenzia spaziale coreana decide di inviare una squadra di astronauti in una base lunare dove già uno strano incidente aveva sterminato un’intera squadra di scienziati (quante buone premesse!). Ovviamente, anche la missione lunare – di cui, all’inizio, nessuno sembra fornire spiegazioni congrue – si rivela ben presto una possibile missione suicida agli occhi del Capitano Han (un Gong Yoo, freddo e di grande intensità) e della astro-biologa reinventatasi etologa Song Ji-an (la bravissima Bae Doona), soprattutto dopo una serie di scoperte che metteranno a nudo la domanda etica su quali siano i limiti della scienza e su come possa disumanizzarsi in nome di un credo tecnologico che diventa quasi religioso.

Tra suspence e colpi di scena (fidatevi, uno dietro l’altro, da farvi saltare sulla sedia), citazioni di Alien e complessi dostoevskijani, la serie trasporta a ritmo serrato in un mondo che non ci sembra tanto dissimile da quello che stiamo vivendo e che stiamo costruendo – ahimè! – giorno per giorno, ponendo tanti interrogativi morali, che vengono lasciati volutamente in sospeso, affidando allo spettatore il compito di discernerli e di risolverli. La più grande lezione che il drama può offrirci è, però, quella che non può esserci progresso senza umanità, perché anche laddove la scienza sembra portare a grandi conquiste, se si priva della morale, non potrà mai costruire un futuro migliore per l’uomo.

Consigliata: a chi ama la fantascienza, anche senza amare i drama coreani; a chi ama i drama coreani, anche senza amare la fantascienza; a chi ama guardare una serie, ponendosi mille interrogativi o semplicemente entrando in fibrillazione ad ogni scena; oppure a chi ama Gong Yoo (perché, diciamolo, non è che passa proprio inosservato).

Captain-in-Freckles