Attenzione! Contiene spoiler. Se non avete visto la quarta stagione e non avete letto il manga fino all’ultimo capitolo, non andate avanti.
(Continua dalla recensione senza spoiler)
Eren, nella cantina del padre, recupera non solo i propri ricordi traumatici, ma anche quelli di tutto il suo popolo ed inizia ad entrare in connessione con la progenitrice Ymir, che comunica con lui nella dimensione ultraterrena della “coordinata”. In quel momento, qualcosa in lui si frantuma e si perde per sempre: i suoi accessi di rabbia un po’ spavalda (che ci rendeva vicine le sue vicissitudini) si trasformano in una fredda e cupa collera, il suo sguardo si spegne e il suo sorriso si intristisce. Isayama rende questo passaggio in modo abile e impercettibile attraverso due espedienti narrativi che interrompono la continuità della storia. Anzitutto, fa un salto temporale di quattro anni che spiazza lo spettatore/lettore abituato al ritmo serrato delle prime tre stagioni, salvo riprendere il tempo perduto con un lunghissimo flashback centrale. In secondo luogo, Isayama fa un salto spaziale, trasferendo lo scenario da Paradis a Marley, la patria dei nemici giurati degli Eldiani, proprio coloro che li rinchiudono in ghetti e li usano come armi umane.
In questo cambiamento spazio-temporale, viene presentato il nuovo Eren, l’usurpatore e genocida di Marley e il martire salvatore di Eldia, con un oscillare di emozioni e uno scorrere di eventi che lasciano lo spettatore/lettore senza fiato. Il nuovo Eren passa in poco tempo da protagonista ad antagonista, per, poi, diventare una figura eroica in grado di eliminare la maledizione degli Eldiani, caricandosi di tutto il Male che li affligge. Nel drammatico finale, appare un Eren trasfigurato, non più umano (di lui esistono ormai solo una testa e una colonna vertebrale attaccate a un enorme e mostruoso gigante), eppure mai così vicino all’umanità, incastrato, suo malgrado, in un lungo sogno che l’ha condizionato sin dall’infanzia per farlo sacrificare per il suo popolo, ma anche per i suoi affetti più cari, l’amicizia per i suoi compagni, su tutti Armin, e l’amore per Mikasa. Sì, perché, dopo 139 capitoli di attesa e dopo aver perso ormai ogni speranza nella concretizzazione della storia tra Eren e Mikasa, finalmente Isayama rende giustizia ad un legame così profondo da diventare quasi di difficile comprensione per lo spettatore. Mikasa non è sottomessa alla sua infatuazione adolescenziale per Eren, né prigioniera di un eterno senso di riconoscenza. Mikasa è l’unica persona capace di comprendere che cosa voglia dire amare incondizionatamente, come rivela la fondatrice Ymir, e, quindi, è l’unica in grado di offrire il proprio amore per salvare l’umanità. E, in tutta la parabola di Eren, Mikasa è stata il vero faro centrale ad imporsi in modo costante nella mente di Eren, la sua vera valvola di salvaguardia, anche quando il loro rapporto sembrava appannato e quasi raffreddato.
E qui Captain-in-Freckles piange copiosamente, momento di profonda commozione che può essere battuto solo dal commiato finale da Armin, a cui Eren ha fatto visita grazie alla sua capacità di spostarsi nel tempo per confidare le sue paure e le sue angosce, ma anche le sue speranze. Perché le guerre purtroppo non finiranno mai, ma il sacrificio del suo amore darà un nuovo inizio per tutto il suo popolo, la riconquista di una nuova libertà.

Una opinione su "ATTACK ON TITAN – recensione con spoiler"