ATTACK ON TITAN – recensione senza spoiler

L’Attacco dei Giganti è uno degli anime/manga più belli degli ultimi anni, destinato a lasciare un’impronta indelebile. Raramente ci si trova di fronte ad un prodotto così interessante, completo ed emozionante: anime e manga riescono a mantenere una tensione altissima dal primo all’ultimo episodio, senza mai scoprire le carte fino alla fine, ma senza nemmeno perdere mai la connessione logica della storia.

Attingendo a diversi miti e leggende (il gigante di ghiaccio Ymir della mitologia norrena o il mostruoso Golem creato dalla tradizione favolistica yddish), l’autore, Isayama, ha intessuto gli avvenimenti della gente di Eldia, popolo eletto perché contiene in sé una scintilla divina, eppure maledetto per la sua innata capacità di trasmutarsi in giganti e, quindi, deriso e perseguitato dai popoli confinanti. La gente di Eldia, un tempo grande e propensa alla conquista, all’inizio della narrazione si trova condannata all’oblio, rinchiusa tra tre mura e convinta della menzogna di essere gli unici umani sopravvissuti al catastrofico attacco dei giganti. Con questa falsa conoscenza, l’autore ci introduce nei primi episodi i tre veri liberatori di Eldia: Eren Yaeger, ragazzino litigioso e fortemente determinato a scoprire il mondo fuori dalle mura, e i suoi amici di infanzia, Mikasa Ackermann e Armin Arlert. La caduta della prima cinta muraria e l’avanzata dei giganti segna dolorosamente i tre protagonisti, costretti a fuggire nel distretto di Trost dove, col passare degli anni, si arruolano come cadetti dell’esercito. Da qui seguono una serie di eventi che portano i nostri a confrontarsi con la morte, il dolore, il pericolo, ma anche a ricercare se stessi, a rafforzare il legame e l’affetto reciproco, a maturare e a sacrificare le cose più preziose per il bene dell’umanità. A fare da contorno ai tre eroi, un folto gruppo di personaggi ben caratterizzati e approfonditi anche dal punto di vista psicologico: dai compagni-cadetti (Jean Kirschtein, Sasha Braus, Connie Springer, Reiner Braun, Annie Leonhardt, Berthold Hoover, Ymir, Historia Reiss), ai vertici del comando (Darius Zackly, Dot Pyxis), all’anima del Corpo di Ricerca (Erwin Smith, Hanji Zoe e il leggendario Levi Ackermann), ai personaggi più infidi (Zeke Yaeger) fino ad arrivare ai “battitori liberi” (Grisha Yaeger, Kenny Ackermann).

Se non avete mai visto o letto Attack on Titan e avete intenzione di vederlo e di non rovinarvi la sorpresa, non andate avanti.

Attack on Titan non è decisamente per animi deboli: non solo i giganti amano divorare gli esseri umani nei modi (e nei morsi) più impensabili – e, tra le vittime “illustri”, al primo episodio c’è anche la madre di Eren -, ma lo stesso protagonista “muore” apparentemente al quinto episodio, generando uno shock dal quale Isayama dà modo di riprendersi solo grazie alle altre angosce di cui dissemina la narrazione. Eren scivola giù nella gola e nell’esofago di un gigante e, in quel momento, scatta in lui “qualcosa” che lo trasforma in un gigante stesso, distruggendo, una per una, tutte le certezze che lo spettatore/lettore credeva di avere acquisito.

Non si tratta, però, dell’unica certezza che si frantuma perché Isayama costruisce storie che, poi, fa abilmente a pezzi per metterci di fronte all’amara e cruda realtà. Tutto è una finzione: le mura dell’isola di Paradis, che da falso paradiso diventa una prigione di non-conoscenza; il credo religioso e le istituzioni governative, deputate a controllare e a mantenere l’oblio nelle menti umane; i giganti stessi, che, nella realtà, sono Eldiani condannati e trasformati in modo da perdere la propria umanità. Non ci si può fidare di nulla e di nessuno, nemmeno dei propri compagni d’arme tra i quali si celano invisibili gli eterni nemici di Eldia. Per cui, per sopravvivere e arrivare alla conoscenza e alla comprensione, forse è necessario perdere la propria umanità, come accade ad Eren quando scopre la sua doppia natura, umana e gigantesca. Ed è sempre con Eren che lo spettatore/lettore cresce, cade e si rialza, soffre, muore e risorge come gigante. È sempre con Eren che si scende nella buia cantina del padre, una vera e propria discesa negli abissi dell’umanità e nella conoscenza universale per capire come un popolo unito è stato separato e marchiato dalla malvagità umana e per sciogliere dalla menzogna i propri simili.

Quando, al termine della terza stagione, Eren con i suoi compagni si imbatte in quel gigante malformato e con arti abbozzati e si rifiuta di ucciderlo (perché, come ammette con tristezza, è solo un compatriota che “è stato mandato in paradiso”), si comprende che la parte eroica e di ricerca della conoscenza si è conclusa e che è necessario usare quella nuova “disumanità”, conquistata controvoglia, per far fronte al male che affligge l’umanità.

Cosa ha reso questo anime/manga unico? Attack on Titan è la metafora del percorso umano, delle sue sofferenze, del marchio malefico che lo affligge come un peccato originale. Attack on Titan è anche la crescita di ogni personaggio dalle asperità giovanili (quando si vorrebbe affrontare il mondo da soli in perenne assetto di guerra) alla stabilità e alla chiarezza della maturità. Attack on Titan è, infine, la visuale di un popolo bistrattato, ma che si riunisce e si rigenera, cercando un suo spazio nel mondo. Si tratta di un anime/manga in cui politica e spiritualità si incrociano e si compenetrano insieme per dare un univoco messaggio di speranza e di rinascita.

Captain-in-Freckles

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